«Abbiamo un problema, vero Giorgia?»: l'editoriale di Silvia Grilli

Giorgia ed Elodie hanno detto che questo Paese ha un problema, perché non ci sono donne nei primi cinque posti della classifica finale del festival di Sanremo.
«C’è qualcosa di atavico, di inconscio nella nostra mentalità che non ti fa votare le donne», sostiene Giorgia, arrivata sesta, la prima delle artiste. «Finché dobbiamo sottolineare che non c’è una donna vuol dire che abbiamo un problema. Arriveremo a un punto in cui non si dovrà notare se una donna c’è o non c’è», ha aggiunto.
Elodie aveva espresso un pensiero simile: «Sembra sempre che le donne debbano fare capriole per avere successo. Poi non è mai abbastanza. Noi siamo sempre in minoranza e fa arrabbiare perché non siamo inferiori artisticamente».
L’argomento è stato prima abbracciato, poi deriso, quindi bocciato da chi analizzava i risultati dei voti: «Non c’è stata nessuna questione femminile», hanno detto. «È stato il pubblico a non votare le donne. Questa non è discriminazione, ma libera scelta. Le canzoni delle donne erano deboli, scritte sempre dagli stessi nomi e non valevano quanto quelle dei loro colleghi maschi. Punto».
Caso chiuso, quindi? Io sono d’accordo con Giorgia. La gente non vota le donne perché abbiamo un problema: le consideriamo di meno. Non c’è molta differenza tra chi non vota le donne di Sanremo e chi sceglie un chirurgo invece di una chirurga, oppure opta per un amministratore delegato invece che un’amministratrice o si rivolge a un uomo quando cerca un’opinione politica e a una donna quando non trova la marca di un pannolino.
Negare che ci sia un problema, sostenere che sia una libera scelta del pubblico significa non riconoscere il privilegio che hanno i maschi alla nascita: poter essere più liberi, più sfrontati, più autorevoli, più protagonisti, più perdonabili. E se loro sono avvantaggiati, significa che a noi sono state tolte delle possibilità.
Vi faccio il paragone della metropolitana: mi capita spesso di trovarmi in autobus o sulla metro seduta accanto a uomini posizionati a gambe e braccia spalancate, che invadono il mio spazio senza chiedere permesso e senza mai rendersi conto che me lo stanno portando via. Poiché sono più alti e grossi da sempre, pensano che sia loro diritto stare comodi e non si sono mai preoccupati dello spazio altrui.
Ripeto, hanno ragione Giorgia ed Elodie: abbiamo un problema. L’industria della musica ha confezionato sul palco donne bellissime, sensuali, ma un po’ intercambiabili, come se ci fosse un unico modello di rappresentazione femminile. Non ditemi che sono solo canzonette. Lo sappiamo tutti che il festival è lo specchio dell’Italia.
Dopo questo Sanremo mia figlia potrebbe pensare che le donne valgano meno; un datore di lavoro che, se valgono meno, possano essere pagate meno; un uomo violento che possano essere sminuite, offese, picchiate, violentate, anche uccise.
D’altronde possiamo votare da meno di 80 anni, interrompere la gravidanza e non essere considerate proprietà vendicabile con il delitto d’onore da poco più di 40. La storia conta.
Finito il festival, tutti i commentatori hanno parlato degli artisti fragili, che a Sanremo non hanno incarnato il patriarcato. Cioè: saranno anche tutti maschi in cima alla classifica, però son buoni. Certamente. Però poi le donne di Balorda nostalgia di Olly stendono il bucato, cantano in cucina, e a lui mancano quando gli prude la schiena e ha bisogno di essere grattato...
Di fatto questo festival, come quattro su cinque di quelli precedenti, l’ha vinto una donna: la manager di Olly, Marta Donà, che fa trionfare sempre i suoi cantanti, dai Måneskin a Marco Mengoni, ad Angelina Mango, a Olly appunto. Ma la gente da casa non era chiamata a votarla. Le donne di potere fanno sempre una certa antipatia al grande pubblico. Piacciono di più quando piangono. E infatti Giorgia, grazie a quelle lacrime finali e all’ondata di affetto che hanno suscitato, forse in realtà il suo Sanremo l’ha vinto. Ma così.
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