Avevo fretta di crescere

Ha solo 25 anni, ma quando riflette sulla vita e sul passare del tempo è come se ne avesse 20 di più. «Alle ragazze che mi chiedono un consiglio, dico di fare ciò che si sentono, di non ascoltare chi le giudica o le vuole ostacolare. È la chiave della pace con se stesse», mi racconta. «In fondo tutto passa troppo velocemente, niente è davvero importante. Meno peso diamo alle cose, più vivremo nel presente e staremo meglio con noi stessi».

Sul suo aspetto fisico Ester Expósito, global ambassador di Desigual, qualche tempo fa aveva detto: «Nessuno ha il diritto di chiedermi spiegazioni: è il mio viso e posso farci quello che voglio. In realtà ho solo messo su un po’ di peso. E che ci crediate o meno, le donne, proprio come gli uomini, crescono, cambiano, prendono e perdono chili. Per fortuna: questo significa che siamo vive e non siamo bambole». Una frase diventata lo slogan della campagna Not a Doll di Desigual, che attraverso gli abiti indossati dall’attrice spagnola, dai jeans baggy alle minigonne con tacchi alti, ricorda che una ragazza può essere molte cose diverse. E che ognuna può sentirsi sempre libera.
Tutti la conoscono per il suo ruolo di Carla nella serie Élite. La “marchesina”, una ragazza ricca, seducente, che ha segnato molte ventenni anche in Italia. Quando è uscita la prima stagione, lei aveva 18 anni. Com’è cambiata la sua vita?
«Radicalmente. Mi ha dato l’opportunità di lavorare in altri Paesi, come in Messico, di diventare famosa in molte parti del mondo e di percepire l’affetto di pubblici diversi. Insomma, è stata la realizzazione di un sogno. Ma c’è stata anche l’altra faccia della medaglia: l’enorme esposizione, la perdita della privacy, la pressione sociale. Nel bilancio, ovviamente valorizzo le cose positive, ma non è una professione facile: bisogna prendersi cura anche dell’aspetto mentale. Non bisogna perdere di vista ciò che conta davvero nella vita».

Ha sempre desiderato fare l’attrice f in da bambina?
«Sì, ma i miei genitori non volevano che lavorassi da piccola, per cui non mi portavano a i casting. Mi hanno, però, sostenuta facendomi frequentare i corsi di teatro. Volevano aspettare che crescessi un po’ e sono loro grata che mi abbiano educata così. A 13 anni ho iniziato a seguire i corsi di una scuola di recitazione più professionale e a 15, con il mio primo manager, ho partecipato a qualche progetto. La mia carriera è cominciata presto: a 17 anni il primo film, poi mi hanno preso per il ruolo di coprotagonista nella serie tv Élite».
Mi racconti della sua infanzia. Com’era da piccola?
«Una che non si è mai sentita bambina: volevo fare subito l’adulta. Sono sempre stata precoce, volevo truccarmi, vestirmi come mia madre, balla- re. E quando i miei non volevano che uscissi con i miei cugini, mi arrabbiavo. Non mi piaceva andare a scuola e facevo fatica a concentrarmi: la mia testa era piena di tante altre cose».

Se la sua infanzia avesse un sapore e un colore, quali sarebbero?
«La mia infanzia ha il sapore delle fragole, dolce ma anche un po’ acido. E ha il colore giallo, come i miei capelli biondi o il sole sul mare: a Viveiro, in Galizia, dove sono cresciuta, con i miei genitori stavamo in spiaggia fino al tramonto, nella sabbia dorata».
A che cosa non rinuncia quando torna lì, a Viveiro?
«Mangiare negli stessi ristoranti dove andavo da piccola, passeggiare sulla spiaggia con mia non- na, passare del tempo con il mio gruppo di amici di sempre. Poi sentire la forza del mare, che mi lega così tanto a mio padre: è stato lui che mi ha insegnato a fare immersioni».
Una nuova sf ida che vorrebbe affrontare?
«Immergermi con lo squalo bianco, dentro una gabbia, perché bisogna saperli trattare se ti immer- gi senza protezione. Insomma, sono una che ama le emozioni forti».
Lei è diventata famosa dopo Élite anche per serie come Bandidos e Qualcuno deve morire. Quale ruolo l’ha cambiata anche a livello personale?
«A parte Élite, che ha lanciato la mia carriera cambiandomi la vita, il film da cui ho imparato di più e che mi ha trasformata anche dal punto di vista personale è El Talento di Polo Menárguez, che uscirà in settembre. Sono la protagonista: una ragazza che suona il violoncello. Per interpretarla ho dovuto imparare questo strumento. È una storia molto intensa, cupa e drammatica».

È una rivisitazione in chiave contemporanea dell’opera Signorina Else scritta da Arthur Schnitzler nel 1924. La protagonista riceve un’inaspettata tele- fonata dalla madre, che la pone di fronte a una scelta lacerante: salvare la famiglia o proteggere la propria integrità morale.
«È un dilemma universale, che ognuno di noi potrebbe affrontare. Anche per questo il film è molto potente: è sempre accaduto che le persone si trovassero di fronte a una scelta così. Per questo tutti possono identificarsi con la protagonista».
Lei è di ispirazione di molte ragazze: è una donna consapevole di sé e indipendente. Qual è la sua idea di empowerment femminile? Come lo vive nella sua vita quotidiana?
«Penso che l’empowerment sia collegato all’a- more e alla fiducia in sé. Dobbiamo potenziare noi stesse per combattere le disuguaglianze che esisto- no ancora tra i due sessi, il machismo e tutta la violenza che generazione dopo generazione è stata sistematicamente esercitata dagli uomini o dalla società contro le donne. Ognuna di noi deve connettersi con le proprie virtù, i propri punti di forza, abbracciarli. E prendersi cura di sé, trattarsi con affetto, sviluppando così il proprio potere, perché credo che tutti lo abbiamo, ma a volte non lo ve- diamo o non sappiamo come svilupparlo. Per que- sto ci sentiamo piccole e insicure. Credo quindi che l’empowerment femminile significhi imparare a conoscere e usare quel potere interiore che abbiamo».

Nella vita segue l’istinto? O quando deve prendere una decisione è molto razionale?
«Sono piuttosto razionale, ma sto cercando di connettermi di più con il mio istinto, perché tendo a pensare troppo. A volte va bene essere analitica, ma spesso è stressante e non sempre devi cercare una spiegazione per tutto. Quindi sto cercando di mettere un po’ da parte la mia testa, perché sono troppo mentale, facendomi guidare di più dagli impulsi, vivendo al momento».
Qual è la donna che l’ha più ispirata nella vita?
«Mia madre, perché è intelligente, saggia: imparo sempre tante cose da lei. È come se vedesse la vita nel modo migliore, è in grado di dare priorità e concentrarsi su ciò che conta davvero. Lei si gode ogni momento, apprezzando quello che ha, senza aver bisogno di altro. Non vive, insomma, nel passato o nel futuro, come mi capita a volte. Io penso sempre a quello che succederà domani e questo mi rende ansiosa e, a volte, m’impedisce di godermi il presente».

Essere libere di esprimersi, senza troppe etichette, è il messaggio della campagna Not a Doll di Desigual di cui è protagonista. Vi si rispecchia?
«Sì, mi identifico perfettamente con il marchio, che ha sempre avuto nel suo Dna la libertà, la freschezza e la ribellione. Questa campagna, in particolare, si rivolge alle donne per incoraggiarle a vestirsi con ciò che piace loro, facendole sentire bene, invece di pensare al giudizio degli altri».
Come riesce a mantenere l’equilibrio tra ciò che è e ciò che la gente si aspetta da lei?
«Cerco di togliermi questa pressione di dosso, perché alla fine so che non piacerai mai a tutti, né puoi pretendere che sia così. Quindi cerco di essere me stessa, nel modo più naturale possibile, grata per il sostegno e l’affetto che ricevo, senza esserne ossessionata. Il mio obiettivo non è mai stato quello di essere ciò che la gente si aspetta da me».
Testo di Marina Speich
foto di Jesús Leonardo
styling di Carolina Galiana
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