Achille Lauro: «M’innamoro in mezzo secondo ma non sono a disposizione»
L’uomo non è mai se stesso quando parla in prima persona, sosteneva lo scrittore Oscar Wilde: ma dategli una maschera e rischierà di dirvi la verità. Nessuno sembra saperlo meglio di lui, lui che a ogni intervista racconta una storia diversa, lui che sembra ricordarci che avere una visione è l’unico modo per sostenere la realtà: Achille Lauro, Lauro De Marinis per...
Per chi? Chi ti chiama ancora così?
«Le mie persone, quelle che ci sono da sempre e con cui sto nei rarissimi momenti in cui non lavoro. Ho al massimo due settimane di vacanza all’anno e le passo con loro, sono legatissimo anche ai posti che frequentavo da ragazzino».
Mare o montagna?
«Amo molto la montagna. Proprio poco fa parlavo con mia cugina, le raccontavo di un weekend che per lavoro mi ha portato in un posto di montagna pazzesco, da film: ma vuoi mette’ con San Martino de Castrozza? Le ho detto».
Qual è il tuo primo ricordo?
«Di quale vita? Ho la sensazione di averne vissute talmente tante».
Di quella banalmente anagrafica.
«La mia infanzia mi appare come un’unica immagine, un’immagine melanconica di un bambino alle prese con problemi giganteschi e che era alla ricerca di qualcosa che non riusciva a mettere a fuoco, perché magari nemmeno esisteva. Mentre rimpiangeva qualcosa che magari nemmeno aveva vissuto. Un bambino adulto, ecco. La spensieratezza paradossalmente l’ho imparata crescendo».
Se quest’infanzia avesse una voce, di chi sarebbe?
«Di mia madre Cristina, non c’è dubbio».
Ti accarezzava, ti baciava molto?
«Sì, mia madre è una creatura d’amore che ha fatto di tutto sia per gli altri sia per tenere insieme la famiglia. Per un periodo mio padre si è allontanato e io e mio fratello siamo rimasti con lei».
Secondo te è meglio ostinarsi a rimanere insieme, quando le cose non vanno, o accettare il distacco?
«Anche quando una relazione si complica, anche se di fatto non ci si dovrebbe più considerare una coppia, lasciarsi è difficile. Ho avuto diverse storie importanti e ogni volta che mi sono allontanato metabolizzare per me è stato un processo molto lungo».
A te piaceva vedere insieme i tuoi genitori?
«Non saprei dirlo. Nessuno di noi ha avuto una vita facile, non ce l’hanno avuta loro e non ce l’abbiamo avuta mio fratello e io. Perfino se ripenso a degli sbagli imperdonabili, oggi mi rendo conto che era proprio la nostra situazione a essere troppo complicata».
Da che punto di vista?
«Economico, emotivo, psicologico. Un punto di vista incasinava l’altro».
Sia nei libri che hai scritto sia nelle interviste questo periodo della tua vita è sempre raccontato in maniera frammentaria, fumosa.
«Perché il mio dolore io lo metto nei testi delle canzoni, così ho la sensazione che possa intercettare lo stato d’animo nascosto dentro a chi le ascolta e far scattare quel cortocircuito da inconscio a inconscio che solo l’arte permette. Ma di parlare dei miei genitori in maniera diretta non mi va, mi pare di tirarli in mezzo senza la loro volontà, di giudicarli».
Invece non li giudichi? Li hai perdonati?
«Diciamo che ho capito: capire è anche più importante che perdonare, per andare avanti».
Fuori casa, poi, c’erano gli altri bambini. Che effetto ti facevano?
«Andavo in una scuola all’estrema periferia di Roma, in quinta elementare i miei compagni già si dichiaravano fascisti senza nemmeno sapere che cosa significasse. Era un contesto duro, di un’ignoranza e una disperazione radicate nel tessuto sociale. Proprio in quella stessa disperazione di Roma io trovo che ci sia un’arte totalmente inconsapevole che amo. Ma non è facile orientarsi, per chi cresce in quei contesti».
Tu come ti comportavi?
«Tentavo di adattarmi per non venire bullizzato, mettiamola così, e quand’ero da solo scrivevo. Ho cominciato a scrivere a 10 anni, ma non lo sapeva nessuno, neanche mia madre, era un modo per fare una specie di auto-analisi e affrontare tutto quello che stava succedendo».
Piacevi alle ragazze?
«Non lo so».
Ai ragazzi?
«Non lo so. Sono sincero: sono sempre stato troppo interessato ad approfondire chi voglio diventare per chiedermi se piaccio e a chi».
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Foto di GIULIA PARMIGIANI styling di NICK CERIONI
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