Michael Fassbender: «Il volto seducente del male»
L’attore irlandese Michael Fassbender al cinema sarà presto un re inseguito dai suoi fantasmi. E ha appena ottenuto una candidatura ai Golden Globe per aver interpretato un genio senza scrupoli. «In fondo», dice a Grazia, «Anch’io sono un uomo difficile». sarà per questo che un sex symbol come lui è ancora single?
Gli occhi chiarissimi sono attenti, ma freddi. Come a dire: «Ho il pieno controllo della situazione». Stretta di mano decisa, gentilezza formale. I bicipiti scolpiti che si intuiscono sotto la T-shirt verde militare rivelano l’abitudine ai lunghi allenamenti. Tutto nell’attore Michael Fassbender, 38 anni, il più acclamato della sua generazione, suggerisce l’autodisciplina e un approccio consapevole alle cose. Tedesco per parte di padre, metà irlandese come la madre, londinese di adozione, ma da qualche anno entrato nello star system di Hollywood, mi riceve in un grande albergo e, lo credereste?, al primo impatto rimango colpita non dalla sua prestanza fuori dal comune o dal suo volto nobile, ma dalla voce. Limpida, bassa, emozionante.
Non ama le interviste, è risaputo, ma questa volta ha accettato di rispondere alle mie domande. I patti sono chiari: niente curiosità sulla vita privata. Peccato. Dopo la “capitolazione” matrimoniale dell’americano George Clooney e il fidanzamento di Bradley Cooper con la modella Irina Shayk, il sex symbol Fassbender è rimasto il miglior partito in circolazione. E libero sulla piazza: dopo nove mesi d’amore, è finita la sua ultima storia, quella con l’attrice svedese Alicia Vikander, 27, che era succeduta alle colleghe Zoë Kravitz, Nicole Beharie e Madalina Ghenea. Unica estranea al cinema, nella lista delle fidanzate, è stata l’inglese Louise Hazel, campionessa olimpionica di eptathlon. Ma nemmeno lei è riuscita a fargli considerare il matrimonio. L’uomo sembra proprio refrattario, prendere o lasciare. «La relazione più lunga che ho avuto è durata due anni», ha confessato di recente Michael. E ha aggiunto, con sincerità disarmante: «Ho cominciato a recitare a 17 anni e, da vero egoista, sono stato sempre più concentrato sul lavoro che sull’amore».
Infatti incontro Fassbender per parlare del suo film Macbeth (nelle sale dal 5 gennaio) ispirato alla tragedia di William Shakespeare, diretto da Justin Kurzel e interpretato anche dall’attrice francese premio Oscar Marion Cotillard, nella parte della crudele Lady Macbeth, moglie del protagonista. Una storia di guerra, potere, violenza e morte, ambientata in una Scozia oscura e piovosa, con scene spettacolari e stile ricercato. Ma dal 21 gennaio vedremo l’attore anche in Steve Jobs del regista Danny Boyle, dedicato al guru del colosso tecnologico Apple, scomparso nel 2011: un ruolo carismatico e non agiografico, che è appena valso a Michael una nomination ai Golden Globe e una ai SAG Awards, i premi del sindacato americano degli attori, antipasto di quella agli Oscar. La prima l’aveva ottenuta per la parte dell’efferato schiavista con la frusta del film 12 anni schiavo: uno dei tanti personaggi cupi, sgradevoli, spietati della sua carriera. Come il militante dell’esercito repubblicano irlandese Bobby Sands in Hunger, l’uomo dipendente dal sesso in Shame (un ruolo-choc che nel 2011 gli fece vincere la Coppa Volpi a Venezia), l’avvocato corrotto di The Counselor-Il Procuratore, il mutante cattivo Magneto nella saga X-Men.
Mi spiega come mai interpreta tanti personaggi poco edificanti, a volte inaccettabili?
«Quando ricevo una proposta, scelgo i più interessanti. Sono convinto che il mio lavoro sia trovare il loro lato umano. Oggi siamo tutti interconnessi e, anche per un istante, il pubblico può riconoscersi in un cattivo. Ognuno di noi è capace di cose terribili, ci ha mai pensato?».
Lei, al di fuori del set, che tipo è?
«Sono una persona complicata, come tutti gli esseri umani, e per questo amo interpretare personaggi poco rassicuranti che non danno risposte, ma suscitano domande».
Quali preferisce?
«Mi piacciono i provocatori e non li giudico mai, cerco d’interpretarli nel modo migliore possibile. Le crociate moralistiche non fanno proprio per me».
E magari la sera si porta a casa il lavoro, faticando a recuperare la sua identità?
«No, non arrivo a questo. Se rimanessi incollato ai miei personaggi, sarei solo come un cane: non avrei amici né una vita sociale».
È proprio sicuro?
«Chi mai vorrebbe passare una serata con un attore che continua a rimuginare i tormenti simulati sul set? Invece voglio divertirmi, staccare la spina e, anche durante le riprese dei film più cupi, rido e scherzo con tutti».
Il successo, la nomination all’Oscar, i grandi registi in fila per scritturarla, le donne che impazziscono per lei: immagino che nelle ultime stagioni la sua vita sia stata rivoluzionata.
«Non è cambiata più di tanto. Ora che sono famoso ottengo un tavolo migliore al ristorante e lavoro di più, per fortuna sempre con la gente migliore. Diciamola tutta: mi sacrifico anche più di prima, visto che giro un film dopo l’altro. Ma non credo di aver stravolto le mie abitudini. Quando non sono sul set, continuo a fare quello che mi piace: seguire le gare di Formula 1, surfare, andare a cavallo, leggere. Non sono cambiati né il mio carattere né i criteri con cui scelgo un film. Prima di tutto vengono sempre la storia e il regista».
La sua ultima sfida è Macbeth, il re di Scozia che simboleggia la brama di potere: che cosa l’ha spinta a confrontarsi con un testo di William Shakespeare?
«Qualunque attore, almeno una volta nella vita, dovrebbe incarnare questo personaggio. Nel bene e nel male è un concentrato dell’animo umano. Io l’avevo interpretato per la prima volta a scuola, a 15 anni. Oggi l’ho affrontato con un occhio all’attualità».
In che cosa può essere attuale un personaggio creato all’inizio del 1600?
«Macbeth è un soldato che uccide con le sue mani, con la spada, a colpi di pietra e, quando torna dalla battaglia, soffre di allucinazioni. È inseguito dai suoi fantasmi. Se fosse vissuto oggi, sarebbe affetto da disturbo post-traumatico da stress, come i militari reduci dall’Iraq o dall’Afghanistan».
Si è sentito un po’ intimidito da Marion Cotillard?
«No, con una come lei, che dà anima e corpo sul set, lavorare è facilissimo. Prima di cominciare le riprese abbiamo provato il film come si fa a teatro e ci siamo capiti fin dal primo giorno. Marion è riuscita a dare a Lady Macbeth, considerata la quintessenza del male, una dimensione dolorosissima e umana».
Lei è cresciuto in una piccola città dell’Irlanda, Killarney, dove i suoi genitori gestivano un ristorante. Come le è venuto in mente di fare l’attore?
«L’ho deciso a 17 anni, dopo aver constatato che non ero capace a fare altro. Pensavo confusamente che la mia strada fosse la musica, ma poi ho optato per la recitazione, spinto soprattutto da un mio amico che faceva teatro a Dublino ed era bravissimo».
E i suoi l’hanno assecondata?
«Mi hanno incoraggiato a seguire la mia strada. Da ragazzo andavo spesso al cinema con mia sorella e mia madre, che sceglieva soprattutto film americani: è il motivo per cui oggi, insieme con tanto cinema d’autore, interpreto volentieri storie d’azione. Mi piace l’idea di intrattenere il pubblico, non mi sento in colpa se faccio X-Men e se girerò nelle prossime settimane Assassin’s Creed, ispirato a un famoso videogioco».
A proposito di famiglia, è vero che fa le vacanze con suo padre?
«Sono molto legato ai miei genitori: mi hanno insegnato a essere una persona perbene e continuano a coccolarmi anche oggi che non ho una famiglia mia. Con papà e il mio migliore amico, qualche tempo fa, ho fatto un lungo viaggio in moto attraverso l’Europa, toccando anche l’Italia. Rimarrà uno dei ricordi più belli della mia vita».
Perché, con una carriera lanciata come la sua, vive ancora a Londra e non si è trasferito come tanti divi a Los Angeles?
«Mi sento troppo europeo per mettere radici in una città in cui si parla di cinema e affari dalla mattina alla sera. Ho bisogno di punti di riferimento diversi, voglio una vita normale».
Che cosa ha trovato di interessante nel fondatore di Apple, Steve Jobs? Dalla sua biografia sembra che sia stato non solo un innovatore geniale nel mondo dell’informatica, ma anche un manipolatore con un carattere a tratti spietato.
«La sua storia andava raccontata perché Jobs ha cambiato le nostre vite e il modo stesso in cui funziona il mondo. Oggi comunichiamo, ci divertiamo, consumiamo la musica e il cinema, facciamo acquisti grazie alle sue intuizioni. Il personaggio ha luci e ombre, forse è stato crudele e ha manipolato gli altri, ma solo per raggiungere i massimi risultati. Questo merita una riflessione».
Che cosa sogna, Michael, per il suo futuro?
«Vorrei interpretare una bella commedia. Finora non ho ricevuto nessuna proposta che non potessi rifiutare. Ma ho tanta voglia di leggerezza».
Non riesco a immaginare che un attore intenso come lei possa far ridere o si metta a fare il romantico.
«Mi trova intenso? Forse lo sono perché adoro la sfida di portare chi mi guarda all’interno dei miei stati emotivi».
Fassbender abbassa la guardia e sorride finalmente rilassato. Ha il fascino ruvido del bello e impossibile. Mai una donna per più di due anni. Ma capisco perché le fidanzate, pur di stare con lui, accettino di avere la data di scadenza.
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