Fotogallery Punk: cinque cose che dovete sapere
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In vista del MET Ball ripercorriamo la storia (fashion) del punk
“Oggi posso far vedere a tutti un sano paio di Doctor Martens nuovi, girando l’anfibio destro di lato in modo che prenda il sole[...]. Appena portati a casa questi Doctor Martens, sono subito uscito di nuovo e li ho strofinati ben bene con un mattone, ho aggiunto dei bioccoloni di cera rosso ciliegia e poi ho lustrato la pelle finché non mi faceva male il braccio.”
John King - Human Punk
Nel Febbraio del 1978, le pagine degli spettacoli dello “Standars”, un giornale della sera di Londra, annunciarono: “Il punk è morto”. Grazie a gruppi come i Sex Pistols e i Clash e incarnatosi in personaggi come Sid Vicious, il punk è diventato uno stile sotto culturale che, a quarant’anni dalla sua nascita, è invece ancora vivo per l’influenza che esercita in quanto fenomeno di stile. La ribellione insita nell’attitude punk, oggi è riconoscibile da determinati connotati stilistici utilizzati su passerelle e streetstyle.
Ecco 5 cose che dovete sapere sul punk in vista dell’inaugurazione della mostra Punk: Chaos and Couture al Metropolitan Museum di New York e del MET Ball .
1) Origini: il punk nasce effettivamente come fenomeno musicale: le scene rock di Detroit e di New York alla fine degli anni 60, hanno aperto la strada grazie a band come i Velvet Underground, The Who, gli Stooges e i Television che iniziarono ad allontanarsi dal rock classico, sperimentando un sound d’impatto, chiamato più specificatamente “proto punk”. Il termine “punk” venne infatti associato in definitiva a quella sonorità ruvida e intenzionalmente grezza adottata dal movimento del ’77 in Gran Bretagna. Le radici del punk affondarono nell’emarginazione sociale giovanile, nel contropotere commerciale delle etichette discografiche indipendenti, nella crisi della società inglese ed europea di fine anni Settanta, nell’insofferenza del pubblico più colto per il pop confezionato dalle multinazionali. Storicamente per “punk” s’intende quel complesso di artefatti, eventi e istituzioni, fioriti negli anni 1976-1978. Il punk era anarchia, distruzione e contraddizione di tutto ciò in cui la società credeva. L’unico credo politico era il nichilismo, il suo motto “no future”. Uno dei risultati importanti del punk fu la capacità di mettere a nudo le operazioni di potere che esercitavano le istituzioni nelle attività del tempo libero. La sfida complessa del punk offrì un’opportunità unica: quella di vedere come il potere produca significato nella storia della cultura.
2) Terminologia: il termine”punk” ha molteplici accezioni. Compare per la prima volta nel 1500 per indicare le “meretrici", nel corso degli anni assume diversi significati (da "legno marcio" a "teppista") con il comun denominatore di connotazione negativa. Ellen Willis, in un saggio sui Velvet Underground, affermò che il termine “punk” non venne usato genericamente fino all’inizio degli anni 60, quando i critici iniziarono ad applicarla a rocker con stile aggressivo.
3) Vivienne Westwood e i Sex Pistols: in principio, la giovane Vivienne era insegnante ma, nel mentre, creava anche una propria linea di gioielli. Nel 1961 sposò Derek Westwood, ma di lì a poco incontrò Malcom McLaren e la sua vita cambiò radicalmente. Verso la fine degli anni 60 il movimento hippie era ancora in voga a Londra ma Vivienne e Malcolm erano più interessati a particolari di abbigliamento, musica e memorabilia del 1950. Così la Westwood iniziò a creare abiti teddy boy per McLaren e nel 1971 decisero di aprire assieme il Let it Rock al 430 di Kings Road. Nel 1972 gli interessi della designer si rivolsero ad un abbigliamento più da biker (zip e pelle) per cui cambiò immagine al negozio: venne rinominato “Too Fast to Live, Too Young to Die” e il logo era un teschio con ossa incrociate. Seguì così una collezione di t-shirt con messaggi provocatori e libidinosi, che scatenarono nei due ribelli inglesi un nuovo cambio di rotta per il loro negozio, questa volta ancora più forte. Nel 1974 venne, infatti, ribattezzato “Sex” e l’abbigliamento in vendita era fetish e bondage (PVC, spille di sicurezza, lame di rasoio o catene di bicicletta su pantaloni e t-shirt) poiché la Westwood sosteneva proprio che l’impedimento e la costrizione restituivano al corpo, una volta indossato l’abito, una sensazione di libertà. In quegli anni McLaren diventò il manager dei Sex Pistols, i primi ad indossare le creazioni della Westwood. Con gesti oltraggiosi, testi e musica decisamente sovversivi, i Sex Pistols balzarono sulle pagine di tutti i giornali e da quel momento in Gran Bretagna ebbe inizio il punk.
4) Punk Couture: il linguaggio vestimentario rendeva esplicito il dissenso: il punk era frutto del dressing down con vestiti strappati, collage di pezzi diversi riciclati che creavano una guerriglia semiotica, ma all’interno della sua stessa cultura, generò una sorta di attenzione per il dettaglio. A differenza dei look mood, new wawe e skinheads dalle linee strette, attillate e abbottonate, il punk lasciava esposta ad attacchi, a piercing, a scaring e tatuaggi, molta superficie di pallida pelle. Metteva in scena acconciature disordinate con tinture vivaci e creste con il dip-dye; il trucco era pesante, i volti ricoperti di cerone bianco, occhi cupi e rossetto pesante. Punk, però non era solo provocazione fino all’oltraggio ma anche avanguardia, poiché introdusse la questione del gender all’interno della moda. Se da un lato aspirava ad abolire le regole del dress code per determinati contesti sociali attraverso stampe pornografiche su t-shirt, calzando anfibi di colore diverso (chiamati shitkickers – schiaccia merda) dall’altro istituì due diverse tipologie di guardaroba femminile: con stiletto e calze a rete bucate, o con anfibi militari e dal look decisamente androgino e aggressivo. I celebri anfibi Doc Martens dovevano essere quelli con 18 buchi, cioè 9 per parte. Il punk, inoltre, invertì l’ordine dell’underwear con l’outwear, rievocando da un lato il lusso aristocratico che esponeva i pizzi delle sottovesti e dall’altro evidenziando un segno contro culturale. Tutto era svuotato di significato, anche il “pogo”, loro modo di ballare, era l’annullamento fine a se stesso nella folla.
5) Punk on catwalk: essendo il punk un fenomeno di stile basato principalmente sui dettagli, viene rivisitato e riproposto sulle passerelle proprio partendo dai medesimi. Per la primavera/estate 2013, si va dalle calze a rete e il polsino in pelle con cinturino di Araisara, ad Alexander McQueen con le open toe dal fondo glitterato, tomaia e cinturino in vernice con retina, alla rivisitazione dei bikers da parte di Alexis Mabille, alle décolletées fetish con plateau di Jean Paul Gaultier, sino alle chunky heel di Vivienne Westwood e al dip-dye sui capelli delle modelle di Oscar De La Renta e Peter Som. Nei total look, invece, vengono riportati gli strappi, le decostruzioni e gli accostamenti di pelle con stampa check, propri dello stile punk.
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