Andrea Berton: Affilate i coltelli
Il suo mestiere è conquistare i palati più difficili, ma per sedurlo basta un piatto di uova affogate. Dalla prossima settimana lo chef stellato Andrea Berton firmerà su Grazia una volta al mese le pagine della nostra cucina d’autore e svelerà alle lettrici i suoi segreti. Comprese le armi con cui affronta ogni imprevisto
L’appuntamento con Andrea Berton è alle 9 e mezza di una mattina milanese in cui la città si sta svegliando per correre alle sfilate della settimana della moda. Arrivo con mezz’ora d’anticipo, temendo ingorghi apocalittici, giusto in tempo per vedere da lontano lo chef che in jeans, camicia blu e zainetto mi sfreccia davanti, infilandosi nell’ingresso del ristorante riservato ai fornitori. Faccio finta di nulla e mi metto in fila anch’io con i contenitori termici e le cassette di verdura, ma un signore mi blocca deciso. Sono chiaramente nel posto sbagliato e mi dirotta in una saletta incredibilmente soffusa e insonorizzata, anche se siamo nel cuore dei grattacieli di Porta Nuova, l’ombelico della Milano più frenetica. Quando ricompare Berton, serafico e senza zaino, mi spiega che a pochi metri da noi oggi stanno preparando la cena di gala per 400 persone che verrà servita al Castello Sforzesco, in onore della fondazione del tennista Novak Djokovic. Sulla mia faccia passano stupore e invidia pura: ma possibile che non si senta nemmeno il ronzio di un frullatore? «Eppure sono già partiti a pulire le verdure, poi tocca al pesce. Qui le giornate iniziano alle 8 e mezza del mattino e finiscono a notte fonda. Facciamo tre riunioni al giorno: mattina, pranzo e sera, con bilancio finale su quello che ha funzionato e su come dribblare, la prossima volta, ogni contrattempo. Stare in cucina è come giocare una partita di calcio due volte al giorno. Ti cade una padella e rischi di perdere il campionato», aggiunge lo chef.
Dalla settimana prossima Andrea Berton racconterà sulle pagine di Grazia la sua Cucina d’autore. Una volta al mese le sue ricette di chef stellato saranno alla portata di tutti. Sarà l’occasione per imparare da lui come maneggiare gli ingredienti di stagione o avventurarsi nelle preparazioni più complesse. Da poche settimane Berton, che sta preparando anche un libro (che uscirà in primavera) ha aggiunto un nuovo indirizzo alla sua galassia di locali che a Milano comprende anche Pisacco e Dry, in via Solferino. Lo chef ha inaugurato Berton al Lago, a Torno, vicino a Como, all’interno del resort pluristellato Il Sereno. «Qui voglio lavorare sulla cucina del luogo con i pesci che spesso vengono snobbati come il lavarello e il persico. Ho un pescatore, il custode della splendida villa Pliniana non lontana dal ristorante».
Un uomo solo? E se non riesce tutti giorni trovare quello che serve?
«Si cambia, si costruisce un piatto diverso. Per me è molto più importante servire qualcosa di autentico, con materie prime sane e di qualità. Il mio lavoro è far alzare da tavola un cliente felice perché è stato bene. Guardi che non è un dettaglio banale».
Oggi si parla molto di cucina, tutti si dichiarano preparati, seguono i talent show in tv e hanno un’opinione precisa su ogni ricetta. Voi cuochi siete delle star. Ma siete anche sotto tiro. Le pesa?
«Ma no, fa parte del gioco. Una volta il grande chef francese Alain Ducasse mi ha detto: “Se un cliente che entra nel tuo ristorante e assaggia quattro piatti torna dopo un anno e se ne ricorda uno, hai fatto centro”. Da quel momento ho imparato a ridimensionare. In cucina bisogna essere umili e concentrati, ma prima di tutto creativi ed elastici».
E quindi che cosa fa con un cliente difficile?
«Lascio parlare il mio lavoro, lo convinco a farsi guidare, a fidarsi di me. Tempo fa, per esempio, mi è arrivato un cliente di quelli che, quando mettono piede in un ristorante stellato, hanno mille pregiudizi: sul prezzo o sul fatto che i piatti sono particolari. Questo signore mi chiede degli spaghetti. Non vuole però la versione che io propongo in menù, una rivisitazione con pomodori freschissimi, tiepida, quasi un’insalata. Lui chiede i classici spaghetti. Gli rispondo: assaggi i miei, se non le piacciono non li paga. Ma almeno provi».
E come è andata a finire?
«Viene quasi ogni settimana e ordina solo quelli».
È un periodo di mode alimentari e in più bisogna destreggiarsi tra vegani, vegetariani o intolleranti. La gente le chiede sempre più piatti su misura?
«Certo ed è giusto così. Ci stiamo, però, orientando verso una cucina di verdure. Perché ci fanno stare e sentire bene. Limiteremo sempre di più la carne. Anche se, per quanto mi riguarda, nelle giuste dosi e di grande qualità, resta un ingrediente meraviglioso».
Che doti bisogna avere per lavorare con lei?
«Intanto io sono esigente, organizzato e con i piedi per terra».
Sarebbe un giudice severissimo in un talent di cucina.
«Ma no. Di un candidato che vuole entrare nella mia cucina guardo come prima cosa i suoi coltelli: devono essere affilatissimi. Altrimenti rovinerà ogni ingrediente che tocca. E poi cerco di capire come affronta gli imprevisti».
E a lei ne capitano ancora?
«Sì, ma gli anni e l’esperienza regalano sangue freddo».
Una volta in cui lei se l’è vista brutta?
«Quando ero giovane, negli Anni 80, nella cucina di Gualtiero Marchesi, dovevo marinare due pezzi di salmone con zucchero, sale ed erbe. Ho esagerato con il sale: un risultato tremendo. Però mi sono ricordato di un metodo per rimediare. Ho immerso il salmone nel latte per due ore. Ha funzionato. Ma ho fatto tutto di nascosto».
Una bella tensione, immagino. Si rilassi allora e mi dica che cosa si prepara per una serata davanti alla tv.
«Taglio sottili delle patate con la buccia e le friggo. Oppure un crostino abbrustolito, con sopra una pallina di gelato al pistacchio e un pizzico di sale. Il pane mi fa felice».
Ho letto che per conquistare sua moglie Sandra le ha preparato un menù di 20 portate. E ora lei cucina mai per voi?
«Eccome no. È precisa e ordinata come me: le sue uova affogate, o in camicia, sono un capolavoro».
Mi sta dicendo che una donna incapace ai fornelli non l’avrebbe sposata?
«Ma no, che dice. Ci è andata bene, ci assomigliamo molto e anche questo fa di noi una coppia che funziona».
Appena saluto Andrea Berton mi viene voglia di organizzare una cena tra amici. Curiosamente, mentre ritorno in redazione, non riesco a pensare alla lista della spesa. Prima di tutto devo procurarmi un litro di latte e un arrotino. Mi fermo, però, a comprare il gelato al pistacchio, quello sì. Stasera ci provo davanti alla tv, con un pizzico di sale.
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