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Andrea Delogu: «La figlia di SanPa è cresciuta»

Andrea Delogu: «La figlia di SanPa è cresciuta»

foto di Enrica Brocardo Enrica Brocardo — 8 Febbraio 2021
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L’Italia ha ricordato le luci e le ombre di San Patrignano grazie a un documentario. Per Andrea Delogu, che lì è nata e cresciuta, quella comunità di recupero è il luogo di un’infanzia all’aria aperta in un mondo senza pericoli.

Ci è voluto il documentario SanPa: Luci e tenebre di San Patrignano, trasmesso su Netflix, per far parlare di nuovo l’Italia di una storia che è sempre stata controversa. La comunità terapeutica di recupero per tossicodipendenti alle porte di Rimini fino agli Anni 90 fu un caso nazionale: i suoi metodi duri furono molto discussi, ma i suoi risultati vennero altrettanto celebrati. Con la morte del suo fondatore Vincenzo Muccioli, nel 1995, su San Patrignano calò di nuovo il buio mediatico.

Fino a quando il documentario di Netflix ha avuto sul pubblico e sul Paese intero l’effetto di un bacio alla Bella Addormentata. Riaprendo la spaccatura fra pro e contro, fra chi, oggi come allora, ritiene che Muccioli sia stato un salvatore che strappò migliaia di ragazzi dalla tossicodipendenza, e quelli che, invece, contestano la brutalità di metodi che contemplavano segregazione e punizioni fisiche per chi non rispettava le regole (il culmine fu nel 1989, con l’omicidio di Roberto Maranzano).

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Una delle protagoniste di quel documentario è la conduttrice Andrea Delogu, che a San Patrignano è nata e ha vissuto. Ai primi dieci anni della sua vita, alla storia dei suoi genitori - il padre, Walter Delogu, autista e guardia del corpo di Muccioli e la madre, Tiziana Peverelli - la conduttrice televisiva e radiofonica e attrice aveva già dedicato un romanzo, La collina, scritto con Andrea Cedrola.

Ora Delogu riapre quel capitolo con Grazia. «Per anni non ne avevo parlato con nessuno, neppure con i miei fidanzati. Non volevo essere vista come una vittima, perché non lo sono», dice. Scrivere quel libro forse le è servito per reggere all’impatto di rivedere in tv il suo passato. «Ho guardato il documentario quando è stato rilasciato in streaming, come tutti. È stato straziante, ma anche molto bello. Mi sono ricordata dei tanti momenti meravigliosi della mia infanzia. Ho pianto dopo averlo finito. È stato liberatorio, come chiudere un cerchio e riappropriarmi di quegli anni. È bizzarro che, adesso, un pezzo della mia vita non sia più solo mio, ma di tutti». La conduttrice lo dice proprio nei giorni in cui di lei si parla anche per un altro motivo: lo stato del rapporto con il marito, l’attore Francesco Montanari. Un tema su cui Andrea chiede, però, di non esprimersi.

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Partiamo dal clamore suscitato dal documentario.
«Capisco che abbia fatto discutere, che molte persone si sentano in colpa per essersi dimenticati di un periodo cupo del nostro Paese».

Con chi ne ha parlato? I suoi genitori?
«Con tantissimi. Mi hanno contattato parecchi che sono cresciuti là in quegli stessi anni. Con uno di loro ero rimasta in contatto, ma molti li avevo persi di vista».

Quanti bambini eravate?
«In tutto, circa 200. Sono stata fortunata, sono cresciuta nella natura, potevo andare nelle stalle ogni volta che mi andava. E c’erano anche alcuni animali che erano stati recuperati da uno zoo: ghepardi, orsi, scimmie. In comunità non c’erano orari, le porte erano sempre aperte, noi bambini potevamo andarcene a esplorare, sapendo di essere al sicuro. E pranzare insieme era bellissimo: mangiare è un gesto intimo, condividere il cibo con 2.000 persone di cui sai di poterti fidare è una sensazione indescrivibile».

Continua a leggere l'intervista ad Andrea Delogu sul numero 8 di GRAZIA ora in edicola

Foto di  Federico De Angelis
Styling di Selin Bursalioglu

© Riproduzione riservata

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