Julia Roberts: Grazie mamma per come sono oggi
Se Julia Roberts non parla mai di religione o politica in pubblico, sta alla larga dai social, protegge la sua famiglia in una villa sull’oceano, un motivo c’è: fa quello che le ha insegnato sua madre. E ora che l’attrice arriva con un film sulle relazioni complicate, spiega a Grazia perché i consigli della signora Betty Lou valgono più dei tre milioni di dollari che ha guadagnato in quattro giorni sul set
Ha il sorriso più bello del mondo e lo sa. Lo sfoggia fiera davanti ai fotografi, lo regala ai fan che da 25 anni la seguono, lo sfodera ad arte di fronte alle domande che reputa scomode. Me ne accorgo nel corso della nostra chiacchierata in uno dei più lussuosi alberghi di Cap d’Antibes, in Francia, dove Julia Roberts si presenta con quasi mezz’ora di ritardo. Nell’attesa immagino che si sia dilungata nel trucco, come si conviene alle star. Invece la scorgo in lontananza, stretta nella sua giacca scura a fissare il mare. A breve una ragazza del suo staff si scuserà spiegandomi che la diva sta portando a termine un servizio fotografico. Quando finalmente la vedo arrivare, tutto quello a cui riesco a pensare è come diavolo faccia a non avere neanche un granello di sabbia sulle scarpe. Bassissime ovviamente.
So che non ama granché farsi intervistare, alla mondanità preferisce la sua vita “eco-friendly” divisa tra una villa da sogno con vista sull’Oceano a Malibu e la determinazione ad andare in giro in bici, alzarsi all’alba e cucinare per la famiglia. Tre figli – i due gemelli Hazel e Phinnaeus, di 11 anni, ed Henry, 8 - non sono uno scherzo neanche se sei una diva. Eppure sul suo volto non riesco a scovare traccia di stanchezza, stress o anche solo postumi da jet lag: con un filo di trucco, i capelli raccolti e occhiali da vista molto glam, Julia Roberts possiede tutto il fascino acqua e sapone di una 48enne raffinata, scelta come testimonial di una maison di bellezza come Lancôme.
Non è la prima volta che la intervisto: la ricordavo cupa e introversa, la ritrovo sempre poco espansiva, ma più serena.
Merito di un matrimonio solido e felice con il direttore della fotografia Daniel Moder (incontrato 15 anni fa sul set di The Mexican) e di una carriera che prosegue a gonfie vele senza tenerla troppo lontana da casa: oggi Julia accetta meno film, ma meglio pagati. Oppure con ruoli che restano impressi, come l’intrepida regista televisiva in Money Monster, diretto da Jodie Foster (in questi giorni nelle sale), decisa a non mollare mai la sua postazione, nonostante una minaccia di esplosione in diretta. Una donna carismatica e coraggiosa, che a tratti ricorda quell’Erin Brockovich per cui vinse un Oscar nel 2001. Ben diversa è la scrittrice di successo con frangia e caschetto rosso che Julia interpreta in Mother’s Day, commedia al femminile in uscita il 23 giugno al cinema, per cui pare sia stata pagata tre milioni di dollari per soli quattro giorni di riprese. A dirigerla c’è il suo amico Garry Marshall, lo stesso regista di Pretty Woman. A condividere il set con lei, le attrici Jennifer Aniston e Kate Hudson, per raccontare le molteplici sfumature di madri problematiche.
È un tema, quello della maternità appunto, che sta molto a cuore a Roberts. Non solo perché, mi racconta, «grazie ai miei figli la nostra casa non è mai sprovvista di allegria», ma anche perché se le chiedi di indicare un modello di vita lei continua da sempre a fare il nome di Betty Lou Motes, sua madre, scomparsa l’anno scorso. «Mi ha insegnato a stare al mondo, a godere delle piccole cose, a non sacrificare la famiglia per il lavoro: è grazie a lei se sono la donna che sono».
Quale è il consiglio più prezioso che le ha dato sua madre?
«Le dico il più utile: non parlare di politica o di religione».
Come mai?
«Sono temi immensi e delicati, rischi di essere fraintesa, se le tue parole vengono riportate male».
Ha avuto brutte esperienze al riguardo.
«Non la definirei una brutta esperienza, però quando dissi, per esempio, che c’erano alcune credenze indù che trovavo interessanti, hanno subito scritto che mi ero convertita».
Quanto è faticoso avere una fama planetaria?
«Dipende. Le trappole della celebrità non mi hanno mai catturato».
Trappole?
«Intendo la negatività legata all’essere famosi, l’ossessione per la perfezione, i paparazzi dappertutto. I flash non fanno parte della mia vita quotidiana, quindi preferisco non dar loro troppa attenzione».
Si parla di lei come una delle dive più pagate di Hollywood: che cosa fa scattare un suo “sì” di fronte a un copione?
«Non saprei, ho come l’impressione che siano i personaggi a trovare me, non viceversa. È questione di istinto. Se sento che devo fare quel ruolo lì, di sicuro non cambierò idea».
Sono passati 25 anni da Pretty Woman, il film che l’ha resa una diva. Oggi perché crede nel cinema?
«Ha il potere di aprire la mente, il cuore e gli occhi delle persone. Anche la musica, l’arte, sono finestre capaci di spalancarti mondi che non conoscevi: ti fanno vedere le cose in modo nuovo. Fare arte e assistervi sono due modi di condividere: ci si esprime, ci si confronta, si dice: “Mah, io questa cosa la vedo così, tu come la pensi?”. Ecco, dietro ai miei personaggi c’è sempre questa domanda».
Com’è lavorare con Jodie Foster?
«Meraviglioso. Sulle prime ero intimidita, poi ho scoperto una regista abile, di talento, capace di proporti un copione che trasmette energia».
Nel film è una regista. Ha mai sognato di passare dietro la macchina da presa come molte colleghe?
«No, conosco troppo bene i miei limiti mentali, non riuscirei a dare risposte a più di quattro persone per volta. L’ho capito anche girando Money Monster: per un attore un film è sempre una chance per accostarti a mondi lavorativi che non ti appartengono. Ho frequentato gli studi televisivi e visto a quante cose devi badare in pochi minuti e in una stanza piccola dove entrano ed escono mille persone».
Le è mai capitato di essere tanto spaventata quanto risoluta, come il suo personaggio che resta coraggiosa e al suo posto malgrado l’allarme bomba in studio?
«Mai trovata in una circostanza così grave, per fortuna, però è nei momenti di crisi che fai uscire la vera te stessa. Mi piace la scelta di chi, da capitano, non abbandona la nave e ha come priorità mettere in salvo i suoi marinai e i passeggeri: spero di essere altrettanto coraggiosa nella vita».
Il suo rapporto con la televisione è cambiato dopo questo film?
«Da piccola guardavo tanta tv, oggi ne faccio volentieri a meno. E non sono una grande fan di chat e rapporti mediati dai social: trovo che la tecnologia complichi le cose. A me piacciono i rapporti più diretti e scrivo a mano alle persone che amo».
La storia che ama spedire cartoline, quindi, è vera?
«Verissima. Ci stiamo disabituando alla bellezza dei piccoli gesti di attenzione verso l’altro, è un peccato».
A proposito di attenzione, ha molto stupito recentemente la sua scelta di camminare a piedi nudi sul red carpet di Cannes.
«Se non le dispiace preferirei parlare di me stessa dalle ginocchia in su: tantissime persone hanno fatto altrettanti sforzi quella sera per farmi apparire favolosa. Anziché parlarle dei miei piedi, mi piace confidarle l’emozione di stare per la prima volta in cima a quella scalinata, abbracciata al mio amico George Clooney: un’esperienza che porterò sempre nel cuore, mai provato nulla di simile».
Hanno tutti fotografato il suo collier con smeraldo taglio pera da 52 carati con diamanti: come ci si sente a indossare gioielli del genere?
«Lo ammetto, vedermelo al collo è stato un sogno. Chopard ha delle splendide idee, e lo stesso posso dire dell’abito di Giorgio Armani, a cui mi lega un rapporto molto speciale. In generale cerco sempre di indossare quello che più mi rappresenta».
Lei è un’icona di bellezza mondiale: come si fa a essere sempre così luminose?
«Penso che il fulcro di tutto sia l’anima: bisogna essere felici con se stessi, se l’interiorità funziona all’esterno si vede. Non c’è trucco o chirurgia che tenga: non importa come appari fuori, è il “dentro” che conta».
Dà l’idea di essere una che lavora molto su se stessa, sulla sua interiorità.
«Devo, anzi dobbiamo tutti: la vita è fluida, se resti rigida rischi di essere infelice e non raggiungere gli obiettivi che ti eri proposta. Il segreto? Rivedere e rivalutare di continuo la persona che sei e la qualità della vita che stai vivendo».
© Riproduzione riservata
«Se la strage in spiaggia o il saccheggio alla Stampa sono definiti "resistenza"»: l'editoriale di Silvia Grilli
La resistenza è necessaria con ogni mezzo», «con Hamas fino alla vittoria», «ora e sempre resistenza». Sono slogan che sentiamo nelle piazze di tutto il mondo alle manifestazioni contro Israele.
Per chi li inneggia possono essere innocua teoria, opinioni a favore della Palestina o semplicemente parole urlate per non sentirsi esclusi dal gruppo, non una chiamata alle armi per massacrare i presunti oppressori. Ma c'è sempre chi prende la teoria alla lettera. Domenica 14 dicembre, quegli slogan sono stati scritti con il sangue degli ebrei.
Un padre e un figlio pachistani hanno sparato sulla folla che celebrava il primo giorno della festa religiosa ebraica dell’Hanukkah su una spiaggia famosa per le nuotate al tramonto. Quindici morti e decine di feriti sono rimasti sulla sabbia a Bondi Beach, uno dei posti più belli, pacifici e gioiosi dell’Australia. Il primo ministro Anthony Albanese ha dichiarato che non riesce a spiegarsi tutto questo male. Io credo sia molto spiegabile: per gli invasati che considerano Israele il male assoluto, massacrare gli ebrei è fare giustizia.
È la colpa dei giudei che spinge giovani ProPal a saccheggiare la redazione del quotidiano La Stampa (paradossalmente uno dei più favorevoli alla causa palestinese). Induce quel centinaio di manifestanti a scrivere e urlare slogan terroristi come “Stampa-Morta” o «giornalista sei il primo della lista», mentre una loro guru, Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, riduce l'assalto a un «monito ai giornalisti».
Nella tradizione ebraica, Hanukkah è la festa della luce, della speranza. Colpire bambini, anziani e adulti che festeggiano la vita non è diverso da quando il 7 ottobre i terroristi di Hamas fecero strage al Nova Festival. Sparare sulla spiaggia in un momento storico in cui c'è qualche passo verso la pace è voler cancellare la speranza nel futuro.
Eppure, ho ancora fiducia che l’umanità possa superare l’odio. Domenica 14 dicembre, in Australia, questa speranza aveva i gesti di un uomo: Ahmed Al Ahmed, fruttivendolo immigrato siriano, che si è precipitato su uno dei terroristi e gli ha strappato il fucile. Aveva le gambe di Jackson Doolan, il bagnino veterano della spiaggia, ex star di Baywatch in Australia, che è corso a piedi nudi per un chilometro e mezzo portando il borsone dei medicinali. Aveva le braccia di tutti coloro che si sono adoperati per salvare le vittime, sollevandole sulle tavole di soccorso che di solito vengono usate per trasportare la gente a riva.
Gli orrori si ripetono, sembrano non volersi fermare. Ma se le persone corrono ad aiutare, se ci sono solidarietà e compassione, c’è ancora speranza nell’umanità.
© Riproduzione riservata
Grazia è in edicola con Maya Hawke
Maya Hawke è la protagonista di copertina Grazia in edicola e app. Si è fatta conoscere con la serie Stranger Things, arrivata all’ultima stagione. Ora l’attrice newyorkese figlia delle star Uma Thurman ed Ethan Hawke, girerà il nuovo capitolo di Hunger Games dove vuole portare l’energia di chi non ha paura di crescere.
Questa settimana intervistiamo alcune icone di Hollywood. Incontriamo Zoe Saldana, al cinema nel ruolo di Neytiri, la madre combattente di Avatar. Parliamo con Ariana Grande, in corsa ai Golden Globe con Wicked e le attrici premio Oscar Jodie Foster e Laura Dern.
Il 2025 ha cambiato noi e la Storia. Grazia lo ripercorre. Dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca alla guerra a Gaza. Dalle vittorie di Jannik Sinner all’elezione del primo Papa americano fino alla scomparsa di icone come Ornella Vanoni e Giorgio Armani.
Grazia ha scelto i personaggi da tenere d'occhio nel 2026: le sciatrici Sofia Goggia e Lindsey Vonn attese alle Olimpiadi invernali, María Corina Machado, premio Nobel per la Pace che potrebbe cambiare le sorti del Venezuela, Lady Gaga in arrivo in concerto in Europa e molti altri. Da Can Yaman a Jacob Elordi, da Timothée Chalamet a Jeremy Allen White, che cos’hanno in comune i nuovi sex symbol? Mettono d’accordo mamme e figlie. Grazia ve li racconta.
Abiti dorati, trasparenze, ricami e dettagli preziosi. Grazia ha scelto i capi che ti rendono protagonista delle notti di festa e delle serate più speciali. Ma anche lo stile più cool per il 2026.
E nelle pagine dedicate alla bellezza trovate tutti i segreti per brillare: dalle strategie effetto freddo per una pelle più tonica alla scelta del fondotinta e del correttore giusti per illuminarla.
© Riproduzione riservata
Jodie Foster: "Faccio film per capire chi sono"
Come trascorre il giorno del suo compleanno una diva planetaria come Jodie Foster, sotto i riflettori dall’età di tre anni? «Lavorando», mi risponde accomodata sulla poltrona, mentre sorseggia un cappuccino. Neanche a farlo apposta la incontro proprio il giorno in cui compie 63 anni e mi confida che finita l’intervista andrà con gli amici a festeggiare. Sessant’anni di carriera tondi, fresca del Golden Globe vinto a gennaio per la sua performance nella serie True Detective: Night Country, la regista e attrice torna al cinema con il nuovo film di Rebecca Zlotowski Vita Privata. Presentato in anteprima al Festival di Cannes e dall’11 dicembre al cinema, la vede calarsi nei panni della nevrotica psichiatra Lilian Steiner, ossessionata da un caso molto delicato.
Che rapporto ha con il passare del tempo?
«Buono. Mi sento più felice che mai in vita mia».
Davvero?
«Parlo di una gioia profonda, non di quello che mi accade giorno per giorno. Le cose della vita, belle e brutte, capitano. Ma vivo un momento in cui il lavoro sta andando sempre meglio e ho superato l’ansia delle domande: “Sarò in grado di farcela con le mie forze?”, “Avrò una famiglia?”. Tutte questioni archiviate, per fortuna non devo più preoccuparmene. Da giovane passavo tanto tempo a pensare a me stessa, dopo una certa età mi sono concentrata sulle storie degli altri, è più facile e divertente».
Anche in Vita privata ascolta le storie degli altri.
«La mia Lilian non è una psichiatra risolta, anzi, è parecchio nevrotica. Non riesce a comprendere come sia possibile che la sua paziente in cura da nove anni (Virginie Efira, ndr) si sia potuta uccidere. Non ci crede, non ammette la possibilità che lei, in quanto psichiatra, sia stata così sorda».
Ritiene che come società abbiamo perso il potere di ascoltare?
«Mostrare curiosità verso gli altri è tutto. Noi attori siamo allenati all’ascolto, per lavoro siamo chiamati a calarci nelle vite degli altri ed è una bella abitudine mettersi nei panni altrui, un esercizio che possiamo fare tutti. Ci aiuterebbe come società».
Dal titolo del film alla realtà, essendo conosciuta in tutto il mondo sin da piccola come ha fatto a proteggere la sua, di vita privata?
«Sforzandomi sempre molto. Lavorando sin da bambina sapevo di dovermi proteggere: volevo andare a Disneyland, ma senza le telecamere che mi seguissero. Volevo essere libera di andare al supermercato, o prenotare un volo senza che nessuno lo facesse al posto mio. Ci ho sempre tenuto a mantenere viva la mia indipendenza, tracciando una linea netta tra la mia vita pubblica e quella privata. Oggi sono contenta di aver seguito quell’impulso».
Nel film la sentiamo sfoggiare un francese fluente…
«Mi fa sentire più sicura di me, rispetto all’inglese. Sarà che devo la passione per il francese a mia madre, che me lo fece studiare».
Come mai?
«Non aveva mai viaggiato fuori dagli Stati Uniti fino ai cinquant’anni, ma la cultura europea l’affascinava. Comprava di continuo riviste e libri su Parigi e Napoleone, addirittura dipinse le pareti di casa con i colori delle antiche pietre romane. Quando ero bambina fece il viaggio dei suoi sogni e andò in Francia, con un tour in bus di quelli turistici».
Che cosa le disse al ritorno?
«"Jodie, impara il francese e diventa una grande attrice francese". Era il suo modo di dirmi che sognava per me una vita più ampia di quella americana. Anche perché erano gli anni 70, al potere c’era Nixon, non era facile essere americani. A mia madre piaceva l’idea che potessi scegliere di essere libera di inventarmi una vita tutta mia».
Ha fatto lo stesso con i suoi figli?
«Dovrebbe chiederlo a loro (Charlie e Kit, 27 e 24 anni, ndr). Intanto uno di loro sa parlare benissimo il tedesco, le mie radici tedesche ne sono contente».
Che rapporto ha con la psichiatria?
«Sempre stata scettica, ma una volta mi sono fatta ipnotizzare».
Com’è andata?
«Mi ripetevo: "Ma perché pagare 90 dollari a un tipo quando potrei smettere di fumare gratis oggi stesso?", eppure ha funzionato. Non amo la psicanalisi, per quanto la trovi attraente da un punto di vista cinematografico: non mi piace Freud, in America nessuno lo stima più, era un grandissimo sessista. Trovo però importante che al cinema si parli di salute mentale».
E che si mostri come le donne over 50 abbiano desideri, diritto al piacere e una vita sessuale appagante, come la sua Lilian con l’ex marito interpretato da Daniel Auteuil: perché tutto questo al cinema si vede ancora poco?
«Dovremmo parlare per ore della rappresentazione del corpo femminile. Purtroppo i pregiudizi sulle donne dopo una certa età sopravvivono, non solo al cinema. Ma sono speranzosa: registe come Zlotowski dimostrano di voler raccontare le donne per quello che sono, con tutti i loro desideri. La mia Liliane non è solo una psichiatra, una madre e una nonna, ma una donna che si esprime anche attraverso il corpo».
Con Auteuil avete avuto un intimacy coordinator?
«È una figura che ho scoperto sul set di True Detective. Ho detto: "Che lavoro pazzesco, dov’eri tu quando avevo 16 anni?". Ormai io e Auteil abbiamo superato i 60 e abbiamo risolto senza, ma sono contenta che questa figura esista, era importante che ci fosse».
Che cosa di lei non hanno mai capito finora?
«Non sono seria come credono. Non ho mai capito perché il pubblico mi affibbi quest’aura di serietà, io sono una persona leggera. Certo, se mi fanno domande serie rispondo in modo serio e amo fare lavori significativi, ma se sapeste com’è la mia giornata ideale cambiereste idea».
Com’è la sua giornata ideale?
«Sveglia presto, sci ai piedi, la sera una partita di calcio in tv e una cena gustosa. Altro che tormentata, sono una persona felice e ottimista verso il futuro».
© Riproduzione riservata
Come trasformare l'eredità in un'opportunità per i propri figli
Elena Valzania ha 57 anni e vive a Ravenna, in una casa che ha ereditato dalla sua famiglia. Cresciuta in un contesto economicamente stabile, è stata segnata più di quanto pensasse da ciò che ha ricevuto in eredità: non solo beni, ma un intero modo di vivere e pensare il denaro. «I nostri familiari conducevano vite semplici, risparmiavano e investivano».
A un certo punto, la malattia entra nella sua storia familiare e si intreccia alle questioni economiche. Il padre di Elena si ammala gravemente, per poi morire quando lei ha 20 anni. Insieme con i beni materiali, Elena riceve anche un’eredità invisibile: l’idea che il lavoro debba essere per forza fatica. Un peso silenzioso che la accompagna a lungo, anche dopo la laurea in Farmacia, quando si avvicina all’omeopatia e inizia a lavorare. «Rispetto allo studio, lavorare mi sembrava facilissimo, ma proprio per questo mi pareva che non valesse abbastanza». E infatti, quando viene assunta in una cooperativa di Bologna, non negozia lo stipendio.
La sua carriera aziendale si interrompe durante la sua prima maternità: l’azienda viene acquisita e, al rientro dal congedo, capisce che stanno cercando di spingerla alle dimissioni.
Da allora, Elena non è più rientrata nel mondo del lavoro “ufficiale”. I soldi necessari ad andare avanti, però, in un modo o nell’altro, entrano. Ed Elena procede nella sua vita, con una leggerezza sconosciuta ai suoi familiari. Che le è concessa, però, anche grazie all’eredità materiale ricevuta da loro: «Mio marito e io abbiamo sempre avuto la mentalità di investire sulla nostra famiglia. Tuttora siamo concentrati sul mantenere i nostri tre figli agli studi e i beni di famiglia sono un mezzo per sostenere questa nuova generazione».
Parola all'esperta: le polizze come strumento di tutela
RISPONDE ELENA BELLUCCI DELL’AGENZIA ALLEANZA DI EMPOLI (FI)
1) Come si gestisce un’eredità ricevuta?
«Ricevere un’eredità può risultare persino destabilizzante, specie se si tratta di grandi somme, e senza una gestione attenta il rischio è di sperperare il patrimonio o di non trarne vantaggio. È insomma necessaria un’attenta pianificazione che parta dai bisogni dell’individuo o della famiglia, ragione per cui può essere molto utile affidarsi a un buon consulente assicurativo e finanziario. Tra le soluzioni possibili ci sono le polizze di investimento, che combinano l’opportunità di investimento con la componente assicurativa, che offre una protezione sul capitale o sul rischio di vita. Ne esistono di diversi tipi: con quelle a capitale garantito, per esempio, si ha la certezza che il capitale che sarà restituito all’uscita dall’investimento non sarà inferiore a quello versato».
2) Che vantaggi hanno, rispetto alle altre soluzioni?
«Le polizze da investimento sono nate per chi desidera assicurare un sostegno economico ai propri cari, anche in caso di decesso, con l’aggiunta di un rendimento. Offrono però anche altri vantaggi: uno dei più importanti sta nel fatto che il capitale così collocato non rientra nell’asse ereditario e non viene considerato nel calcolo dell’eredità ai fini della tassa di successione. In caso di morte del contraente le somme passano al beneficiario, nel rispetto delle quote di eredità legittime disponibili, e questo rende la polizza un ottimo strumento per tutelare le coppie non sposate o i minori».
Testo di Annalisa Monfreda
*co-fondatrice di Rame, rameplatform.com
© Riproduzione riservata