Brie Larson: Torno solo per stupirvi ancora
In questa intervista Brie Larson racconta come ha affrontato due obiettivi in questo anno di assenza dalle scene: sfidare un gorilla di 10 tonnellate e interpretare una delle supereroine più famose
Scusi, Brie, dov’era finita? Esattamente un anno fa eravamo tutti a parlare di lei, dell’interpretazione nel film Room che le valso un Oscar, del fatto che nei mesi successivi l’avremmo vista ovunque. E invece è quasi sparita.
«In realtà ho fatto la solita vita. Frequento le stesse persone, porto a spasso i miei cani, continuo a chiedermi se, come attrice faccio, qualcosa che abbia impatto sul modo in cui la gente vede il mondo. Insomma, ero impegnata a essere me stessa».
Un anno dopo la statuetta ricevuta dalle mani dell’attore Eddie Redmayne, Brie Larson, 27 anni, si conferma il più affascinante oggetto misterioso di Hollywood (vedi anche a pagina 86). La incontro all’hotel JW Marriott di Los Angeles, dove l’attrice americana arriva in un abito nero monospalla di Rosetta Getty. Ha i capelli raccolti e un timido sorriso, anche se stiamo per parlare di Kong: Skull Island (nelle sale dal 9 marzo), il film d’avventura in cui interpreta, accanto all’inglese Tom Hiddleston, una determinata fotogiornalista che deve sopravvivere su un’isola dove si aggira un gorilla di 10 mila tonnellate.
Insieme con Avengers: Infinity War, che vedremo il prossimo anno e dove sarà la supereroina Captain Marvel, è uno dei due kolossal ai quali Larson partecipa dopo il suo successo globale.
«In realtà non è andata come tutti pensano», mi spiega Brie. «Avevo fatto i provini per Kong prima che Room venisse addirittura presentato. Trovo divertente che tutti mi credano capace di chissà quali strategie hollywoodiane. La verità è che non sapevo che cosa sarebbe successo con Kong e ancor meno con Room, che poi ha vinto l’Oscar. Non so mai che cosa accadrà nella mia vita».
In realtà Larson, il cui vero nome è Brianne Sidonie Desaulniers, è tutt’altro che una ragazza sprovveduta come sembra far credere: in questi giorni ha preso posizione contro il presidente americano Donald Trump, sia schierandosi a fianco degli indiani Sioux del North Dakota, contrari all’oleodotto in costruzione, sia contro la decisione di cancellare la norma che permette alle scuole di lasciar decidere agli studenti transgender quali bagni usare.
Inoltre a meno di 30 anni l’attrice ha già diretto due cortometraggi e ha una relazione con il musicista Alexander Greenwald, voce della rock band californiana Phantom Planet. Eppure, se si eccettua qualche red carpet al quale non poteva dire di no e i soliti set blindati, Brie negli ultimi tempi si è fatta sentire su Twitter, ma si è fatta vedere ben poco.
Allora, che cos’altro ha combinato, a parte scappare dai gorilla giganti? Secondo alcuni si è nascosta dalla fama.
«Ho lavorato. Di solito non presto molta attenzione ai commenti su di me che leggo in giro. La mia politica è staccare da tutto perché so che, prima o poi, troverei qualche cattiveria che finirebbe per far sorgere mille dubbi in me. Quindi ignoro tutto, anche se così finisco con il perdermi molte cose positive».
Lei, di questi tempi, sembra molto impegnata nelle battaglie civili che riguardano i nativi d’America e le comunità transgender. Come mai?
«Amo molto il cinema e la sua capacità di poter aprire la mente delle persone. Ci sono storie capaci di renderti più vulnerabile, ma anche di metterti in contatto con mondi che non conoscevi. Ma quello che funziona sul grande schermo poi te lo porti dentro, non ne puoi fare a meno, e allora provi a trovare il modo di avere un’influenza positiva anche nella vita di tutti i giorni».
Non mi dica, però, che la sua, dopo l’Oscar, è davvero rimasta la stessa.
«Ho dovuto viaggiare di più, arrivare fino in Australia per alcune riprese, fare e disfare più spesso i bagagli».
Non le piace stare lontana da casa?
«Mi piace moltissimo: adoro svegliarmi in luoghi diversi e non mi pesa neanche doverlo fare da sola. Di carattere sono sempre stata un po’ un’esploratrice solitaria. Non posso fare a meno di quella strana sensazione che provo quando mi trovo in un luogo per la prima volta e sento di essere già stata lì. In altri, invece, passo due-tre mesi e, alla fine, più che aver fatto una trasferta mi sembra di aver vissuto altrove».
Che cosa non può mancare nel suo bagaglio?
«Non porto mai abiti troppo eleganti o accessori a cui tengo particolarmente. Mi accontento di scarpe comode, vestiti in cui non mi senta a disagio e più di un paio di cuffie perché adoro ascoltare musica, ma le perdo in continuazione. Un’ultima cosa che ormai mi accompagna da un po’ sono le vitamine e altri rimedi naturali: anzi, a dire il vero, ho proprio una borsa solo dedicata a quelli perché nella mia agenda non ho spazio per concedermi nemmeno un giorno di malattia».
E tempo per l’amore ce l’ha?
«Ho un sacco di tempo per quello, e lo tengo per me. Non vedo l’ora di concedermi una vacanza, lo ammetto, ma faccio in modo di avere comunque una vita privata: su questo non transigo. Sto molto attenta che al tempo che passo a concedere interviste corrispondano, per esempio, dei momenti per me: magari prendendomi un’ora per truccarmi bene, o cucinare qualcosa per la cena, fare un po’ di giardinaggio o qualunque altra cosa che mi permetta di sporcarmi le mani e giocare un po’ come se fossi una bambina. È l’unico modo che ho per mantenermi serena e non pensare solo al lavoro».
Negli ultimi anni ha lavorato in teatro, pubblicato un album (Finally Out of P.E.), lavorato in film campioni d’incassi e diretto cortometraggi. Le interessano tante cose, ma qual è il suo obiettivo?
«Non lo so. Da quando ho 7 anni sono sempre stata una persona con le idee chiare: ogni anno compilavo una lista di cose da fare e di traguardi da raggiungere. Sognavo di essere la protagonista di un film, e ci sono riuscita con Short Term 12, nel 2013. La mia lista è ancora lunga e io sono ancora intenzionata ad andare avanti. Con una nuova sfida».
Quale?
«Vorrei che il mondo fosse più bello e più pacifico, o almeno vorrei lasciarlo in condizioni migliori di come l’ho trovato. Con il cinema posso provare a mandare un messaggio del genere».
Oppure può trasformarsi in una supereroina come Captain Marvel, che vedremo nel nuovo film della serie The Avengers. Che tipo di donna sarà?
«Gli amanti dei fumetti hanno tante aspettative e ho paura che qualcuno resterà comunque deluso. In generale Captain Marvel è una ragazza che crede nella verità e nella giustizia: è un ponte tra due mondi, la Terra e lo spazio, nella speranza di rendere migliori gli esseri umani. E poi ovviamente può volare, sparare roba con le mani. È anche un personaggio molto divertente».
Kong le è servito da allenamento? Un film d’azione, di solito, richiede un fisico all’altezza.
«In effetti per quel set mi sono dovuta allenare tutti i giorni per almeno due ore: è stato faticosissimo. Per un’ora facevo una via di mezzo tra pesi e corsa. Poi, quando avevo le gambe della consistenza di una gelatina, facevo un’ora di Pilates, tirando i muscoli al massimo. Alla fine, ero uno schianto nei top attillati, sì, ma la vera fatica è iniziata durante le riprese: non ci siamo fermati mai. Penso che ci sia una sola scena in cui siamo fermi per mezzo secondo. O forse l’hanno tagliata?».
No, non credo. A riprese finite ha continuato con la palestra?
«No, onestamente mi sono rilassata. Scherzi a parte, credo che per stare bene il fisico abbia bisogno di un certo equilibrio e il mio aveva sicuramente bisogno di ritrovare il suo».
Conosceva Captain Marvel?
«Non molto. Da bambina i miei genitori si sono separati, mia madre mi ha portato a Los Angeles e non sono andata a scuola come tutti: ho studiato con lei. Insomma, sono dovuta crescere per conto mio, senza amici che mi passassero i fumetti dei fratelli o cose simili. Questo per dire che ho capito l’importanza del personaggio solo dopo aver fatto il provino e accettato la parte».
Lei recita da quando è bambina e ha vinto un Oscar: ormai le audizioni non la spaventeranno più.
«Le affronto con più serenità, ma sono sempre un’esperienza frustrante. Quando entri, premi o no, non sai mai che cosa si aspettano da te le persone che hai davanti».
E lei come fa?
«Immagino che tipo di persona sono e poi mi lascio andare. Nei film minori è più facile, sai già tutto della trama. Ma nei grossi progetti, come Kong, è tutto top secret e, a volte, non sai neanche per che genere di film stai cercando di ottenere un ruolo. Ma anche questo forse rende il gioco più divertente, non crede?».
© Riproduzione riservata