La formula (matematica) del sorriso e la voglia di cambiare
Mi ha scritto una lettrice per farmi i complimenti per "Grazia" e per i miei editoriali (grazie). Ma mi ha anche “sgridato” perché da un po’ non parlo di felicità. E, secondo lei, ce ne sarebbe tanto bisogno...
Quindi approfitto immediatamente dell’uscita dell’ennesimo saggio sull’argomento per tornare su uno dei nostri tormentoni preferiti. E questa volta scelgo la strada più difficile perché mi faccio condurre da un libro che si intitola nientepopodimenoche: La formula matematica della felicità .
L’autore è Paolo Gallina , professore di meccanica applicata alla facoltà di Ingegneria dell’università di Trieste, oltre che esperto di robotica (!?). Che cosa c’entra tutto questo con la felicità? Ah, non lo so, è per questo che mi ha tanto incuriosito il suo libro.
Che ho scoperto essere uno strano misto di formule matematiche, grafici, diagrammi accanto a digressioni personal-letterarie davvero divertenti e spiazzanti. Comunque quello che ho capito è che la formula esiste davvero ed è: Felicità = ΔS/ΔT (dove S sta per Stato e T per Tempo). Chiaro, no?
Va bene, lo ammetto: ho dovuto rileggere un paio di volte per capire e se volete adesso vi traduco. Vuol dire che la felicità è data dal cambiamento di stato valutato in relazione al tempo. Cioè si è felici quando si passa da una situazione peggiore a una migliore, e tanto più intensa sarà la gioia quanto più breve sarà stato il tempo usato per ottenerla.
Contestare la prima affermazione, ovviamente, sarebbe assurdo perché è evidente: il cambiamento in meglio non può che essere positivo. Che poi sia proprio questa la felicità, non so. Migliaia di esperti si sono cimentati sul tema, da Platone a Nietzsche, e quindi mi sentirei ridicola a dibatterne così, come se niente fosse.
Però mi rimane il dubbio che la felicità sia qualcosa di diverso e di più complicato di un semplice cambiamento. Certo, con i tempi che corrono e a giudicare dalla quantità di curricula che ricevo da ragazzi in cerca di lavoro, se cambiamento significa trovare un posto può davvero essere la felicità.
Però se stiamo invece parlando di quello stato dell’animo che ha avuto tante definizioni nel corso dei secoli, siamo un po’ nei guai, perché per alcuni filosofi è individuale, per altri sociale, c’è chi la fa coincidere con il piacere, chi con il sentimento e chi, i soliti pessimisti, con l’assenza di dolore.
Per arrivare, e forse giustamente, a tutti gli economisti che più recentemente hanno tentato di usarlo come parametro per valutare la sanità di una nazione e proprio per questo hanno perfino elaborato il concetto del Pil della felicità. In questi giorni è partito il censimento degli italiani, che darà una fotografia del nostro Paese e dei suoi possibili sviluppi.
Be’, non sarebbe stato male inserire qualche domanda sui nostri livelli di soddisfazione. Ma forse ci hanno anche pensato e poi hanno deciso di lasciar perdere... Comunque su di un punto dissento con l’autore del saggio di cui sopra: non è vero che più velocemente conquisti la felicità e più ne godi.
Per aspera ad astra, dicevano gli antichi. Senza contare tutte le favole della nostra infanzia, dove la fanciulla affronta mille pericoli e il principe vince tutte le sfide, per conquistare l’oggetto d’amore. Questa è la vera metafora della felicità.
Va voluta, perseguita, conquistata. E poi saldamente tenuta.
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