Guinevere: la musica come cura e salvezza
Guinevere è un nome che porta con sé memorie di un passato letterario cavalleresco. Immagini di boschi attraversati da una nebbia sottile ed echi di storie sussurrate. È un nome carico di sentimenti e che svela l’identità e la poetica di Ginevra Battaglia, cantautrice originaria di Milano e che ora - per sua ammissione - appartiene un po’ a tutti i posti. Compresi quelli dove vorrebbe andare a vivere presto, come il Nord-Europa, dove la sua musica, che unisce la sua voce pulita a sonorità folk, pianoforte e melodie introspettive, troverebbe terreno fertile.
L’abbiamo incontrata in Svizzera, ospitati dal comfort caldo del Six Senses Crans-Montana, che ha fatto da cornice e balsamo per la stanchezza accumulata durante l’inverno grazie agli spazi arredati in modo impeccabile, alla grande Spa con piscina riscaldata e ai prodotti a chilometro zero.
Tra uno scatto e l’altro del nostro esclusivo servizio moda realizzato da Sara Reverberi, e nel lungo tragitto in treno tra Crans-Montana e Milano, abbiamo parlato del suo primo album To All The Lost Souls, di cosa significhi salire su un palco e cantare per un pubblico, del potere curativo e salvifico della musica, della difficoltà di rendere il mestiere di artista un lavoro sostenibile a tutti gli effetti, di sostegno e amore.
Leggete tutta l'intervista e scoprite il servizio fotografico.

Abito DKNY, camicia WOOLRICH BLACK LABEL, scarpe CASADEI

Scarpe CASADEI, abito DKNY
Ciao Ginevra, vuoi presentarti alle nostre lettrici e ai nostri lettori?
Sono Ginevra Battaglia in arte Guineviere e potrei definirmi come “un'artista multidisciplinare”. Ho appena scoperto questo termine, benché sia notissimo, e credo mi descriva bene. Nello specifico sono soprattutto una cantante e cantautrice. Non saprei definire il genere di musica che faccio, non mi piace chiudermi in una scatoletta e, da persona che vive dentro il processo creativo, è molto difficile guardarsi e descriversi da fuori. Le persone dicono che mi esprimo nel “new folk rock” con qualche accenno di pop e qualche accenno di classica.
Dicevo artista multidisciplinare perché tocco altre arti. Faccio fotografie analogiche e in realtà sono partita dal teatro, una cosa che mi aiuta tanto quando sono sul palco, in tour, e poi dipingo, scolpisco, faccio quadri utilizzando tecniche miste. Qualsiasi cosa che preveda l’uso delle mie mani è qualcosa a cui potenzialmente sono interessata e che esploro.


Maglione WOOLRICH BLACK LABEL, pantaloni AVANT TOI, gonna con spacco DKNY
Come hai iniziato a cantare? C’è stato un momento in cui hai capito che questa era la tua strada?
Ho sempre cantato e avuto la passione della musica, fin da quando ero piccola sentivo che era qualcosa che volevo esplorare però allo stesso tempo sentivo che questo interesse era legato ad una parte molto intima e vulnerabile di me e che mi sarebbe servito il coraggio giusto per poterla tirare fuori. Paradossalmente è successo in un momento dolorosissimo della mia vita. Intorno al 2019-2020 sono entrata in depressione e ho avuto una serie di esperienze che mi hanno segnata. Ero molto più vulnerabile di quanto non fossi mai stata prima e ad un certo punto ho sognato che un mio caro amico che qualche mese prima si era tolto la vita, mi stesse cantando una canzone e mi suggerisse di scriverla, dicendomi che sarebbe stata molto importante per me e per le persone che la avrebbero poi ascoltata. E così ho fatto. Mi sono svegliata nel cuore della notte, ho scritto questo brano e qualcosa ha cliccato dentro di me in quel momento. Mi sono resa conto che scrivere musica mi tirava su dal letto, un'impresa impossibile al momento, e che quindi c'era qualcosa che dovevo indagare e scoprire di me stessa.
E fino a quel momento lì non ci avevi mai pensato?
In realtà pensandoci mi sono capitate delle cose che mi hanno mostrato che quella era la strada. Per esempio, quando ero in Australia subito dopo il liceo, zaino in spalla, il mio fidanzato dell'epoca insieme ad altri amici mi hanno sentita cantare e mi hanno detto che secondo loro ero bravissima, e mi hanno proposto di suonare in giro per strada con una chitarra e fare un po’ di busking per vedere cosa succedeva.
Ho notato che la cosa funzionava e le persone si fermavano ad ascoltare. Una volta, mentre aspettavo in un negozio che venisse sviluppato il rullino che avevo portato, ho iniziato a cantare e suonare e ho scoperto che il signore che lavorava lì gestiva anche una radio che andava in onda nazionalmente ed era molto famosa e importante in Australia. Mi ha invitata a fare due brani live e una piccola intervista. Questo è stato sicuramente un po' un segno all'interno del mio percorso.
Che anno era più o meno?
Era il 2017. Un'altra volta facevo autostop sempre in Australia e mi ha dato un passaggio un produttore australiano che sentendo le mie cose mi dice “quando avrai bisogno chiamami!”, come nei film. Ma io ho perso il suo indirizzo (ride - ndr).
Diciamo che c’erano dei puntini che piano piano si connettevano. Conoscendomi credo sia stato meglio così, prendere le cose più lentamente. Come persona sono talmente curiosa, soprattutto per ciò che riguarda l'arte e la creatività, che non abbandonarmi alla musica subito mi ha concesso di esplorare tantissime altre cose che mi hanno dato delle competenze che ora integro nel progetto. Ad esempio l'estetica di quello che faccio per me è molto chiara, quando si lavora su un video musicale so come voglio la fotografia, oppure grazie al teatro, so gestire un palco, tenere le redini come se stessi galoppando un cavallo, mi sento di poterlo fare perché gli anni di studio in accademia teatrale mi hanno aiutata.

Borsa VIVIENNE WESTWOOD

Gilé in pelle conn cappuccio in tessuto tecnico MCM
Quando sei entrata in accademia teatrale?
Ho fatto tutto il liceo parallelamente all'accademia a Milano, e poi ho fatto dei seminari durante l'estate in Scozia, in Inghilterra, insomma ero lanciatissima. Poi sono andata in Inghilterra ad un corso estivo alla Guilford School of Acting, questa Accademia super prestigiosa, soprattutto di musical, ma anche di teatro. Lì ho incontrato dei compagni di corso che avevano davvero un fuoco dentro per la recitazione, e io mi sono accorta di non sentire quello stesso sentimento. Questo è stato il momento in cui ho pensato: dopo il liceo viaggerò, scoprirò chi sono, e poi il mio obiettivo sarà trovare nella vita quella cosa che mi fa vibrare davvero dentro, che mi accende l’anima. E l’ho trovata nella musica.
Mi dicevi che anche i tuoi genitori sono artisti. È una cosa bella no?
Sì ecco diciamo che ho vissuto anche i lati negativi. Gli artisti hanno un ego importante, quindi spesso non è semplice essere figli di persone che hanno un'opinione così forte sul mondo e sull'arte. Uno dei motivi per i quali, quando ero più piccola, ho allontanato un po' l'idea di fare musica era proprio un commento che mi aveva fatto il mio papà - probabilmente senza pensare che mi avrebbe ferito così tanto. Fin da piccola, guardavano i miei lavori, i miei disegni, le cose che io creavo, con serietà e un occhio critico. Un po' difficile emotivamente da gestire.
Però immagino che in casa si respirassero arte e cultura.
Quello sì, tantissimo. Avere a disposizione qualcuno che ti porta a teatro, oppure mio padre che mi faceva ascoltare i Beatles in macchina e mi diceva “senti quanto è importante qua il basso”, uno strumento a cui non fai mai troppo caso, però dà proprio la struttura e supporto al brano, oppure “senti qua la batteria come entra”, e mi insegnava a fare le seconde voci. Ho imparato ad armonizzare ascoltando i Beatles con mio padre e questo linguaggio è entrato nella mia vita e nel mio modo di pensare. Forse la cosa che mi hanno insegnato i miei genitori che più mi è rimasta è saper trasformare qualcosa che c'è in qualcos'altro. Quando faccio le mie sculture, i miei dipinti, trasformo sempre qualcosa che è un materiale che non si utilizzerebbe, lo riciclo e lo trasformo in qualcos'altro, oppure trasformo l'esperienza in una canzone, un'idea, un'emozione.




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Parliamo del tuo album, To All The Lost Souls, è il tuo esordio, giusto?
Sì. C’è stato un EP, però è il primo album. La cosa che trovo buffa è che questo disco, anche solo il titolo, l'ho concepito prima della mia primissima uscita, c'era già. Solo che ho deciso di prendere la decisione, che si è rivelata essere molto saggia, di misurarmi prima con qualcosa di più piccolo, anche perché realizzavo, con molta consapevolezza e umiltà, di non avere assolutamente le competenze per poter affrontare la creazione di un vero e proprio album, non solo lo spirito giusto, ma proprio anche la tecnica. Sapevo che non sarei riuscita ad esprimermi bene su che suoni volevo ottenere perché non avevo il linguaggio adatto per potermi confrontare con le figure che si occupavano della produzione. Con l'EP ho acquisito delle competenze e quando è arrivato il momento di pensare al prossimo lavoro, mi sono subito lanciata in questo disco, perché rappresenta un momento della mia vita molto circoscritto, che, fortunatamente direi, già si stava esaurendo nella misura in cui stavo meglio mentalmente. È un disco che parla di moltissime ferite e moltissime persone legate a quel periodo.
Avevi bisogno di esorcizzare il dolore e le ferite anche?
Tantissimo. Passarci attraverso un'altra volta, ma anche proprio lasciare andare questa parte di me.
È stato doloroso passarci attraverso tramite la musica?
Pensavo di aver già affrontato quei lutti, invece riviverli è stato molto molto forte. Ed è stato ancora più intenso il momento in cui poi è uscito l’album. Quella mezzanotte del 29 novembre quando l'ho ascoltato per la prima volta dall’inizio alla fine su Spotify. È un ascolto diverso, perché sai che è pubblico, che è fuori. Basta, non puoi più fare niente. E lì “riosservarmi” attraverso quelle canzoni e tutti i temi che ci sono dentro quelle canzoni è stato... non so, ho proprio sentito come se un pezzo di me si staccasse e arrivasse al mondo.
Cioè l’album non era più solo tuo ma poteva essere di altre persone.
In questo senso penso che la musica sia uno degli atti più generosi che un artista possa fare. Lasciare andare è una delle cose più difficili anche all'interno del processo creativo per me, ma alla fine il fatto stesso che la musica sia fatta per essere condivisa e abbandonata è vitale all'interno della crescita della persona, ma anche perché si lascia spazio per il nuovo.
Per te è difficile accettare che una canzone da te concepita con un certo senso, venga interpretata con un diverso significato da un’altra persona? Non perché non venga capita, ma semplicemente perché l’ascoltatore trasferisce la propria esperienza sulla tua musica?
La trovo una cosa bellissima. Mi piace pensare che la musica sia una specie di sostanza gelatinosa liquida che ovunque tu la metti si adatta alla forma che c’è. Quindi se tu hai una forma concava o convessa la mia musica entra in te e si modella. Penso sia una delle cose più belle dell'arte in generale.



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Qual è stata la canzone più difficile da scrivere?
Wow, che bella domanda! A livello di testo penso Letters From A Body. Sapevo esattamente quello che volevo esprimere, ma volevo che il testo fosse diretto e con un livello sottile di poesia. M sono un po' arenata in un paio di punti, ma poi alla fine è venuto fuori tutto. Più difficile dal punto di vista emotivo invece direi Rough Skin, che ho co-scritto con Damon, il mio compagno, che ha composto una musica bellissima. È stato molto complesso perché nel momento in cui si lavora su un progetto creativo e si ha anche una relazione sentimentale si creano tutta una serie di dinamiche che è molto difficile gestire. In più il brano parla di un tema che mi è carissimo, la mia pelle, con cui ho sempre avuto un rapporto un po' conflittuale. Aprire questo tema ad un'altra persona, benché sia una persona che io amo moltissimo, è stato difficile. Sono usciti tanti scheletri dall'armadio.
Quando parli di pelle, intendi la pelle del viso?
Sì. Il testo è stato ispirato da un piccolo attacco di panico che ho avuto perché mi sembrava che una determinata persona mi stesse guardando in un modo strano. Era un momento in cui soffrivo molto di acne e quindi ero andata subito in paranoia. La pelle è il nostro primo rapporto con l'esterno. Le persone ti vedono e ti riconoscono attraverso la pelle.
E invece il pezzo che non vedi l'ora di cantare in concerto?
Be Like a Spider, she said. Il brano più divertente da suonare che io abbia mai scritto. Soprattutto quando sono con la mia band e poi The Equilibrist. Qui esce fuori tutta la mia parte più teatrale, più streghetta del palco, un po' musical anche se vogliamo.


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Parliamo proprio dei live. Come approcci il palco e cantare davanti a delle persone che ti ascoltano, che possono conoscere la tua musica ma anche no?
Con estrema serietà. In questi tre anni mi è capitato di suonare e cantare in palchi molto diversi, da palchi molto grossi, in alcune fortunate circostanze, o palchi molto piccoli. Mi è capitato di suonare anche davanti a persone che erano inserite in contesti che non c'entravano niente con la mia musica e quindi c'era poco ascolto, piuttosto che in contesti in cui c'era tutta l'attenzione su di me. Provo tantissima religiosità nei confronti del palco, lo vedo come una zattera nel bel mezzo del mare che devi tenere in equilibrio e per farlo devi avere una grande consapevolezza di chi hai dietro, davanti, alla tua destra o alla tua sinistra.
Per me è importante tenere il palco anche nelle situazioni in cui sento che le persone non ascoltano perché magari è una situazione molto confusionaria. Lì entra in gioco la mia serietà e il quantitativo di professionalità che voglio mettere in questo lavoro. Per esempio penso: “per me la sfida oggi è far stare zitte le prime cinquanta persone che vedo”. Credo che l'artista abbia una grandissima responsabilità, non solo di arrivare emotivamente il più possibile al pubblico che ha davanti, ma abbia la responsabilità di restituirti un'esperienza.


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Tu hai iniziato relativamente da poco ad esibirti e sei giovane, però hai già un obiettivo? C'è un punto dove vorresti arrivare?
Ci penso spesso e credo la domanda sia anche: cosa significa per me avere successo? Ho scoperto con il tempo che la risposta a questa domanda cambia ogni volta che me la fanno. Penso che la cosa più importante sia continuare a fare arte e per continuare è necessario che il mio percorso diventi sostenibile psicologicamente, emotivamente, ma soprattutto economicamente. Nel momento in cui riuscirò a fare i dischi visionari che voglio fare, perché ho tantissimi sogni nel cassetto a livello proprio di prossimi dischi, con una certa tranquillità che mi lascia tempo anche per dedicarmi alla me individuo che non è artista, allora potrò dire: sono arrivata dove voglio arrivare.
Infatti in questi giorni abbiamo parlato anche un sacco di come sia difficile sostenersi come artista un po' a tutti i livelli, però ovviamente nell'industria musicale indipendente ancora di più ,e ancora di più per te che canti in inglese. Quindi prima di tutto ti chiedo: come mai hai deciso di non cantare in italiano al momento? Che è una domanda idiota che fanno spesso a chi canta in inglese lo so, però sono sinceramente curiosa.
Allora, perché canto in inglese? Non so se lo so, però sicuramente so che fin da piccola ho sempre proprio avuto una grandissima fissazione per questa lingua e anzi mi sono sempre sentita un po' strana per essere nata in Italia ed essere italiana. Un po' anche per il mio aspetto fisico, tutti mi scambiano per una irlandese o comunque nord-europea. E poi ho sempre avuto una predisposizione naturale per la lingua e da molto tempo mi capita anche di sognare in inglese, di scrivere sul mio diario un pensiero e scriverlo in inglese. Mi sono sempre posta l'obiettivo di imparare la lingua al meglio perché ho sempre avuto il sogno di poi trasferirmi all'estero. Quindi è proprio una cosa che mi viene estremamente naturale.
Ho provato anche a scrivere in italiano a volte per vedere se mi piaceva. E molto onestamente tutto ciò che di italiano esce da me è davvero mediocre, proprio di un bassissimo livello. Io stimo moltissimo chi riesce a scrivere in italiano e risultare credibile e fare della bella musica.
Io non ci riesco e non ho, devo dire, neanche molto interesse nel farlo perché proprio sento che non mi rappresenta.
E secondo te è necessario cantare in italiano per poter stare in Italia?
All'inizio ero piena di speranze perché mi dicevo “con me sarà diverso!”, però mano a mano che vado avanti vedo che - a meno che non si apra un canale miracolosamente - anche solo esportare la musica scritta in inglese dall'Italia all'estero è proprio una missione quasi impossibile. Soprattutto per il genere che faccio io non c'è moltissimo pubblico, e questo è un pensiero che ho sviluppato recentemente che mi ha proprio aperto gli occhi.
In Italia abbiamo Napoli, abbiamo la Sicilia, abbiamo Roma. Siamo abituati a dei colori e delle sonorità diverse, le mie forse appartengono più al Nord Europa.
Dici che è molto difficile esportare la musica dall’Italia, ma Internet, il digitale, i social, secondo te possono aiutare? Sono un mezzo, uno strumento che utilizzi, che ti piace, o anche solo per piacere li usi, oppure no?
Mi metti molto in difficoltà (ride - ndr) perché per lavoro e per bisogno passo un sacco di tempo sui social network e alla fine non riesco ad elaborare un post fatto bene in meno di venti minuti, mezz'ora. Poi mi dico, cavolo, pensa se domani ci fosse un blackout totale nel mondo e tutto il lavoro di questi anni per farsi un profilo social, che è anche un po’ il tuo portfolio, andasse tutto perso. Allora lì forse ci renderemmo conto del fatto che è tutto intangibile, che non esiste.
Quindi cerco di usarli il meno possibile, ma sicuramente se si vuole portare avanti un progetto che abbia un certo tipo di visibilità sono necessari. Non mi piacciono, ma li uso un po' a modo mio, seguendo le mie regole e quello che piace a me.



Abito e sabot SPORTMAX
Parliamo di moda. Abbiamo fatto servizio fotografico e tu eri molto coinvolta, avevi anche delle bellissime idee! Com'è il tuo rapporto con lo stile e anche con la moda che porti sul palco?
Negli ultimi anni ho scoperto che mi piace tantissimo la moda come mezzo di espressione. Vestirmi in un certo modo sul palco mi dà un'energia piuttosto che un'altra. Può essere l’armatura che mi porto, che mi dà forza e allo stesso tempo mi protegge, ma anche mi aiuta ad accentuare un qualcosa che voglio sottolineare e comunicare. Il mio stile cambia di data in data. Alcune volte voglio mostrare il mio lato più soft, delicato, altre volte in cui invece sento il bisogno di contrastare questa mia inclinazione e vado nella direzione opposta.
Negli ultimi anni ho avuto il piacere di collaborare con degli artisti e designer indipendenti, con cui abbiamo disegnato abiti, creato con materiali riciclati, che è una cosa che mi piace moltissimo portare avanti. La moda non sono solo vestiti, ma è anche una forma d'arte. E mi piace moltissimo quando l'abito non è solo abito, ma porta un messaggio, racconta una storia o si trasforma in qualcos'altro, perché allora lì riesco a vedere un percorso, una luce.
E ti piacerebbe anche creare i tuoi stessi abiti?
Sì, ho iniziato da quando ho aperto il concerto di Bon Iver e mi mancava un abito da indossare, però era un concerto importante e volevo qualcosa che mi rappresentasse completamente. E quindi a 24 ore dal concerto ho trasformato un abito che avevo nell'armadio, l'ho stretto, l'ho accorciato, ci ho aggiunto delle cose. E lì mi sono resa conto che il costume-making mi entusiasmava tantissimo. Ho proprio pensato: potrei fare anche questo.
A volte penso che sarei dovuta nascere meno creativa. Mi piace scattare in analogico, mi piace cantare e scrivere, mi piace tantissimo fare le sculture, mi piace fare i costumi.
Quando ero a liceo e mostravo tutti questi interessi nei confronti delle varie discipline artistiche, mi hanno sempre fatto sentire molto inconcludente. Del tipo: apri tante porte, ma non entri da nessuna parte. Fortunatamente ho avuto sempre un'innata fiducia nei confronti del mio istinto, e quindi ho seguito quell'apertura di porte, anzi, ne ho aperte ancora di più. E poi, anni più tardi, mi sono resa conto che tutte queste piccole porte che avevo aperto confluivano in una grande porta che sono io come artista. Quindi meno male che ho fatto tutto questo percorso che mi ha fornito degli strumenti che tengo in tasca e che spontaneamente escono fuori. È come se stessi tessendo una grande coperta, tutti questi fili colorati alla fine fanno una grande coperta colorata.



Denim LEVI'S e borsa MICHAEL MICHAEL KORS
Anche la copertina dell'album è una performance, giusto?
La copertina è un'idea che è nata insieme al titolo. Mentre stavo scrivendo tutti i brani, prima di far uscire l'EP, mi sono chiesta cosa volessi che rimanesse alle persone dopo tutto l'ascolto di questo disco. E mi sono risposta che voglio che rimanga un barlume di speranza e che la soluzione di tutto, o l'unica cosa che veramente è importante è l'amore, e sostenersi a vicenda.
Quindi mi sono subito immaginata questa "palla" di esseri umani che si abbracciano. E all'inizio me la immaginavo al centro di un cielo terso, e poi alla fine si è trasformata in un'immagine più semplice, anche se giungere a quella sintesi è stato molto lungo. E ci tenevo a scattarla io e ci tenevo anche a non essere dentro l'immagine, per la prima volta.
Forse proprio per mettere in questo tuo lavoro anche un’altra tua parte artistica?
Sì, perché in concomitanza con la scrittura di questo disco, l'unica altra forma di esorcizzazione di quel dolore era la fotografia analogica. Mi sono ritrovata con un archivio di scatti che raccontavano quello che stavo attraversando e che è finito in un libretto nel vinile. E poi è un disco talmente autobiografico che almeno in copertina volevo mettere al centro gli altri, che fossero loro la rappresentazione di quel concetto.
Grazie all'aiuto di Susanna Beltrami, che è una persona meravigliosa, un'ex ballerina che ha creato l'Accademia Susanna Beltrami a Milano, ai suoi dieci studenti, e Arianna Balestieri, che mi ha aiutato a dirigere i movimenti di quel giorno, e insieme a Daniele Frediani che mi ha sostenuto tecnicamente, mi sono appesa a quattro metri con una fune nel soffitto di questa scuola di danza. Soffro di vertigini, quindi è stata una prova immensa.
E il rapporto con la tua immagine come lo vivi?
Lo sto scoprendo, perché nel 2025 essere cantautrice e musicista vuol dire occuparsi anche della propria immagine. Non che prima, negli anni 90, non se ne interessassero, ma sicuramente si era meno esposte e un po’ più spontanee.
All'inizio mi facevo molti più problemi, adesso invece sono molto più tranquilla in generale. Per ora sento il bisogno di esplorare diverse anime, diversi stili. Anche a seconda del disco e della musica che faccio. Ogni disco ha un'anima molto ben definita e si passa attraverso anche un po’ le fasi, i colori di ciascun disco. Questa è una cosa che a me piace molto.

Occhiali da sole MICHAEL MICHAEL KORS, top VIVIENNE WESTWOOD
Mi viene subito in mente PJ Harvey - parlo sempre di lei lo so, perdonami - che all'inizio soprattutto nei primi 4-5 album è veramente chiaro che stia passando delle fasi ben precise sia musicali che di stile. Questa per me è una cosa molto bella, perché dà la possibilità a un artista di poter cambiare. Non è vero che bisogna sempre fare la stessa musica, no? Sei sempre tu, però crei e cerchi qualcos'altro e lo stesso succede con il tuo stile.
Certo. Adesso stiamo facendo passi da gigante in questo senso, ma c'è ancora un piccolo pregiudizio nei confronti del cambiamento di stile da parte degli artisti, che secondo me è deleterio e anche contro natura perché non puoi pretendere che un artista o una persona sia esattamente quella cosa lì per tutta la vita.
Dove ti vedremo in concerto?
Qui sotto trovate le date confermate ad oggi, ma ne aggiungeremo sicuramente delle altre:
22.06 | Grizzana Morandi / La Tre Giorni Festival
04.07 | Aquileia (UD) / Parco Archeologico
10.07 | Ravenna / Nell'arena delle balle di paglia
26.07 | Brescia / Diluvio Festival
01.08 | Castelbuono (PA) / Musaic-on
03.08 | Ortigia (SR) - La Barca
E cosa ti auguri quindi per questa estate?
Mi auguro di divertirmi tantissimo e di far divertire anche voi.
Credits:
Foto e Art Direction: Sara Reverberi
Mua/Hair: Loren Conceicao
Creative e Art Direction: Sara Moschini
Location: Six Senses Crans-Montana
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