Alicia Keys: «Canto per chi sta ancora lottando»
Alicia Keys deve avere la predilezione per gli orecchini a cerchio: nei video musicali li indossa spesso, di ogni foggia e materiale. Anche stamattina (ora californiana, perché da noi sono le 21), nell’ora fissata per la nostra intervista via Zoom, ne ha in mano un paio d’argento.
Per qualche minuto armeggia per infilarseli, senza smettere di chiacchierare del suo nuovo album, Keys (RCA Records/Sony Music). Per lei gli orecchini devono essere come il correttore per le occhiaie o il mascara per altre: senza ti senti nuda.
Quando mi collego con casa sua, a qualche metro di distanza da me c’è mia nipote: non appena ha saputo che intervistavo Alicia Keys, non ha resistito, mi ha chiesto se poteva ascoltarla dal vivo. Non capita tutti i giorni di parlare con un’artista che ha rivoluzionato il panorama musicale mondiale degli ultimi 20 anni, vincendo 15 Grammy e vendendo più di 65 milioni di album. Alcuni suoi successi strepitosi non riesco a togliermeli dalla testa: da No One An Empire Of State Of Mind con Jay-Z a If I Ain’t Got You A Girl On Fire, per non parlare dei brani creati con la collaborazione di grandissimi artisti, da Drake a Beyoncé.
Intanto i suoi fan stanno già facendo il conto alla rovescia dei giorni che ci separano al 10 dicembre, data d’uscita del suo nuovo album doppio Keys, in cui ogni brano è presentato in due versioni diverse, "Originals" oppure "Unlocked".
Nei prossimi mesi, se la pandemia sarà sotto controllo, Alicia riprenderà anche a esibirsi dal vivo con Alicia The World Tour, 21 concerti in Europa in giugno e luglio (in Italia si esibirà a Milano il 28 giugno) e tanti altri negli Stati Uniti in agosto. Ma Alicia Keys non è solo un’artista versatile, poliedrica: è anche un’attivista contro il razzismo. Da sempre sostiene le comunità nere attraverso la musica. E dopo la morte di George Floyd, l’afroamericano ucciso dalla polizia a Minneapolis, ha scritto molti brani, come Perfect Way to Die, contro le ingiustizie più profonde verso i neri.
Chi era Alicia prima? Com’era da bambina?
«Sono cresciuta solo con la mia mamma: i miei genitori non hanno mai divorziato perché in un certo senso non sono neanche mai stati insieme. Avevo 4 anni quando ho iniziato a cantare. Ero spaventata, ma dopo le prime note mi sono innamorata del canto».
Fino a quando un vicino di casa le ha regalato il suo pianoforte di seconda mano: quanti anni aveva quando ha iniziato a suonare?
«Avevo 7 anni, mi piaceva anche ballare: danza classica, moderna, africana. Ma non volevo ancora fare l’artista: il mio sogno era diventare archeologa. Ancora oggi sono molto affascinata dalla storia e le radici di questa passione sono proprio lì, nella mia infanzia».
Dev’essere stata dura per la sua mamma crescerla da sola. Che lavoro faceva?
«Faceva più lavori. Uno serviva per l’affitto, le bollette, i conti: era assistente in uno studio legale, ma la sua passione era il teatro (si chiama Teresa Augello, di origine irlandese-italiane, e oggi è attrice con il nome d’arte Terria Joseph, ndr). Si era trasferita a New York per studiare recitazione. Credo di essere diventata un’artista perché lo era anche lei: respiravo la sua passione».
Ha dedicato alla sua mamma una canzone, Good Job.
«L’ho scritta per lei e per tutte le donne che hanno allevato i figli da sole. Le mamme single lavorano tantissimo, ma nessuno si rende conto di quanti sacrifici facciano. "Good job" è il lavoro buono, ma sempre dato per scontato. Un anno dopo aver scritto questo brano, è arrivata la pandemia. Con l’emergenza sanitaria ci sono stati tanti lavoratori in prima linea, nel mondo sanitario. Anche loro non avevano nessun riconoscimento. Ecco, questa canzone era dedicata anche a loro».
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