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Chi giustifica il femminicidio

Chi giustifica il femminicidio

foto di Marina Speich Marina Speich — 23 Febbraio 2021
Come è accaduto con l’omicidio di Roberta Siragusa, spesso i magistrati liquidano le violenze sulle donne come raptus di gelosia. Si tratta di un pregiudizio che sposta la colpa dagli uomini alle vittime, spiega qui la giudice Paola Di Nicola
Femminicidio 7

Vittime dei pregiudizi sessisti: le donne lo sono sempre, non solo in casa o sul lavoro ma anche nei tribunali, dove dovremmo avere giustizia. Lo rivelano le frasi usate nelle sentenze che condannano, e a volte assolvono, gli uomini imputati di violenze.

L’ultimo caso è l’ordinanza che ha portato all’arresto di Pietro Morreale, 19 anni, il fidanzato indagato per l’omicidio di Roberta Siragusa, 17, trovata soffocata vicino a Palermo: il ragazzo sarebbe stato mosso “da una fortissima gelosia”.

Come se questo spiegasse un comportamento efferato.

Femminicidio 6

Da uno studio del ministero della Giustizia è emerso che nel 70 per cento delle condanne anche per reati come il femminicidio vengono concesse le attenuanti, cioè circostanze che consentono di ridurre la pena.

È come se gli uomini autori di violenza non agissero con lucidità ma accecati da comportamenti sbagliati delle donne. Paola Di Nicola, giudice del Tribunale Penale di Roma, ne ha parlato nel libro La mia parola contro la sua. Quando il pregiudizio è più importante del giudizio (HarperCollins).

Com’è possibile che i giudici, che dovrebbero essere imparziali, siano vittime di pregiudizi contro le donne?
«Il sessismo, cioè la svalutazione e il ridimensionamento delle donne, riguarda purtroppo la cultura di ognuno di noi ed è un problema mondiale. Il sessismo entra nelle aule di giustizia perché è lo specchio della cultura di un Paese».

Come si manifesta?
«Per esempio con il tipo di domande fatte ai testimoni, alla polizia o alle vittime. Se in un processo di violenza sessuale la prima cosa che viene chiesta alla vittima è: “Signora, lei com’era vestita?” si insinua un comportamento colpevolizzante, si presume cioè che la donna abbia provocato la violenza dell’uomo. E se una donna racconta di essere stata picchiata dal marito, spesso non si pensa a un abuso di potere, ma a una semplice lite familiare; una violenza sessuale diventa uno scherzo o un corteggiamento; un femminicidio diventa un raptus di gelosia. Scegliendo una parola diversa, la violenza viene depotenziata».

Continua a leggere l'intervista a Paola Di Nicola sul numero 10 di Grazia ora in edicola

© Riproduzione riservata

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