Ben Affleck: Figli miei, aiutatemi voi
Un anno fa il suo era stato il divorzio più inatteso di Hollywood. Ma Ben Affleck è tornato a vivere da separato in casa con la moglie, l’attrice Jennifer Garner. E ora racconta di quando ha capito che, per il bene dei suoi bambini, doveva accettare se stesso e l’idea di essere un padre pieno di difetti
L’ultima volta che l’ho visto al cinema, Ben Affleck era un uomo-pipistrello invecchiato e rancoroso in Batman v Superman: Dawn of Justice, uno dei film di supereroi più cupi degli ultimi anni. Adesso sul grande schermo sarà il protagonista di The Accountant (nelle sale dal 27 ottobre), un genio della matematica dalla vita misteriosa che fa il contabile per le più pericolose organizzazioni criminali della Terra. Sempre ruoli di uomini dalla doppia vita, sempre persone che riescono a vivere solo tenendo lontani tutti gli altri dalle proprie esistenze. Insomma, il Ben Affleck cinematografico potrebbe essere soprannominato il cavaliere triste di Hollywood. Eppure, questo sarebbe raccontare solo una parte della storia.
Quando lo incontro all’hotel Four Seasons di Beverly Hills, a Los Angeles, è tutt’altro che cupo. Tuttavia, il dubbio resta: quanto vorrà raccontare veramente di sé? Affleck è famoso per la sua riservatezza: una volta si fece intervistare da un collega di una rivista maschile guidandolo per due ore in un’auto presa in affitto, tanto non voleva attorno dettagli che parlassero di lui. Ma nei giorni in cui a Hollywood tiene banco il divorzio tra Brad Pitt e Angelina Jolie, Ben può poco per far dimenticare il clamoroso annuncio di un anno fa: la separazione tra lui e la collega Jennifer Garner, 44 anni, madre di Violet, 10, Seraphina, 7, e Samuel, 4. C’erano di mezzo varie incomprensioni e il presunto tradimento di Ben con la tata che seguiva i loro figli. Ora sappiamo che Affleck, nonostante tutto, è rimasto a vivere nella villa della coppia e la stessa Garner, poco tempo fa, ha spiegato la scelta nell’interesse dei tre bambini: «Siamo senza dubbio una famiglia moderna, ma ce la caviamo bene». Quanto, siamo qui per scoprirlo.
In The Accountant interpreta un genio dei numeri maniaco ossessivo. Il film ha continui rimandi al passato e a quanto suo padre abbia faticato a educare un ragazzo così fuori dagli schemi. Lei è un genitore, si è impersonato un po’ in lui?
«Quando hai dei figli, all’improvviso quello che più conta al mondo è fuori da te. Quello è un sentimento di vulnerabilità che non ha eguali: li vorresti al sicuro, sani e sei così preoccupato di loro da mettere in secondo piano tutto il resto. Almeno questo è quello che ho provato io nella mia esperienza recente, e credo che per un genitore di un ragazzo speciale sia lo stesso».
Il padre del film, però, commette degli errori. Per insegnargli a difendersi da solo lo educa alla violenza.
«A volte il mondo può sembrarti molto spaventoso e spesso, magari per troppo amore, si può cadere nella tentazione di reagire in maniera sbagliata alle proprie paure. Noi padri possiamo fare dei danni anche quando siamo convinti di essere nel giusto. Ogni famiglia è un complicato laboratorio dove si commettono errori e poi si cerca di porre rimedio. Io ogni giorno mi trovo a un bivio e finisco sempre per chiedermi: starò insegnando ai miei figli la cosa giusta?».
Ecco, per esempio, che cosa sta insegnando ai suoi bambini? Magari la matematica, la specialità del suo personaggio?
«Esatto. La nostra figlia maggiore l’altra sera mi ha costretto a fare i compiti con lei e, per fortuna, ancora non mi ha superato. Ma penso che tra un anno le cose saranno diverse e dovrò farmi aiutare da Jennifer, che è meglio di me. Devo rassegnarmi, presto sarò un genitore inutile».
E a parte la matematica?
«Niente di speciale, è già abbastanza difficile insegnare loro a essere delle brave persone, a rispettare gli altri e il loro lavoro, ad avere sempre uno spirito umile ma anche critico. Mi basterebbe che capissero questo: la verità è che, a questo punto, sono loro che devono aiutare me, non il contrario».
Suo padre, invece, che cosa ha insegnato a lei?
«Mi sarebbero piaciute le arti marziali, come succede nel film. Sarei pronto per fare il killer, adesso» (ride). «No, a parte gli scherzi, a volte penso che avrei potuto imparare qualche arte. Non so, come il pianoforte: all’inizio i tuoi genitori ti costringono e lo odi, poi cresci e scopri di aver ricevuto un dono straordinario. Almeno così dice chi sa suonarlo bene».
Qualcuno in casa sua l’ha mai obbligata a imparare qualcosa?
«Non mio padre. Quando avevo 11 anni divorziò da mia madre e non ho più vissuto con lui. La mia mamma, invece, lavorava da mattina a sera, quindi sono cresciuto stando molto per conto mio e nessuno mi ha mai forzato a fare nulla se non a crescere in fretta. Mi sarebbe piaciuta una bella cintura nera di karate, anche se sono sicuro che, per carattere, mi sarei lamentato prima di ogni singola lezione».
Il suo personaggio nel film, Chris, usa solo tre posate, ha la fissazione per l’ordine e non rivolge quasi mai la parola a nessuno. Lei non ha qualche fissazione?
«No, lui è una di quelle persone che mangiano solo se il cibo è disposto simmetricamente sul piatto. Io, invece, quando si tratta di stare in casa, credo molto di più alla teoria del caos e penso che la mia vita ne sia una prova. Trovo affascinante, però, la tranquillità che Chris ricava dai numeri. La matematica dà sempre risultati certi ed è una certezza che dà serenità, in un certo senso».
Lei ha mai pensato di fare un lavoro normale, magari il contabile, come il protagonista del suo film?
«Non credo che capire come funziona un bilancio sia una professione ordinaria, specialmente se riesci a mettere ordine in quello di Donald Trump» (Affleck si riferisce al caso del candidato repubblicano alla Casa Bianca, che avrebbe approfittato di una particolare legislazione fiscale per non pagare tasse per diversi anni).
Come spiega che, nonostante tutto, tante persone alle elezioni dell’8 novembre voteranno comunque per Trump, nonostante sia politicamente scorretto e un candidato decisamente atipico?
«Molti americani, negli anni scorsi, hanno avuto la sensazione di essere stati, se non truffati, almeno messi in secondo piano. Tanti pensano di aver ascoltato promesse che non sono state mantenute ed è naturale che arrivi, prima o poi, un candidato che faccia leva sulla scarsa credibilità dei politici di professione. Votare Trump è l’equivalente di gettare un candelotto di dinamite acceso in un cassonetto di Washington: un atto di ribellione. Ovviamente molto pericoloso».
Invece, in un’intervista, lei ha dichiarato che le piacerebbe correre per la Casa Bianca. Ne è ancora convinto?
«No, per quanto possa essere affascinante diventare un servitore pubblico, la verità è che prima di arrivare a quel ruolo bisogna soprattutto essere bravi a tirare su un’enorme quantità di soldi. Non posso immaginare una professione più inadatta per me, anzi penso che passare il tempo andando a caccia di finanziatori sia la mia idea di inferno».
Nel film lei maneggia molto bene il fucile. In America, dopo tante stragi, è in atto un gran dibattito sull’uso delle armi. È vero che lei è favorevole al possesso?
«Molto può essere fatto vietando i fucili automatici e controllando le condizioni mentali di chiunque possegga un’arma da fuoco. La nostra Costituzione ci autorizza ad avere armi e io non voglio mettermi contro questo diritto: basterebbe avere buon senso».
Lei, con il suo amico di vecchia data Matt Damon, con il quale ha vinto un Oscar nel 1998, sta preparando The Runner, una serie fantascientifica su un futuro molto spaventoso. Lei lo immagina davvero così preoccupante?
«Abbiamo visto che oggi il potere può concentrarsi nelle mani di poche aziende, le quali possono avere un potere quasi illimitato sulle persone. Io e Matt abbiamo deciso solo di immaginare alcune conseguenze possibili di questa stortura».
Vi vedremo mai in un film insieme? Lei dirigerà il prossimo Batman, e Damon, qualche mese fa, ci ha detto che lui avrebbe partecipato volentieri, ma che lei tiene per sé sempre le parti migliori.
«Ha detto così? Ah, cercherò di ricordarmene quando mi chiederà un ruolo in un mio film».
A proposito, è per esigenze di copione che si sta facendo crescere la barba o è stato tentato dalla moda hipster?
«No, mi serve per la mia ultima scena nel film Justice League» (il film su un gruppo di supereroi, in programma per il novembre 2017). «Ma ho già detto troppo sulla trama. Spero che ora il regista non mi licenzi»
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