«5.500 euro per fare un bambino»: l'editoriale di Silvia Grilli

5.500 euro sono il prezzo giusto per portare avanti una gravidanza per altri? So che questa domanda susciterà reazioni indignate per il mio monetizzare una gestazione.
Qualcuno obietterà: la gravidanza non è un commercio. Altri diranno che è un orrore, una disumanizzazione del corpo femminile svuotato di ogni dignità. Altri ancora che è un modo come un altro per guadagnare. Infine qualcuno invocherà sottovoce il gesto d’amore.
La legge del nostro Paese ha reso la gravidanza per altri reato universale. In Italia la maternità surrogata è punita penalmente da vent’anni e recentemente è perseguibile anche per le cittadine e i cittadini italiani che la praticano all’estero.
Ma 5.500 euro sono i soldi che una giovane donna ha detto di aver ricevuto da un’agenzia per mettere al mondo, in Argentina, un bambino per una coppia di uomini italiani. I resoconti giornalistici riportano una sua dichiarazione: «Avrei dovuto ricevere dieci milioni di pesos, me ne hanno dati 600 (cioè circa 5 mila e 500 euro)». Sono pochissimi per tutto quello che comportano nove mesi di gestazione e un parto.
La coppia, il piccolo e la madre sono stati fermati all’aeroporto di Buenos Aires. In questa storia non c’entra niente la nuova legge italiana sulla maternità surrogata come reato universale. Gli inquirenti argentini sospettano che l’agenzia abbia sfruttato la donna, approfittando delle sue difficoltà economiche. I reati ipotizzati per gli intermediari sono tratta di esseri umani, vendita e appropriazione di minori. Questa è la cronaca.
La questione della gestazione per altri ha sempre toccato corde profonde dentro di me. Ci ho pensato molto, calandomi nella pelle di chi per sostenersi fornisce il suo utero. Ma anche di chi cerca una madre perché non può biologicamente avere figli o è sterile o la legge non gli permette di adottare. So che il pensiero che pratica le sfumature funziona meno di quello che va giù pesante, ma qui vorrei esprimere varie emozioni.
Ci sono due infelicità in questa storia argentina. C’è quella più evidente di una donna che ha già un figlio, ma deve portare avanti un’altra gravidanza per avere mezzi di sostentamento. Ho scritto altre volte che ogni mio dubbio sulla maternità surrogata svanirà quando vedrò una donna ricca prestare il proprio utero a una persona povera.
Poi c’è l’infelicità delle coppie eterosessuali sterili, o di quelle gay e dei single che vedono la gravidanza per altri come l’unico modo di avere figli. L’adozione in Italia è difficile per tutti, ma per una coppia gay o un single lo è di più e spesso la gestazione surrogata rimane l’unica possibilità.
Ci sono Paesi in cui la gravidanza per altri è regolamentata con tutele per le gestanti e Paesi in cui non ci sono tutele per loro. È comunque sempre sfruttamento di un corpo di donna disumanizzato? Oppure è un lavoro a tutti gli effetti? Una mia amica che insegna storia all’università mi fa il paragone con le balie da latte che nell’Ottocento lasciavano i propri figli per andare ad allattare quelli dei ricchi e piangevano di nostalgia. Ma c’erano anche le donne che partorivano per le coppie aristocratiche sterili.
Si possono mettere a confronto con quelle di oggi? Nei Paesi con tutele chi lo fa sceglie semplicemente un lavoro sottopagato, ma comunque più remunerato di altri? È una scelta libera quella dettata da necessità economica?
C’è chi sostiene che i figli non siano un diritto. È vero, ma succede che siano un bisogno doloroso. Io capisco chi fa di tutto per averli. E mi parrebbe una battaglia giusta quella dell’adozione per le coppie dello stesso sesso. I single possono già farlo solo quando non si riesce a trovare una famiglia per il bambino, come se fossero, i single e il bambino che adottano, genitori o figli di scarto.
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