La passione per la moda – e il gusto per il bello – è un fattore genetico. Qualcosa che si tramanda di generazione in generazione e la storia di Giuseppe Damato, 31 anni, esperto di comunicazione, ne è una prova. Lo incontriamo a Milano, dove ormai vive da molti anni, dopo aver lasciato la sua città natale, Napoli, con la quale – ammette – il rapporto è molto particolare: la definisce creativa, ricca di colori e spunti, eppure solo guardandola da lontano è riuscito ad apprezzare le sue caratteristiche più belle. È a Milano che Giuseppe ha realizzato i suoi sogni, trasformando le passioni in progetti concreti. Nel suo curriculum ci sono esperienze in grandi aziende del lusso dove Giuseppe ha portato, anche quando era alla prime armi, una ventata di freschezza e un tocco di irriverenza che ci ha subito conquistato. Vi raccontiamo perché in questa intervista la narrazione dei ricordi crea un intreccio peculiare con alcuni oggetti da collezione scelti dal protagonista seguendo un unico criterio: il cuore.
Partiamo dalla tua passione principale: la moda. Come nasce?
Ho sempre amato questo mondo, sin da piccolo. Quando vivevo a Napoli, avevo un negozio di riferimento dove andavo spesso per scegliere ciò di cui avevo bisogno. Entrare in uno store è un momento quasi magico. Mi lascio guidare dal mio istinto; ho bisogno di toccare un capo per capire se è quello giusto per me: è una sorta di processo empatico imprescindibile. Per me i sensi sono importanti e quello per il tatto mi è stato tramandato da mia nonna che, a sette anni, ha cucito il suo primo cappotto. Mia nonna, che tutti chiamavano “la sartina”, faceva abiti su misura per le famiglie facoltose di Napoli e, nel periodo del secondo dopoguerra, è diventata capo reparto de La Rinascente di Milano, pur continuando a lavorare da Napoli dove ha realizzato alcuni degli abiti più belli per Valentino. Sono cresciuto con i suoi racconti ed è stata proprio lei a trasmettermi l'importanza del lavoro sulla materia prima e il gusto per le cose uniche. Ecco perché, per esempio, nel mio guardaroba c'è un abito di Prada, un doppiopetto di raso dell'attuale collezione invernale, che è un pezzo raro di cui mi sono subito innamorato: negli store c'è soltanto la versione in monopetto.
Sei un creativo che ama i cambiamenti che studi e fai tuoi. Però, allo stesso tempo, ci sono abitudini e oggetti ai quali sei legato da sempre...
È così. Ci sono cose che porto sempre con me e dalle quali non potrei mai allontanarmi: un cornetto, regalo di mia nonna, un porta fortuna in corallo, pietra porosa che, secondo la leggenda, assorbe le energie negative. O, ancora, un orologio Cartier – il modello indossato da Lady Diana, una figura iconica per me e una donna di cui ho sempre apprezzato l'irriverenza – che ho comprato quando ho compiuto 30 anni. E, poi ci sono oggetti che sono testimonianza di un cambiamento creativo e che ho voluto proprio per questo motivo. La giacca di Gucci, per esempio: fa parte della seconda collezione di Alessandro Michele e per me segna il suo debutto nell'azienda. Questa giacca testimonia un importante processo di trasformazione.
Quanto raccontano del tuo passato gli oggetti a te più cari?
Tantissimo. Per esempio, amo i cristalli e le pietre preziose. Il cristallo, oggetto ben delineato ma allo stesso tempo multisfaccettato e, quindi, sempre diverso in base a come riflette la luce, mi ricorda lo chandelier della mia casa a Napoli. Sono molto legato alla luce e amo anche indossarla (nella foto: una camicia dell'ultima collezione di Prada con motivi di Swarovsky, ndr).
Non possiamo fare a meno di notare l'anello che indossi al dito medio: anche questo oggetto ha una storia particolare?
Assolutamente sì: è una fede d'oro che ho comprato dopo un periodo molto difficile. L'ho trovato in una gioielleria vintage, l'ho acquistato, sono andato in chiesa e l'ho indossato promettendomi di volermi ancora più bene. Non sono religioso ma credo a una entità superiore che gestisce i nostri destini e in quel momento avevo bisogno di dare una svolta alla mia vita. Anche questo oggetto mi ha colpito al primo istante. In genere funziona così: se mi piace davvero qualcosa, cerco di averla.
(Apre l'armadio, ndr): è successa la stessa cosa con questo spolverino in tessuto tecnico in doppiopetto di Prada, un rework maschile dello stesso capo della collezione P/E 2019 indossato in passerella da Gigi Hadid.
Credi molto nella bellezza e, non a caso, hai lavorato alla creazione di due brand come EspressOh e Honieh Beauty. Qual è la tua beauty routine?
Molto essenziale e, in quanto uomo, basata sullo skincare. Non rinuncio mai alla doppia detersione e all'esfoliazione tre volte a settimana. Poi, uso sempre una crema e un siero idratante. Grazie al mio lavoro e al contatto quotidiano con make-up artist e skincare specialist, ho imparato molte cose e ho trovato un metodo ideale per la cura della mia pelle. Per me, è importante avere una cute pulita e naturale e penso che la detersione sia fondamentale per togliere via il colorito grigio tipico di chi vive a Milano.
A proposito di lavoro e di immagine, oggi Instagram è una piattaforma fondamentale per comunicare, e tu lo sai bene. Qual è il tuo rapporto con i social network?
Instagram per me è un mezzo di lavoro, una vetrina, e spesso di spontaneo c'è davvero poco. Ecco perché amo le stories: sono più immediate e “vere” e permettono di raccontare il brand e le persone in modo più istantaneo. Instagram è fondamentale per far rete e costruire relazioni ma deve essere un mezzo che permette di passare dal primo approccio a un vero e proprio incontro. Credo molto nei rapporti umani e non ci si può limitare a un fermo immagine: bisogna scoprire cosa c'è stato prima e cosa c'è dietro uno scatto. In qualche modo bisogna “far parlare” il feed di Instagram, ma sono poche per le persone che ci riescono.
Come pensi che evolveranno i social network?
Mi piacerebbe che questo portfolio online di talenti andasse oltre la Rete e che a uno storytelling più istituzionale si affiancasse un racconto fisico che va oltre lo schermo. Tra un brand e una persona ci deve essere comunanza di valori; è importante essere onesti al di là del rapporto di lavoro ed essere coerenti con quello che si è e che si fa. C'è un tema di credibilità nelle professioni digitali: devi essere credibile, allo stesso tempo, online e offline. Non dobbiamo perdere la dimensione fisica nelle relazioni: è un rischio concreto quando tutto è filtrato da uno schermo. È anche l'unico modo per combattere storture orribili come il bullismo online.
Che cosa consigli a chi vuole lavorare nel mondo della comunicazione?
Serve passione e determinazione, voglia di esplorare e sperimentare cose nuove. Ma, prima di tutto, prima di cominciare a comunicare qualcos'altro, devi essere consapevole di quello che sei e dei tuoi limiti: sapere cosa si è in grado di fare e farlo.
Sfogliate la gallery con gli scatti di tutti gli oggetti citati nell'intervista
Dal cornetto all’orologio: ecco gli oggetti del cuore di Giuseppe Damato
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Credit ph: Daniela Losini
Artwork: Simona Rottondi
Intervista e wording: Michela Marra
Hair and make-up: Melly Sorace
Thanks to Sara Moschini
#onmyvanitytable series created by Daniela Losini
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