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Il sogno della grande mela misura 30 metri quadri

Il sogno della grande mela misura 30 metri quadri

foto di Vera Montanari Vera Montanari — 17 Luglio 2012

Quindi il sindaco, Michael Bloomberg, come fosse la cosa più ovvia del mondo, ha deciso di occuparsi del problema (anche se immagino che i “problemi” per una città come New York siano praticamente infiniti...) e ha lanciato una sfida a tutti gli architetti d’America: progettare nuovi complessi condominiali con mini, anzi micro appartamenti, che non superino i 30 metri quadri, ma abbiano tutto quello che serve a una o due persone per viverci bene. Al momento la superficie minima consentita per costruire un alloggio in città è 41 metri quadri, ma se i progetti presentati dovessero risultare funzionali, belli, insomma interessanti per quella marea di persone, giovani soprattutto, che vorrebbero vivere lì, ma non se lo possono permettere per via dei costi, Bloomberg ha dichiarato che si farà promotore di una proposta di legge per cambiare le regole. L’obiettivo, ha chiarito, è dare vita a un nuovo tipo di edilizia contemporanea, che significa evitare che la Grande Mela diventi una città di uffici o di ricchi. Sconcertante, no?

C’è un problema, si cerca la soluzione, si procede concretamente: ho la sensazione che qui da noi non siamo più abituati a ragionare così... Sarà la crisi che rende tutto “impossibile”. Saranno le modalità dei nostri amministratori sempre impastocchiati in polemiche senza fine che vanno solo a scapito dei cittadini e dell’operatività. Bloomberg, poi, è entrato anche nei dettagli chiarendo che i “micro-units” devono avere una camera, un bagno e una cucina, ma... nessun rispostiglio. A parte che non si capisce dove si potrebbe trovare lo spazio per un ripostiglio in meno di 30 metri quadri, sto ancora chiedendomi il perché di questa raccomandazione: sono strani questi americani... I progetti che saranno valutati più positivamente, aggiunge l’ordinanza, sono quelli che privilegiano gli spazi comuni e aria e luce negli alloggi. Capisco la logica degli spazi comuni perché rimanda proprio a un nuovo modo di vivere: più giovane, più partecipato, più solidale e anche più funzionale. Ma francamente il richiamo a spazio e luce è allarmante, come se la raccomandazione fosse: d’accordo limitare lo spazio, ma che le case non diventino celle... Aiuto!

Pare comunque che gli architetti, soprattutto quelli degli studi più piccoli, stiano rispondendo con entusiasmo con progetti super futuribili, che parlano di cucina-misto-bagno o armadi multifunzione, che possono contenere, insieme, piatti e vestiti (!?). Insomma, come spesso capita, un problema è diventato un’opportunità e una sfida - spazio e costi limitati - ha scatenato la creatività.

Gli inquilini, poi, dovranno selezionare le cose indispensabili. Solidarietà per le newyorkesi costrette a scegliere tra pentole o scarpe...!

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