Quando una donna compie quarant’anni è tipo la fine del mondo. L’orologio biologico fa tic tac e una volta superati gli anta, per tutto il genere femminile si innesca il meccanismo ‘se non lo faccio adesso, quando mi ricapita?’
Sembra che un domani non esista. E allora via: organizziamo qualcosa di indimenticabile, che ci faccia sentire giovani, che ci faccia dimenticare che siamo mamme, qualcosa che fanno le ragazzine. A inaugurare la saga delle quarantenni sono stata io, due anni fa, con un weekend a Saint Tropez, l’anno prossimo sarà il turno della Claudia, poi quello della Tilla, ma stavolta è toccato alla Secca e forse abbiamo esagerato.
Un concerto dei Måneskin è roba da giovani, esperienze che si concedono le ragazzine — fino a qui i requisiti tornano tutti — ma quando ti accorgi che i cantanti della band hanno appena compiuto diciotto anni, dimenticarti di essere mamma, se potresti essere la loro, diventa un po’ difficile. Ma è comunque un’occasione per uscire tutte insieme, approfittiamone, visto che non succede quasi mai. Il giorno dell’evento, apriamo una chat. Il nome è prevedibile: Marlena. Abbiamo evitato di aggiungere l’altra parte del testo ‘torna a casa’, giusto per non avere ripensamenti, e arriviamo al sodo: cosa ci mettiamo? Più che un look consono, ci serve un buon travestimento. La Claudia — che ha pure partorito l’idea di questo concerto — decide di inviare una foto della band per offrire spunti alla comunità.
“Suggerisco, a partire da sinistra: la Secca, l’Enri, io e la Tilla.”
Quindi: la Secca è Thomas, io sono Damiano, la Claudia è Victoria e la Tilla è Ethan. Alla Claudia è toccato il look più semplice: gonna a fiori, top, giacca di pelle e cappello a tesa larga. Ma per noi si scatena il panico. La Secca: “dove la trovo una giacca di pelle marrone con le frange? ?”
Dopo diciotto minuti, non ha ancora risposto nessuno. In casi estremi come questo, diciotto minuti sono un’eternità, ma posso ancora salvarla:
“Secca, io ce l’ho! ??♀️ in due versioni: come la vedi nella foto o rosso rubino. Quale vuoi?”
“No Enri, grazie. Alla fine metto quella di pelle nera. ?”
“Okay, io non credo che mi vestirò come Damiano — jeans e camicia floreale — ma ho il suo taglio di capelli, quindi per il resto mi inventerò qualcosa.”
La Tilla: “Anche io non mi vesto come Ethan: ho investito ben 60 euri tra Calzedonia e Zara in finta pelle e se non li metto oggi, non li metto più.”
Direi che abbiamo tutte le idee chiare, ora devo concretizzare la mia.
Look definitivo: Pantalone nero in ecopelle (comprato dalla Giusi prima che chiudesse)+ T-shirt nera con applicazione paillettata sulla scritta BOOM + giacca nera con balze di tulle (comprata dall’Angelina che invece ha appena aperto) + cintura passe-partout in velluto nero e fibbia dorata. Pezzo forte: stivaletto in pelle nera borchiata oro. Sono una vera dura. Mi piaccio. Ora, cerco di ridimensionare il mio ego ascoltando il parere delle mie figlie, che hanno tredici e dieci anni. Mi convinco che accetterò la loro sentenza con dignità, e se il giudizio sarà negativo, non contesterò il verdetto e non mi metterò a piangere. Lo giuro. Prima vado da Emma: “bella! Mamma stai bene, non sembri una vecchia!”
Mi inchino — come mi hanno insegnato in Giappone — e raggiungo la Carola nella sua camera, che sta giocando a Barbie. Solleva lo sguardo da quelle creature perfette e riesce a trovare una buona parola anche per me: “mi piaci mamma!”
Il test della figliolanza è superato.
La Claudia ha deciso di guidare e alle 17,40, arriva sotto casa mia con la Secca. L’immagine young prodotta dal mio inconscio si polverizza salendo in auto: il seggiolino di Vittorio, suo figlio, giace sui sedili posteriori. E nonostante sia tentata di toglierlo di mezzo, al pensiero del faccino di Vittorio, mi passa la voglia, mi ci siedo accanto e l’auto riparte.
“Che bella!” dicono all’unisono.”
“Aspettate riga’, mo’ ve faccio vede’ er pezzo forte: o’ stivaletto…”
Ormai sono entrata nella parte: parlo come Damiano. Dopo dieci minuti di tragitto, arriviamo dalla Tilla, che esce dal cancello di casa con un paio di pantaloni di finta pelle, una giacca di pelle e un gilet di pelo di babbuino sintetico. È subito applauso.
Il concerto è alle nove e la Claudia — madrina e madre ufficiale della serata — promette ai passeggeri di mangiare qualcosa prima dell’inizio, ma in realtà ciò non accade. Dopo aver sbagliato strada quattro volte, arriviamo nel parcheggio appena in tempo, e non sono le pance vuote il vero dramma, ma la domanda di uno dei parcheggiatori che, prima di riscuotere i quattro euro della sosta, ci chiede:
“Siete qui per accompagnare o andate al concerto?”
La Claudia gli consegna i soldi senza aggiungere altro, la Secca si mette a ridere e la Tilla protesta:
“Ma ci ha visto bene?”
“Lo sapevo, dovevamo togliere il seggiolino da bambino…” aggiungo io.
Appena scendiamo dalla macchina, capiamo che quello che poteva sembrare un affronto è solo la conferma che l’età media è decisamente più bassa della nostra. Dobbiamo farcene una ragione.
Una volta qualcuno ha detto: tutti i gatti al buio sono i bigi, quando si abbassano le luci e i Måneskin arrivano sul palco, diventiamo bigie pure noi. Siamo a metà dell’esibizione e lì, mentre il brusio eccitato della gente mi avvolge, non posso fare a meno di chiedermi: quand’è che Damiano si toglie la camicia?”
Il pensiero non fa in tempo a esaurirsi mentalmente, che qualcuno, sotto al palco, mi anticipa e grida: “a levate la camicia!”
Lui lo ascolta, si toglie la camicia e se non fossimo già tutti in piedi, sarebbe una standing ovation.
Giunte alla fine, ci mettiamo in auto e sulla via di casa, nelle stessa posizione che avevamo all’andata: la Claudia alla guida, la Secca al suo fianco, io e la Tilla dietro. E mentre lei si chiede quanti passi avrà fatto la bassista, che non è stata ferma un secondo, io ripenso alla serata e al testo dell’ultima canzone. Prendo il telefono e chiamo Giaco:
“Marlena torna a casa, il freddo qua si fa sentire, metti giù la pasta che ho paura di sparire.”
Illustrazione: Valeria Terranova

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