Stanche, di corsa, divise fra casa e ufficio... ma libere!
Il lavoro in cambio della libertà. In fondo è quello che facciamo tutti, no? Lavoriamo, cercando di fare quello che più ci corrisponde, per poterci permettere tutto il resto. Ma Patrizia Reggiani , ex Gucci, ha detto no.
Per chi non seguisse la cronaca nera e non si ricordasse di lei, stiamo parlando dell’uxoricida più famosa d’Italia, condannata a 26 anni per aver organizzato l’assassinio di suo marito Maurizio, erede della dinastia Gucci. Da 14 anni è in carcere, ma di fronte alla possibilità di usufruire di un regime di semilibertà, che significa uscire parecchie ore al giorno per lavorare, lei ha risposto: no, grazie. E per spiegare meglio la sua scelta pare avrebbe aggiunto che non ha mai lavorato in vita sua e non intende certo cominciare adesso. Molto meglio restare in cella a curare qualche pianta e un furetto, il suo secondo furetto dopo che alcune detenute le avevano fatto trovare il primo impiccato alle sbarre. Il personaggio, ahimè, non è di quelli che suscitano simpatia, né dentro né fuori dal carcere: l’immagine che se ne ha è quella di una ricca signora viziata che non ha mai fatto, appunto, granché nella vita salvo spendere soldi, con qualche eccesso ormai diventato leggenda, come quei 20 milioni al mese in orchidee. Che però sinceramente mi sembrano fantasie giornalistiche, perché per quanto possano costare le orchidee quante se ne possono comprare ogni mese per arrivare a quella cifra...? Su di lei comunque, come era ovvio dopo queste dichiarazioni, sono piovuti i commenti e le critiche di tutti e quindi non c’è nessun bisogno di aggiungersi al coro. Stiamo pur sempre parlando di una persona che vive in prigione, che sta scontando la sua pena quale che sia stata la sua colpa e che quindi merita almeno la nostra compassione, se non la nostra solidarietà.
Però questo rifiuto del lavoro mi ha colpito, forse perché, come molte, moltissime donne che conosco, ho passato la vita a lavorare. A livelli tali che in un momento di sconforto (capitano anche a noi ottimisti) mi sono sfogata con mio marito: «E quando sarò morta, cosa scriveranno sulla mia tomba? Ha lavorato tanto e bene? Sai che soddisfazione...».
Detto questo, nonostante le difficoltà che tutte ben conosciamo di conciliare il lavoro con il resto (soprattutto la mancanza cronica di tempo), io continuo a pensare che, in particolare per noi donne, sia una grande risorsa. Di indipendenza, di libertà. Il lavoro vi rende liberi... peccato che fosse scritto sul cancello di Auschwitz, perché di suo sarebbe anche affermazione condivisibile. Il lavoro ci rende “visibili”, ci fa esistere in un mondo che, quando invece “lavoriamo” in casa, non solo non ci vede, ma neppure ci ringrazia per tutto quello che facciamo. È per questo che tante donne lo vorrebbero, eccome, un lavoro. Ma i dati appena resi noti da Bankitalia parlano chiaro: solo il 46 per cento delle donne italiane sono occupate (l’obiettivo europeo è il 60 per cento) contro il 67 per cento degli uomini. Nelle classifiche mondiali siamo al 74° posto, su 134: una vergogna, tutti i Paesi europei sono messi meglio di noi. E far lavorare di più le donne non è solo un obiettivo di equità: farebbe proprio bene alla nostra economia e ci aiuterebbe anche a superare meglio questo momento di crisi.
Quanto alla qualità del lavoro femminile è quasi inutile spendere parole. Guardate solo la redazione di «Grazia»...
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