di LAURA INCARDONA
La moda è il mondo del sogno: abiti che rendono più belle, lavorazioni realizzate da mani sapienti, che custodiscono abilità artigianali preziose. Ma c’è molto altro: fatica, impegno, responsabilità. E oggi, mentre navighiamo a vista durante la pandemia che ha cambiato le nostre vite, anche questo settore, il secondo per importanza nella bilancia commerciale del nostro Paese, si sta interrogando su come affrontare il futuro.
Abbiamo chiesto a Domenico Dolce e a Stefano Gabbana la loro visione del domani. I due stilisti, per la prima volta separati, continuano a lavorare ognuno da casa propria. Ma non si fermano e proseguono il loro impegno, che li tiene uniti da quando hanno fondato il loro marchio nel 1985.
Il rientro alla normalità sarà molto lungo, qualcuno parla di almeno un anno. Come state ripensando il futuro?
stefano gabbana: «È un nuovo inizio, il mondo sta cambiando. Sono mutate tante cose negli ultimi 30 anni, come è naturale che sia. Capita in tutti gli ambiti, nel nostro settore succede probabilmente anche con maggiore facilità. La moda deve rispecchiare la realtà, stare al passo con i desideri delle persone che oggi sono sempre più mutevoli. Oggi è difficile fare previsioni a lungo termine. Faremo ciò che riterremo più giusto per il nostro marchio, prestando particolare attenzione al momento che stiamo attraversando. Senza dubbio, le collezioni si ridurranno. Meno e meglio, qualità e Made in Italy - da sempre nostre ossessioni - sono e saranno fondamentali. La gente vuole la qualità dei prodotti realizzati in Italia perché sa che è sinonimo di garanzia. E non parliamo solo di moda, ma anche di cibo, di agricoltura... Bisogna fare sistema e restare uniti».
L’Italia è da sempre al centro della vostra ispirazione. Il nostro Paese, così amato nel mondo, sta soffrendo e inevitabilmente soffrirà ancora, anche per la difficoltà degli spostamenti, che avranno un impatto molto negativo sul turismo, per esempio.
domenico dolce: «Il Made in Italy è un valore e va assolutamente sostenuto. Abbiamo la fortuna di vivere in un Paese che ha un incredibile patrimonio artistico e culturale; siamo fieri di poter dar luce, con il nostro lavoro, alla sua bellezza. Quello che cerchiamo di fare con le nostre collezioni è raccontare e trasferire, specialmente alle nuove generazioni, l’amore per questo patrimonio culturale, per lo stile di vita italiano: un sentimento, un insieme di valori positivi. Le cose belle devono essere portate avanti e, nel nostro piccolo, cercheremo come sempre di dare il nostro contributo».
Il vostro teatro è il mondo e da poco avete già riaperto la vostra boutique a Hong Kong con nuove strategie, ideate proprio in questi giorni cambiati dalla pandemia: ce li volete raccontare?
stefano: «Negozi ed e-commerce, oggi più che mai, dovranno muoversi in modo parallelo e alimentarsi a vicenda. In questi giorni stiamo lavorando alla realizzazione di video-tutorial nei quali i commessi raccontano le collezioni e danno molte informazioni sul prodotto al cliente. Li stiamo sperimentando in Cina, dove tutto sta pian piano ripartendo. Ma dobbiamo pensare che per un certo periodo l’accesso alle boutique sarà limitato, per la sicurezza delle persone che ci lavorano e per i clienti. Questo è un modo per presentare le nostre collezioni: chi guarda il video deciderà che cosa gli piace e potrà fare il suo acquisto in negozio. I tempi e le modalità di acquisto cambieranno».
Capitolo sfilate: ci saranno ancora? State già immaginando quelle delle prossime stagioni?
domenico: «Non è ancora stata trovata un’alternativa al sogno delle sfilate. Nell’ambiente ne abbiamo bisogno tutti, noi stilisti, chi lavora con noi, i compratori, i giornalisti: sono l’immagine della moda. Probabilmente ci saranno show più piccoli e si testeranno nuove possibilità, anche virtuali. Essendo indipendenti, siamo più agili, in grado di cambiare le cose e di volta in volta organizzarci. Tutto è da reinventare e crediamo valga a 360 gradi».
Il mondo della moda è stato il primo e più reattivo, nella fase più drammatica della pandemia, a fare fronte con la produzione di materiale sanitario e con il sostegno a ospedali e centri di ricerca tramite donazioni. Perché il vostro settore è stato così veloce nella risposta?
domenico: «L’impegno e il coraggio di tutte le persone che in questi giorni lavorano senza sosta ci commuovono e ci fanno capire quali siano le priorità, come sia importante dare il giusto peso a ogni cosa e quanto sia fondamentale pensare al futuro con ottimismo e responsabilità, senza farsi prendere dal panico. Oggi più che mai, pensiamo che la ricerca sia un valore sul quale investire. Dare fiducia e sostegno a tutti coloro che ogni giorno lavorano per la nostra salute e il nostro futuro è per noi etico».
stefano: «Humanitas University (l’università dedicata alle scienze mediche di Rozzano, appena fuori Milano, ndr) è una realtà speciale, per eccellenza e per umanità, che conosciamo personalmente e con cui collaboriamo da tempo. All’inizio di febbraio, quando il problema non affliggeva ancora l’Italia, abbiamo sentito il dovere di fare qualcosa per combattere questo devastante virus e abbiamo pensato che Humanitas University fosse l’interlocutore ideale. Di fronte a queste tragedie dalle dimensioni così vaste, ogni azione può sembrare poco rilevante ma, grazie anche al confronto con il professor Alberto Mantovani (direttore scientifico di Humanitas, ndr), abbiamo capito che anche un gesto piccolissimo può avere un significato enorme. Sostenere la ricerca scientifica è per noi un dovere morale e il nostro impegno è costante: abbiamo infatti deciso di devolvere una parte dei ricavi ottenuti, sul nostro e-commerce, dalle vendite della borsa Devotion Bag, la cui nuova campagna pubblicitaria vede protagonista l’attrice Sofia Vergara, a questo importante progetto di ricerca».
Nel mondo del lavoro i giovani sono stati particolarmente colpiti, ma sono proprio loro la speranza nel domani. Voi avete una particolare attenzione anche nei confronti delle nuove generazioni.
domenico: «I giovani sono il nostro futuro, dobbiamo sostenerli e trasmettere loro valori importanti. Nel 2012 abbiamo dato vita al progetto Botteghe di Mestiere, una scuola interna all’azienda, che vuole trasmettere alle nuove generazioni le basi della sartoria e offrire, a fine percorso formativo, una concreta opportunità di lavoro. Formare i giovani all’arte della sartoria significa offrire loro la possibilità di crescere e di imparare a mettersi in gioco per esprimere la propria creatività. È un progetto a cui io e Stefano teniamo moltissimo, perché riflette e veicola quelle virtù che sono per noi fondamentali: l’importanza del tocco umano, del lavoro di sartoria, del “creare” con passione, sacrificio, tecnica, tempo. Noi siamo questo».
Si parla molto di una “nuova normalità”, e cioè del fatto che almeno per i prossimi mesi dovremo convivere con il virus. Credete che ancora una volta gli italiani riusciranno a trasformare il problema in un nuovo modo di vivere?
stefano: «In 36 anni ne abbiamo passate di crisi: dalla Guerra del Golfo, a inizio Anni 90, all’11 settembre 2001, con l’attentato alle Torri Gemelle di New York, ma bisogna andare avanti. Crediamo sia importante essere positivi, guardare al futuro con entusiasmo e curiosità e appassionarsi ai prossimi progetti che ci vedranno impegnati. Come dicevo, è un nuovo inizio. Aver scoperto di essere così fragili allontanerà la prepotenza della finanza, del denaro, delle speculazioni. E ci ritroveremo più umani. Voglio pensare che vivremo un nuovo Rinascimento, dove la creatività e l’essere umano saranno al primo posto».
Articolo pubblicato sul numero 21-22 di GRAZIA (7 maggio 2020)
© Riproduzione riservata