"Stiamo lottando, stiamo guarendo, dobbiamo rinascere come farfalle". Scrivono questo sui loro profili Instagram le ragazze protagoniste del documentario Hangry Butterflies.
“Hangry” è la fantasiosa crasi degli aggettivi arrabbiato (angry) e affamato (hungry), perché mangiare o non mangiare possono essere una scelta dettata dalla rabbia e dalle emozioni, dai disagi psicologici e dai problemi familiari e da molti altri motivi che la giornalista Maruska Albertazzi, regista del film, non intende giudicare né indagare, ma solo raccontare.
Lo fa attraverso la voce di ragazze che hanno sperimentato sulla loro pelle disturbi alimentari (anoressia, bulimia o binge eating, ovvero abbuffate compulsive) e che hanno provato a guarire, insieme.
Si sono conosciute sui social, attraverso i profili “recovery”, creati per “uscirne”, per farsi forza a vicenda nella battaglia che le vede tutte coinvolte, da parti diverse d’Italia.
Con l’hashtag #larinascitadellefarfalle si è creata una community di migliaia di giovanissime, ogni giorno più consapevoli e unite da una rete che da virtuale è diventata reale.
«Sui nostri profili recovery pubblichiamo le foto del piatto che mangiamo», racconta Nicole Pierangeli, 20 anni. «Ho aperto il mio profilo Instagram nel momento più critico, in cui ho rischiato di non aprire più gli occhi. Da allora lo uso per parlare con le altre, per raccontarci le nostre esperienze, le sensazioni durante i pasti, e tutto senza vergogna, perché sappiamo che le ragazze che ci seguono sono lì a darci coraggio. Condividiamo con loro le nostre vittorie e sconfitte quotidiane. Un esempio: oggi sono riuscita a mangiare tutto il gelato per la prima volta».
Che cosa sbagliamo quando parliamo di anoressia?
«Sbaglia chi pensa che sia legata solo al corpo, o solo alla mente, perché coinvolge tutti gli aspetti della vita quotidiana. E sbaglia chi ripete: “Mangia e non fare capricci”, perché non si tratta solo di mangiare».
Concorda Beatrice Bruschi, 18 anni: «Avevo 12 anni quando sono emersi i primi sintomi del disturbo. Ho iniziato con diete fai da te, pensavo di regolarmi e fermarmi, ma sono entrata in un circolo vizioso che ha peggiorato le mie condizioni fisiche e psicologiche. Su Instagram seguivo profili recovery di altre ragazze e avevo voglia di aprirne uno mio, ma me ne vergognavo. Dopo aver incontrato di persona le altre ragazze mi sono fatta forza e l’ho aperto, oggi ne sono fiera: ho conosciuto persone fantastiche, mi sono sentita finalmente aiutata, capita, sostenuta, là dove gli amici che avevo mi emarginavano, scappavano da me come fossi una malata contagiosa. Oggi sono qui a testimoniare che dai disturbi alimentari si può guarire, grazie ai medici, alla famiglia, ma anche alle amiche vere. Alle farfalle».
Continua a leggere l'intervista alle “butterflies” sul numero 13 di Grazia ora in edicola
Testo di Claudia Catalli
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