Pierre Niney: il rapinatore di anime
La sua capacità d’interpretare uomini tormentati, come il protagonista del film che ha portato al Lido, lo ha fatto diventare la promessa del cinema francese. Ma Pierre Niney si nutre di emozioni forti anche fuori dal set. Perché, racconta a Grazia, per lui vivere è assecondare ogni istinto
Magrissimo, chic, incarnato pallido, porta spesso baffi sottili e ha una voce delicata: l’attore francese Pierre Niney sembra un uomo uscito da un altro secolo. Ed è perciò l’interprete ideale di personaggi tormentati, fragili, romantici, pronti a gesti estremi. A 27 anni gira un film dietro l’altro e riceve i premi più prestigiosi come il César, l’Oscar francese. A 20 è stato l’attore più giovane mai ammesso alla Comédie Française, la leggendaria istituzione teatrale fondata da Luigi XIV. Viene da una famiglia intellettuale (il padre è critico di cinema e documentarista) e ha respirato cultura da quando è nato. La prova? Quando ci incontriamo per questa intervista, Pierre mi rivela: «Il mio idolo è il poeta Arthur Rimbaud. È vissuto nell’Ottocento, ma per me è come se fosse ancora in mezzo a noi».
Poi, conoscendolo meglio, scopro che ha delle passioni contemporanee: il surf, il tifo per il basket americano, i social network, la moda. Le foto di queste pagine vi danno un’idea della sua naturale eleganza. «Anche se adoro la letteratura, il teatro e la filosofia, sono un ragazzo di oggi», esclama Pierre sorridendo.
È gentile, simpatico e, in occasione di un evento promosso da Montblanc, la maison di cui è un amico speciale, accetta di raccontarmi un po’ di sé vincendo l’innato pudore. In Italia lo abbiamo ammirato nel ruolo complesso dello stilista Yves Saint Laurent nel film biografico di Jalil Lespert. Poi, in versione decisamente più leggera, nella commedia Vent’anni di meno amava una donna più grande di lui. Lo ritroveremo in Frantz di François Ozon (nelle sale dal 22 settembre, dopo essere stato in concorso alla Mostra di Venezia), raffinato dramma in bianco e nero ambientato all’indomani della Prima Guerra mondiale. L’attore interpreta un giovane francese che porta fiori sulla tomba del soldato tedesco da lui ucciso in battaglia: l’incontro con la ragazza che il caduto doveva sposare (l’attrice Paula Beer, bellissima), il senso di colpa e il desiderio di farsi perdonare dai genitori della vittima daranno origine a una serie di menzogne e a un amore impossibile. «Per girare il film ho dovuto imparare a parlare il tedesco e a suonare il violino», mi racconta Niney.
È stato difficile incarnare la fragilità, il mistero e la sensibilità estrema del suo personaggio?
«No, perché mi sono affidato al regista e mi sono lasciato trasportare dalla storia, che mi ha folgorato: i due protagonisti non smettono di mentire credendo di far del bene, soprattutto agli anziani genitori del caduto. Non è sbagliato. La bugia non sempre è deleteria, a volte può avere una funzione benefica».
Conosceva bene il periodo della Grande Guerra?
«Mi sono documentato frugando negli archivi, guardando film e documentari d’epoca, leggendo libri. Volevo assolutamente capire il clima di violenza in cui erano immersi i giovani di quel tempo, mandati a morire al fronte, e soprattutto le conseguenze umane e psicologiche della guerra. Mi hanno impressionato le analogie con il presente: l’avanzata dei nazionalismi, la paura dello straniero, l’invocazione delle frontiere».
Come ha fatto a imparare il tedesco?
«Per due mesi non ho pensato ad altro. È stata una vera sfida. Mi sono immerso nello studio della lingua aiutato da Paula, la mia partner sul set: mentre recitavo in un altro film, ogni giorno mi mandava le registrazioni in tedesco dei miei dialoghi e la sera le ascoltavo».
È alla Comédie Française che le hanno insegnato il rigore e il perfezionismo?
«La Comédie non è una scuola, ma un teatro formato da un gruppo di attori residenti. Per entrare non si passa un esame, bisogna essere chiamati. Io devo tutto a una donna, la direttrice dell’epoca Muriel Mayette-Holtz: mi vide sul palcoscenico e mi invitò a unirmi al gruppo. Farne parte è un attestato di eccellenza».
Qual è stata la spinta a diventare attore?
«Da ragazzo ho frequentato alcuni corsi di teatro e immediatamente ho sentito di avere i superpoteri. Ho continuato a recitare per mettere la mia energia al servizio delle cose belle».
Che cosa le è rimasto del ruolo di Saint Laurent?
«Il ricordo di un’esperienza che ha cambiato la mia vita di uomo e di artista. Ho avuto il privilegio di interpretare un personaggio geniale, tormentato e fragilissimo. La preparazione al film è durata sei mesi in cui ho imparato il disegno di moda e a riconoscere i tessuti. Grazie a Pierre Bergé, il compagno dello stilista scomparso nel 2008, ho avuto la possibilità di vedere da vicino i meravigliosi abiti destinati al museo Saint Laurent: sono talmente preziosi che si possono toccare solo con i guanti».
Dica la verità, a volte la nostra epoca le va un po’ stretta?
«Sono un tipo classico, lo ammetto, ma non nostalgico e non vivo celebrando il passato. Mi piace il rap, frequento i vecchi compagni di scuola, insomma faccio le stesse cose di tutti i ragazzi della mia età anche se ho tanti interessi culturali e una passione divorante per la recitazione».
Dal momento che è vicino a Montblanc, sono curiosa di sapere qual è il suo rapporto con il tempo.
«Più vado avanti con gli anni, più sento la necessità di allearmi con il tempo piuttosto che sfidarlo. Mi piace estraniarmi da tutto per qualche ora: ci riesco quando faccio surf, gioco a basket o scrivo con la penna stilografica, come faceva mio nonno».
Frequenta i social con assiduità?
«Sì, certo, lo faccio per tenere i contatti con i fan e parlare con loro del mio lavoro senza intermediari. Ma non posterò mai le immagini di quello che mangio o delle vacanze».
Le dà fastidio il peso della celebrità?
«Sono famoso in Francia, ma all’estero posso girare indisturbato. Viaggiare mi piace molto. Quando ho un po’ di tempo libero parto con la mia tavola all’inseguimento dell’onda perfetta: Portogallo, Australia...».
Ed è australiana la sua fidanzata, l’attrice e fotografa Natasha Andrews: va a trovarla spesso in capo al mondo?
«Non ce n’è bisogno. Stiamo insieme dal 2007 e viviamo a Parigi. Non mi faccia dire di più, non parlo volentieri della mia vita di coppia».
Come si vede tra una decina d’anni?
«Mi piacerebbe continuare ad accompagnare bei progetti cinematografici e non solo come attore. Ho fondato una società di produzione e diretto la serie tv Casting(s)».
La vedremo in qualche nuovo film?
«Ho interpretato L’Odyssée, il film di Jérôme Salle sul comandante ed esploratore Jacques-Yves Cousteau. Io sono suo figlio. È una storia molto poetica».
Qual è, Pierre, il complimento più bello che ha ricevuto finora?
«Dopo la prima del film Yves Saint Laurent, Bergé mi ha abbracciato commosso e mi ha detto: “Sei un rapinatore”. Secondo lui avevo rubato l’anima del personaggio. È per sentirmi dire queste cose che faccio l’attore».
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