Alberto Barbera: «L’uomo dei sogni»
Stefano Accorsi, direttore ospite di questo numero di Grazia, ha incontrato Alberto Barbera, direttore della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, qualche giorno prima che la kermesse iniziasse. Una passione per il cinema, quella di Barbera, cominciata da bambino, che ha poi influenzato tutta la sua vita. Come racconta in queste pagine.
La prima volta che sei stato al cinema?
«Avevo 4 anni. Ricordo che era un film di cappa e spada che proiettavano nel cinema parrocchiale del mio paese, dove mi portava mio padre, erano gli Anni 50. Non ricordo il titolo, so che mi spaventai. Alcune scene dei film che vedevo da bambino mi sono rimaste impresse nella memoria, sono immagini miste ed emozioni filtrate da ciò che ero allora. Mi tornano in mente spesso».
E poi che cosa è successo?
«Dai 6 anni in poi, ogni domenica non mi perdevo un film, tantissimi con Charlie Chaplin e Stanlio e Ollio. Quando vedevo le locandine che annunciavano i titoli nuovi che sarebbero arrivati dopo molti mesi, li sognavo quei film e ne immaginavo le storie. Quell’attesa era magica. Poi verso i 14 anni ho avuto il permesso di andare al cinema nella vicina Biella. Ricordo la sensazione che mi accompagnava per ore all’uscita del cinema, dopo aver visto, anche due volte, lo stesso film: scivolavo in una dimensione immaginifica senza tempo».
Quale è stata la prima esperienza come critico?
«A 17 anni, quando mi è stata affidata la direzione del primo cineforum: era un cinema parrocchiale ma scelsi titoli molto impegnati. E poi quando, nonostante mi fossi iscritto alla facoltà di Architettura negli anni della contestazione, il cinema si confermava la mia passione. Dopo un anno, mi sono iscritto a Lettere e in seguito ho cominciato a recensire un film al giorno sul quotidiano La Gazzetta del Popolo».
Che critico eri?
«Equilibrato, scrivevo sempre recensioni con senso della misura, ma senza nascondere le mie preferenze. Non sono mai stato feroce con nessuno».
Volevi fare il regista e l’attore: non ti sei mai pentito?
«Non avevo talento né come regista né come attore».
Poi sei stato direttore di Torino Film Festival e ora, da diversi anni, sei a capo di una delle mostre di cinema più importanti del mondo. Non senti la responsabilità d’influenzare gli spettatori fino a lasciare un segno nelle loro coscienze?
«È una responsabilità che sperimenti subito, perché fa parte di questa professione. Quando seleziono i film per la Mostra di Venezia la cosa più difficile è dire dei no, soprattutto se conosci i registi e i produttori. Non sono mai stato capace di dire: “Hai fatto un brutto film”. Ma una delle cose che più amo del mio lavoro è accompagnare l’esordio di un nuovo regista. E la Mostra di Venezia, ma anche gli altri festival, sono fondamentali per questo».
Come organizzi il lavoro di visione e selezione dei film?
«Guardiamo i film tutto l’anno, ma bisogna decidere subito quali scegliere. Non puoi vederli prima tutti perché non c’è il tempo. Quindi la possibilità di sbagliare è dietro l’angolo».
Tutto si basa su intuito e velocità nel prendere le decisioni. Quasi un salto nel buio.
«Si passano ore a discutere. Finché la selezione non è completata sono in ansia e non dormo la notte».
Da quando sei direttore della Mostra del cinema di Venezia pensi di aver cambiato molte cose?
«Sicuramente l’organizzazione e la qualità delle proiezioni, che era inadeguata rispetto alle ambizioni della kermesse. Oggi, dopo dieci anni, ne vedo i frutti e dico che possiamo godercela alla pari con il Festival di Cannes, di Toronto e di molte altre mostre».
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Testo di STEFANO ACCORSI a cura di LUCIA VALERIO
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