Arrivederci Venezia: il nostro bilancio della Mostra appena conclusa
Oltre centocinquantatremila persone hanno vissuto in prima persona l’esperienza della 78° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Una cifra considerevole, solo del 7 percento inferiore all’edizione 2019 pre-pandemia e del 63 percento superiore a quella dell’anno scorso. Un risultato che dimostra che la fame di cinema, nonostante la lunga pausa forzata e il proliferare delle piattaforme, non si è mai placata.
Lo hanno dimostrato anche le anteprime di film attesissimi, come "Dune", già esaurite diversi giorni prima dell’inizio della Mostra.
Non sono mancati i divi e le dive di tutto il mondo, peccato non fossero visibili dal pubblico, che gridava i loro nomi dietro il “muro” di protezione, innalzato per ragioni sanitarie. Lo lanciamo come consiglio per il prossimo anno: sarebbe ora di toglierlo, o quanto meno ripensarlo, per poter consentire al pubblico di tornare ad ammirare le star, seppure a debita distanza.
Le leonesse della Mostra
Il Leone d’oro ruggisce con voce femminile, e che voce. La giuria presieduta da Bong Joon Ho e composta da Saverio Costanzo, Virginie Efira, Cynthia Erivo, Sarah Gadon, Alexander Nanau e Chloé Zhao, ha stabilito «all’unanimità» che fosse la regista francese Audrey Diwan, 41 anni, a trionfare con il suo secondo film "L'Évément", a ottobre in Italia con il titolo 12 settimane. Un film-caso sull’aborto nella Francia del 1963, che la regista ama definire «un viaggio dentro la pelle della mia giovane protagonista». Si riferisce all’esordiente Annamaria Vartolomei, nel film studentessa di talento che rimane incinta in anni in cui l’aborto era reato.
Anche il Leone d’argento alla miglior regia è donna, nello specifico Jane Campion, tornata a girare un film dopo 12 anni, "The power of the dog", con uno strepitoso Benedict Cumberbatch.
Anche Maggie Gyllenhall ha ritirato un premio per la sceneggiatura del film che segna il suo debutto alla regia, "The Lost Daughter", tratto dal romanzo di Elena Ferrante.
Suocera Mon amour
Di tutte le dediche che sono state fatte durante la cerimonia di premiazione, a chi scrive sono rimaste impresse due. Forse perché in fondo fanno parte entrambe di quella sottile linea che separa i vivi da chi ci ha lasciato. La più memorabile è quella di Penélope Cruz, mai così abbagliante come in questa mostra, in cui portava due film, il corrosivo "Official Competition" (che meritava almeno un premio) e il commovente "Madres paralelas" di Almodóvar, per cui è stata premiata.
Ha dedicato la sua Coppa Volpi a Pedro Almodòvar, a suo marito, ai suoi figli, a sua mamma, ma soprattutto a sua suocera Pilar Bardem, affettuosa e veggente: «È mancata due mesi fa, le sue ultime parole sono state: Love you. Coppa Volpi».
Altra dedica toccante è stata quella di Paolo Sorrentino: «Quando morirono i miei genitori il preside consentì solo a quattro della mia classe di partecipare ai funerali, io ci rimasi malissimo. Ma non importa: oggi è venuta tutta la classe, siete voi”.
L'Italia e il tris di premi
Il Leone d’Argento - Gran Premio della Giuria a Paolo Sorrentino era l’unica soluzione per consentire l’aggiunta di un ulteriore premio, il Mastroianni come miglior attore emergente a Filippo Scotti, classe ’99 e protagonista di "È stata la mano di Dio".
Il premio speciale della giuria è andato invece a Michelangelo Frammartino per il suo "Il Buco", lungometraggio che racconta l’esplorazione dell’Abisso del Bifurto, grotta del Parco Nazionale del Pollino scoperta nel 1961 dal Gruppo Speleologico Piemontese, che ne ha esplorato i 683 metri di profondità. «Grazie agli speleologi che si prendono cura del buio», ha detto il regista.
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