Alessandro Michele (Gucci): la rivoluzione lenta
di Laura Incardona
«Non voglio più vivere col fiatone come eravamo abituati a fare prima della quarantena, come se non avessimo alternative. Mai più». Lo dice Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci dal 2015, dopo aver provocato una sorta di terremoto la scorsa domenica con la pubblicazione sul suo Instagram di un lungo post con il titolo Appunti dal silenzio. Scritto sotto forma di diario, nella pagina che porta la data del 29 marzo, lo stilista dice che nei giorni di confinamento, in un tempo sospeso che non riesce a definire libero, si sta interrogando sul suo lavoro, sulle paure, sui desideri. Il 27 aprile annota il fatto di immaginare un cambiamento che lo riconnetta con le ragioni profonde che gli hanno fatto scegliere il suo mestiere. Il 2 maggio si augura un nuovo universo creativo, svincolato dalla tirannia della velocità, un tempo diverso in cui la creatività non corra il rischio di essere umiliata dalla pressione delle troppe collezioni da realizzare. Il giorno dopo scrive di aver deciso di abbandonare il rituale delle stagioni e delle sfilate, per cercare un nuovo ritmo, più vicino alla sua voglia di esprimersi. Basta quindi alle troppe collezioni: Crociera, primavera-estate, autunno-inverno, precollezioni. E anche a queste definizioni stagionali.
Durante la settimana della moda del prossimo settembre Gucci non ci sarà. «Non c’è il tempo materiale, siamo stati chiusi per troppi mesi, non abbiamo gli strumenti per fare bene il lavoro. In luglio presenteremo quella che sarebbe dovuta essere la collezione Crociera 2021, che avremmo dovuto presentare in questi giorni a San Francisco», ha detto lo stilista. «Per forza di cose è diventata tutt’altro: l’ho intitolata Epilogo, conterrà tutto quello che più amo e la farò indossare ai ragazzi del mio ufficio stile. Mi pare il modo migliore per chiudere quest’epoca. Per quel che riguarda le sfilate, non siamo noi a decidere, come abbiamo potuto ampiamente capire negli ultimi mesi: ci sono nuove esigenze e nuove prio-rità. Vedremo. Però da Gucci abbiamo sempre cercato di studiare nuove forme di comunicazione tra noi e il nostro pubblico, al di là delle sfilate pure e semplici, quindi questo modo di pensare già ci appartiene».
La decisione di Michele viene comunicata in un ambiente in cui ferve da qualche settimana la discussione. Aveva aperto la riflessione il 14 maggio Giorgio Armani. Lo stilista, in una lettera aperta, aveva detto che era arrivato il momento di rallentare: troppe collezioni, troppi prodotti, troppa confusione.
Meglio tornare all’essenziale. Il 27 aprile Saint Laurent, maison che fa parte di Kering, il grande gruppo internazionale a cui fa capo anche Gucci, aveva comunicato che, visti i cambiamenti radicali indotti dalla pandemia, aveva deciso di ripensare i propri tempi, per presentare le collezioni in autonomia. Lo stilista belga Dries Van Noten, a sua volta, ha chiesto un rispetto della stagionalità dei capi (e cioè di non far trovare nei negozi cappotti e maglioni in luglio), meno pezzi e maggior coesione tra stilisti. Lo ha fatto insieme con altri designer come Tory Burch, Erdem, Proenza Schouler, amministratori delegati e titolari di grandi boutique, come quella online MyTheresa.com o La Rinascente. «Se un abito è della stagione precedente non significa che sia fuori moda», ha detto Van Noten, che da sempre presenta solo due collezioni all’anno. «Bisogna riscoprire il valore delle cose. Solo uniti possiamo cambiare».
Articolo pubblicato sul numero 24 di GRAZIA (28 maggio 2020)
© Riproduzione riservata