Il cantautore Neffa racconta a Grazia di quando si è sentito un uomo nuovo. E parla d’amore, del padre che non ha più e di quello che avrebbe desiderato diventare

Se siete come me, e mangiate tanto, non andate a pranzo con Neffa. Perché lui, mentre voi avete davanti un’enorme grigliata di pesce e verdure di tutti i tipi, vi parlerà senza quasi toccare il suo piatto, zucchine e formaggio Grana. In compenso però vi guarderà negli occhi tutto il tempo, raccontandosi come mai vi è capitato. Vi parlerà di musica, di politica, di donne. Per prima cosa vi chiederà di chiamarlo Giovanni: è il suo vero nome (Pellino il cognome). Un gesto di confidenza che di solito non si concede a un giornalista.
Perché vuole che la chiami Giovanni?
«Neffa è quello che odiava tutto di sé, perfino il nome, e voleva essere notato. Giovanni è la persona di oggi, che crede che la notorietà sia una prigione per chi cerca la libertà. E che a volte ha successo con le donne».
Mi parla di donne. Lo sa che se cerca su Google “Neffa” il sito suggerisce come parola correlata “gay”?
«Davvero? Forse è perché sono una persona dal linguaggio corporeo non particolarmente rude e non ho problemi a mostrare il mio lato femminile. O perché mi piacciono i vestiti e ho tanti amici gay. Comunque se vuole chiedermi se lo sono, le rispondo come ho risposto a una bellissima e procace ragazza napoletana che me lo ha chiesto».
Cioè?
«“Molto no”. Mi piacciono troppo le donne. Però odio gli omofobi. Credo che esistano tante sfumature di mascolinità e certo non condivido quella di chi si impone sulle donne con violenza».
Sul palco di Sanremo però non ha indossato i nastri arcobaleno, i colori di chi difende i diritti degli omosessuali. Perché?
«Sostengo i diritti civili, ma non quando sono spettacolarizzati. È giusto che ci si dia delle regole di comportamento per la pacifica convivenza, ma sull’inclinazione sessuale di ciascuno non si dovrebbe mettere bocca. Chiediamoci piuttosto se uno paga o no le tasse».
Ecco, chiediamocelo. Lei le paga?
«Sì. E farlo ti dà anche il diritto di criticare. Io pago per la scuola dei figli che non ho, ma vedo padri che si comportano come se non ci fosse un domani. Chi avvelena il territorio, per esempio: che sia il crimine organizzato o l’industria, ragiona con il metro del denaro, non con l’idea del futuro. Ma purtroppo etica e denaro vanno d’accordo come deserto e orchidea».
Per lei il denaro è importante?
«No, ma il denaro compra la libertà, e oggi libertà corrisponde a felicità».
Lei dice che vuole essere libero e l’ha dimostrato cambiando genere musicale molte volte durante la sua carriera. Partendo dal rap, ha attraversato il soul, il beat. L’ha ripagata?
«In un certo senso questo comportamento l’ho pagato. Quando uscì La mia signorina avevo lasciato il rap, un ambiente piuttosto fondamentalista. Mi ricordo che partecipai a una chat di un giornale per adolescenti e le ragazzine online mi auguravano di morire».
Le capitano spesso insulti sul web?
«Internet si è scatenato perché a Sanremo avevo una piuma sul cappello. Cosa che può fare un bluesman del Mississippi, ma non un cantante nostrano. Poi, sul web non c’è limite».
Quindi i social non le piacciono?
«Ho una pagina Facebook, ma non sono il tipo che comunica se stesso sui social. Non mi piace. Altri colleghi coetanei si sentono di condividere il fatto che hanno appena mangiato uova alla coque, io no».
Sembra maturo, posato, eppure la sua ex fidanzata Nina Zilli, in una recente intervista, ha parlato della fine della vostra storia lasciando intendere che lei è una specie di Peter Pan, un eterno ragazzino.
«Mi piacerebbe essere un bambino che non cresce mai, invece ultimamente mi sento abbastanza cresciuto. Chiara (Maria Chiara Fraschetta è il vero nome di Zilli, ndr) mi ha conosciuto durante una delle tante fasi di passaggio della mia vita e dei miei sentimenti. Prima collegavo la felicità a eventi gloriosi, come l’innamoramento. Ma questo ti condanna inevitabilmente a essere infelice in tutti gli altri casi. Poi, a settembre, è uscito Resistenza (Sony Music, ora ripubblicato con il brano portato a Sanremo, Sogni e nostalgia, ndr), il primo disco che ho scritto con la naturalezza di un respiro, e qualcosa è cambiato. Per un paio di mattine mi sono svegliato pensando: “Che bello essere al mondo”. Ero un uomo nuovo, naturalmente felice senza bisogno di un valido motivo».
La storia con Nina è durata un anno. Perché è finita? Perché lei è diventato un uomo nuovo?
«Il nostro è stato un amore profondo. Come non ne ho mai vissuti. Ma le persone sono come i corpi celesti. Ci sono i satelliti, che non vedono l’ora di gravitare intorno a te, ma in realtà ti chiedono molto senza darti niente. E poi ci sono le stelle: tu ruoti intorno a loro, e loro ti danno luce e vita. Io e Chiara eravamo due stelle».
Ha 48 anni, non è mai stato sposato, né ha avuto figli. Perché?
«Non ho trovato il papà giusto dentro di me. Non ero pronto. Ma mi manca da morire non essere stato padre, non aver potuto crescere qualcuno. Per questo quando lavoro come produttore cerco sempre un giovane artista da crescere, per vedere dentro di lui un po’ di me».
Ma è ancora in tempo.
«No. È tardi. Non vorrei avere 65 anni e sembrare il nonno di un ragazzo di 15. Ma soprattutto credo si debba dare a un figlio la possibilità di odiarti, di farti la guerra e poi di capire, intorno ai 30 o 40 anni, il vero amore, il sacrificio paterno e materno. E di fare così la pace con te. Se hai un figlio troppo tardi lo privi di questa opportunità».
Suo padre come è stato?
«È morto quando io avevo 32 anni. Era un uomo complicato. Non parlava molto. Sono riuscito a dirgli parecchie cose, ma non ho mai avuto la...».
Neffa si interrompe. Giovanni mi guarda negli occhi mentre i suoi diventano lucidi. Non serve che parli per capire che dopo la guerra, la pace non è riuscito ad averla, con suo padre. Mi chiede di posare la penna, di spegnere il registratore e mi sorride. Il mio piatto è vuoto, il suo quasi pieno. «Mangerò qualcosa dopo, meglio tanti piccoli pasti durante la giornata, dicono, non è vero?».
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