«Anatomia del nostro senso di colpa»: l'editoriale di Silvia Grilli

Spesso mi domando perché abbiamo questo tremendo senso di colpa. Quello provato dalla ragazza violentata a Roma dallo stupratore seriale: «Non sarei mai salita su quella macchina, ma lui è un manipolatore, mi ha fatta sentire in colpa», ha detto. Il senso di colpa che aveva Giulia Cecchettin quando voleva lasciare il suo assassino. Ma, senza arrivare alla cronaca nera, il senso di colpa che abbiamo noi quando non stiamo abbastanza coi nostri figli, il tarlo che ci divora quando continuiamo a lavorare lasciando i bambini alle cure degli altri. Oppure il senso di colpa di aver lasciato il lavoro e sentirsi perse, essersi ammalate di depressione post partum, non essere all’altezza delle aspettative della famiglia.
Il senso di colpa perché lui mi ha tradita e quindi non ho fatto tutto quello che andava fatto con un marito, fidanzato, compagno. Il senso di colpa perché non ci occupiamo abbastanza dei nostri genitori o che ci fa dire dei nostri partner: «Lui è un santo, ancora mi sopporta». Il senso di colpa di guadagnare più di lui, laurearsi prima di lui, essere più protagonista di lui, non saper cucinare o non saper aspettare. La coscienza sporca di una mia amica di Abu Dhabi quando gira per Londra senza velo. Il senso di colpa quando raggiungo risultati straordinari nel lavoro per esempio, o quando metto me stessa prima degli altri. Anni fa ero talmente impregnata di sensi di colpa che li provavo anche quando vincevo alla tombola. Preferivo non vincere.
Le facce degli altri ci riflettono il biasimo, il rimprovero per essere donne sbagliate. In un film che forse avete visto o forse no, Anatomia di una caduta, c’è una scrittrice importante con un marito meno importante. Quando lui muore, lei viene messa sotto accusa per la sua intelligenza, ambizione, forza di carattere e... mancanza di senso di colpa.
Ci è stato insegnato a vivere al servizio degli altri. Puntando su quell’educazione, lo stupratore seriale ha manipolato la sua vittima a Roma, Filippo Turetta ha chiesto a Giulia un appuntamento chiarificatore e i nostri mariti ci spingono a lasciare il lavoro.
C’è un’altra domanda che spesso mi faccio: gli uomini hanno lo stesso, perenne, gigantesco, senso di colpa? No, non ce l’hanno. Gli uomini sono gli attori protagonisti, le donne fanno parte dello staff nelle retrovie. Quelle che sistemano il guardaroba e preparano la scaletta. Gli applausi alla fine non vanno alle persone invisibili, ma solo alle star. Noi non siamo abituate a essere i personaggi principali. Quando lo diventiamo ci autoflagelliamo per non avere fatto tutto quello che ci si addice: tutto il lavoro di cura, di “back office”, il modesto passo indietro.
E invece no, siamo persone con desideri e bisogni. Quei bisogni e desideri contano, non hanno meno valore delle aspirazioni degli altri di cui ci hanno insegnato a occuparci. Quando un’amica comincia il discorso dicendo che i suoi figli sono fantastici, suo marito è meraviglioso, sa bene quanto sia fortunata, ha tutto quello che una donna desidera e finisce confessando che si sente morire o forse è già morta, io capisco. Comprendo la fatica che prova per averlo finalmente confidato, ma anche il senso di colpa per averlo ammesso. Perché dentro di noi continuiamo a pensare che non possiamo permetterci di meritare di più.
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