«Chi ringraziamo per la pace? Trump o la Flotilla?»: l'editoriale di Silvia Grilli

Uno dei primi ostaggi ebrei rilasciati vivi mentre scrivo, lunedì 13 ottobre, è Guy Dalal. Aveva 22 anni quando è stato rapito dai terroristi di Hamas il 7 ottobre 2023 mentre ballava al Nova Festival. È rimasto incatenato in un tunnel a 30 metri sottoterra. Accucciato senza mai potersi alzare.
Qualche settimana fa ho incontrato suo padre Ilan a Milano. Indossava una maglietta con stampata la foto di suo figlio ela scritta “Riportate Guy a casa ora”. Aveva visto il suo ragazzo per l’ultima volta in un video in cui Guy veniva portato in giro per Gaza City come scudo umano, costretto ad assistere alla liberazione di altri ostaggi, poi ricondotto nel tunnel. Quel padre aveva raccontato le umiliazioni subìte dai prigionieri: picchiati, costretti ad abbaiare o ad assistere ai pasti dei terroristi senza poter toccare cibo. Aveva detto: «La guerra non finirà mai, se prima non verranno liberati gli ostaggi».
Il rilascio dei 20 rapiti vivi è stato commovente in Israele, ma anche in Palestina. Prima del sorgere del sole, la Piazza degli Ostaggi di Tel Aviv era già gremita di una moltitudine avvolta nelle bandiere israeliane. A Gaza City un’altra folla di uomini palestinesi salutava i convogli che lasciavano la città con i prigionieri liberati.
Nessuno degli anziani rapiti il 7 ottobre è sopravvissuto. Donne e bambini sono stati rilasciati negli scambi precedenti o sono morti. Ma oggi, 13 ottobre, abbiamo il dovere dell’ottimismo. Confortano le immagini dei gazawi che corrono verso i camion con gli alimenti e gli aiuti, mentre l’Onu conferma che i soccorsi sono stati facilitati. L’accordo per il cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi e dei detenuti palestinesi è il primo passo per la fine della guerra cominciata dalle milizie di Hamas il 7 ottobre 2023. Un conflitto che ha lasciato Gaza distrutta e Israele più forte, ma isolato nel mondo.
Questa pace è certamente fragile. Ha davanti un percorso irto di ostacoli, ma sembra che qui in Italia ci si delizi a mettere in dubbio che possa funzionare, come se desse fastidio che sia stato Donald Trump a costringere Benjamin Netanyahu a fermarsi. Qui da noi ferve il dibattito su chi abbia portato all’intesa tra Israele e Hamas. Il tycoon? Le piazze? La Flotilla?
Trump ha molti difetti, visto che cerca di portare la pace all’estero, mentre manda i soldati nelle città americane, usa metodi brutali per cacciare gli immigrati e vuole portare avanti affari privati anche a Gaza. Ma qui ha capito quello che Netanyahu non aveva afferrato: che la guerra stava isolando Israele nel mondo, che la vittoria assoluta a Gaza sarebbe stata impossibile senza l’uccisione degli ostaggi, il sacrificio dei soldati ebrei e il massacro dei poveri civili palestinesi. Il tycoon ha colto che Hamas, pur perdendo sul piano militare, stava vincendo sul piano propagandistico con le moltitudini scese in piazza e in mare. Segnati dalle immagini della distruzione di Gaza, quasi tutti coloro che hanno meno di 30 anni sono contro Israele. L’idea tossica che lo Stato ebraico sia illegittimo ha attecchito nelle nuove generazioni. Vediamo se qualcosa cambierà ora.
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