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Cate Blanchett: E pensare che volevo solo un lavoro

Cate Blanchett: E pensare che volevo solo un lavoro

foto di Simona Siri da New York Simona Siri da New York — 17 Novembre 2016

Da anni si batte contro il sessismo e lo strapotere maschile, a Hollywood e non solo. Lo fa con la stessa eleganza e tenacia con cui ha vinto due Oscar. E mentre arriva nelle sale con l’atteso film di Terrence Malick, Knight of Cups, vi raccontiamo perché Cate Blanchett non sbaglia mai un colpo

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Nel marzo del 2015 Cate Blanchett e il marito, il commediografo Andrew Upton, hanno adottato una bambina di pochi mesi, Edith, la prima femmina dopo aver avuto tre maschi, Dashiell, 14 anni, Roman, 12, e Ignatius, 8. Quattro figli in totale sono già una tribù sufficiente per fare notizia, soprattutto se la madre è una diva di Hollywood con due Oscar.

Siccome, però, Blanchett non è Angelina Jolie, anzi è esattamente il suo opposto, quando si tratta di esposizione mediatica, ecco che le foto della piccola Edith e dei fratelli si contano sulle dita di una mano. Se mai fosse necessaria un’altra prova della riservatezza di Cate Blanchett e di come si può condurre una vita da diva in incognito, questa vicenda ne è la dimostrazione.

Le attrici di Hollywood si dividono in due categorie: quelle che piacciono agli uomini e quelle che stanno simpatiche alle donne. Alla prima appartiene Charlize Theron: trovatemi un uomo che non abbia avuto fantasie su di lei. Alla seconda appartiene Jennifer Aniston: trovatemi una donna che non abbia simpatizzato con lei e le sue sventure sentimentali.

E poi c’è Cate Blanchett, nelle sale con Knight of Cups, di Terrence Malick, in cui interpreta un chirurgo infelice, ex moglie di Christian Bale, qui nel ruolo di scrittore disilluso che vagabonda tra Los Angeles e Las Vegas. Cate non appartiene a nessuna categoria perché gioca in un campionato tutto suo e riesce nell’impresa quasi impossibile di mettere tutti d’accordo: i maschi vorrebbero stare con lei, le donne vorrebbero essere come lei. Nel nostro desiderio di essere come la divina Blanchett, almeno per un minuto della nostra vita, c’entrano una serie di cose. Un talento che non è possibile mettere in discussione, certo, ma anche quell’aria sempre elegante di donna imperturbabile, ma che in realtà dentro è un fuoco di emozioni e di passione.

«E pensare che mi preoccupo del mio aspetto fisico molto meno ora di dieci anni fa», dice lei dall’alto della sua perfezione estetica. È chiaro che la nostra opinione su Cate è molto influenzata dai ruoli che interpreta sullo schermo e il punto è proprio questo: esattamente come accadeva con le dive del passato, nel momento in cui ci chiediamo chi sia davvero Blanchett, ci rendiamo conto di saperne pochissimo e che tutta la nostra conoscenza viene dai personaggi che interpreta. Con lei possiamo lasciarci avvolgere da quella cosa che al cinema d’oggi troppo spesso manca: il mistero.

Nata e cresciuta a Melbourne in una famiglia borghese con tre fratelli maschi, Cate a 10 anni perde il padre, morto per un infarto. A 16, appassionata di arte, va in Egitto per un anno, con il sogno di diventare direttrice di un museo. La passione per il teatro arriva a 18, quando si iscrive al National Institute of Dramatic Art di Sidney. «Mi sono data cinque anni per vedere se la recitazione poteva davvero essere un’opzione per me», racconta oggi. Si diploma nel 1992 e ottiene subito una parte in teatro, protagonista della commedia di David Mamet Oleanna insieme con Geoffrey Rush. Il primo vero successo arriva nel 1998 con Elizabeth I: è la prima nomination all’Oscar e il primo Golden Globe vinto. Nel 2005 riceve l’Oscar in The Aviator, di Martin Scorsese. Il secondo lo vince nel 2014 grazie al personaggio della ricca newyorkese caduta in disgrazia in Blue Jasmine di Woody Allen. «Un’esperienza difficile: il primo giorno Woody mi disse che tutto quello che facevo era uno schifo». Cate allora aveva 45 anni, un’età in cui le attrici di Hollywood sono carne da rottamare, figurarsi vincere premi. Quando sale sul palco a ritirare la statuetta, con tono polemico, ma educato, dedica il premio: «A tutti quelli che pensano che i film con protagoniste donne siano una categoria di nicchia». Da allora, non c’è intervista in cui non si pronunci in favore delle donne e contro il sessismo imperante ovunque, mica solo nel cinema.

«Cate mi piace molto e chi la definisce algida, sbaglia», dice di lei lo stilista Giorgio Armani che l’ha scelta come volto della sua fragranza Sì (vedi anche a pagina 160) «Mi affascina per la sua sensualità vera e controllata e per il suo portamento naturalmente aristocratico. È una donna unica». Ma anche nel suo ruolo di testimonial, l’attrice non si limita a prestare solo la faccia. Cate è coinvolta nel Sì Women’s Circle, un’iniziativa che ha lo scopo, attraverso le storie di donne che hanno cambiato vita e superato sfide difficili, di dare forza e positività all’universo femminile. «Giorgio Armani ha una grande sensibilità. È un grande sostenitore delle iniziative culturali, un filantropo, e negli anni ha creato un proprio universo, sempre coerente con se stesso. È un genio. Questa etica per me è d’ispirazione», spiega l’attrice.

Nel 2006, insieme con il marito, Cate aveva deciso di tornare in Australia per dirigere la Sidney Theatre Company. All’epoca in molti la sconsigliarono, pensando che lasciare Los Angeles a quasi 40 anni potesse significare la fine della sua carriera. «Quando me ne andai non ero neanche certa che avrei avuto una carriera a cui tornare», ha detto l’anno scorso al quotidiano The Guardian. «Ma in quel momento andava bene così: nei personaggi che interpreto come nella mia vita mi piacciono i momenti di svolta. Ciò che rischi rivela quello che vali: è una battuta della scrittrice Jeanette Winterson. E sono d’accordo».

E infatti lei continua a rischiare. Anche il suo ruolo di ex moglie tormentata e piena di contraddizioni in Knight of Cups è stata un’incognita. «La vita è piena di dubbi e di sfide, ma quando decidi di andare avanti, poi si apre sempre la porta su qualcosa di interessante».

Al momento Blanchett è tornata a vivere negli Stati Uniti ed è impegnata con Sandra Bullock, Rihanna e Anne Hathaway sul set del rifacimento al femminile del film Ocean’s Eleven. «Ormai faccio uno, al massimo due film all’anno. Le mie priorità sono altre. Ho la scusa della lontananza per poter rifiutare nuovi progetti senza sentirmi in colpa. Sono una mamma a tempo pieno, ma se mi chiede come faccio a cavarmela con figli e carriera rispondo: ma perché questa domanda agli uomini non la fanno mai?».

Alla Cnn una volta ha dichiarato «Gli anni degli attori sono come quelli dei cani: io ne ho più di 120». È una battuta che al di là dell’ironia rinforza l’idea che restare a 47 anni in un mondo dove tutto gira intorno al ricambio generazionale è davvero eccezionale. «Ogni anno penso di lasciare il cinema», ha dichiarato in un’intervista. «Ma poi mi arriva un copione interessante e mi dico: perché no? Potrebbe essere l’ultimo».

Ovvio che non lo sarà. Ovvio che di Cate Blanchett il cinema ha e avrà ancora bisogno e di eredi in giro non ce ne sono. È una cosa che riesce solo a lei e a Meryl Streep: quando pensi che abbiano raggiunto il massimo della bravura, ecco che ti sorprendono ancora e di più. «E pensare che io non ho mai voluto una carriera, volevo solo un lavoro che mi facesse viaggiare. Volevo vivere».

© Riproduzione riservata

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