Johannesburg, viaggio nel cuore del Sudafrica
Johannesburg è contraddittoria e misteriosa. Se la cerchi su Google, la prima parola associata alla città è “pericolosa”. Eppure all’arrivo sembra tutto il contrario. L’aeroporto è pulito e rigoroso. Il traffico, che tiene la sinistra, come in Inghilterra, è intenso ma composto. Per arrivare all’albergo percorriamo strade larghe, inerpicate tra le colline; ovunque si stagliano ville lussuose in stile europeo. I muri sono bassi, rivelano prati e piscine. In cima, però, rotoli di filo spinato. Ovunque, cartelli con scritto “Armed response”, tradotto: vietato entrare, siamo armati! Siamo in uno dei sobborghi più ricchi della città, dove vivono gli expat, i colletti bianchi delle grandi banche e multinazionali che hanno fatto di Johannesburg il centro nevralgico dell’economia dell’Africa centro-meridionale. D’altronde è così, che è nata, la città: costruita alla fine dell’Ottocento dagli inglesi che ci hanno trovato l’oro. L’80% (oggi sensibilmente di meno) di tutto l’oro del mondo. Di scambi economici vive, Johannesburg. Non per niente il volo che prendiamo per arrivarci, la nuova tratta Alitalia Roma-Johannesburg, è strapieno in tutte e tre le classi. È un notturno, atterra alle 8 del mattino. Niente fuso orario, pronti per lavorare. Soprattutto se, come noi, dormi sonni tranquilli in business class. Che qui si chiama, a ragion veduta, Magnifica.
L’idea che sia tanto pericolosa, non per tutti, Johannesburg, non mi va a genio. Voglio esplorare. Lascio il mio hotel, il Four Seasons (67 Jan Smuts Ave, fourseasons.com/Johannesburg) tutto Spa e ristoranti di lusso affacciati sulla boscosa collina di Westcliff, per raggiungere il popolare quartiere di Maboneng. Chiamo un Uber: il servizio di noleggio con conducente internazionale qui è il modo migliore per spostarsi. Se non l’unico. Taxi non se ne vedono. I mezzi pubblici non esistono, praticamente. Le macchine chiamate via app, invece, arrivano in pochi minuti e sono molto economiche: in 45 minuti a bordo, spendiamo 100 Rand, circa 7,50 euro.
Supero il Mandela bridge, costeggiando Braamfonteine, quartiere della movida, e arrivo a Maboneng. Qui le contraddizioni sono fortissime. La strada che ci porta al centro del distretto è al limite del degrado ed è dominata da una riciclerai, dove file di persone vestite di stracci svuotano sacchi pieni di carte e lattine. Giro l’angolo. Fox Street è un gioiello. Punteggiata di ristoranti, bar, locali hipster come il Love Revo (299 Fox St, Jeppestown) dove mi fermo a prendere un caffè e incontro, sulla veranda decorata con decine di ombrelli colorati aperti, Phindy Dube, cantante finalista del programma Idols South Africa (il nostro X Factor, per intenderci), che abita qui perché è «il quartiere “giusto” di “Jozie”» (o Joburg: così gli abitanti chiamano la città). Sempre su Fox Street, al 286, c’è un complesso che unisce un hotel di design, il 12 Decades (https://12decadeshotel.co.za/
Sono tutti neri, qui. Nonostante siano passati quasi 25 anni dalla fine dell’Apartheid, la segregazione razziale, è incredibile come la comunità sia ancora spaccata. Gli unici gruppi misti che incontro, sarà pure un caso, ma sono composti da turisti o da stranieri che vivono qui.
Esiste un altro quartiere “giusto": si chiama Melville. È molto simile a Maboneng, solo più curato e lineare, e prevalentemente popolato da bianchi. Ci sono cocktail bar contemporanei e ristoranti-club come Hootee (78A 4th Ave, hooteebar.co.za), e il Lonley Hearts Club (10 7th St, https://www.facebook.com/Lonel
Questo tipo di strutture muove la vita dei sobborghi di Joburg, come raffinati luoghi di aggregazione, shopping, arte e in alcuni casi, ogni settimana, anche il mercato.
Il più elegante e innovativo di tutti è dalle parti di Braamfontein e si chiama 44 Stanley (44 Stanley Ave, Braamfontein Werf, www.44stanley.co.za). Brian Green, ex cameramen della rete televisiva nazionale, ha recuperato uno spazio che fu enorme garage, e che ora ospita raffinatissime boutique – si va dalla biancheria di casa di Mungo ai gioielli gotici di Sirkel – ristoranti, caffetterie, bar. Questo è l’unico posto dove il mix di bianchi e neri è davvero autentico.
Ma il cuore di Johannesburg è innegabilmente Soweto. Il quartiere simbolo della città e dell’Apartheid. Da solo conta 2 milioni di abitanti censiti, e sono almeno 4 quelli che si suppone ci abitino. Lo percorro in bicicletta: il tour organizzato è il modo migliore per scoprirlo (www.sowetobackpackers.com). Contraddizioni, ovunque. La casa dove ha vissuto Nelson Mandela è nella zona di Orlando, al numero 8115 di Ngakane Street. Strade perfette, negozi, Bed&Breakfast, ragazzi che escono di scuola in divisa. Ma per arrivarci si passa attraverso gli ultimi della società. Che vivono in una zona fatta di case di lamiere, fogne a cielo aperto, spazzatura ovunque. Il colpo d’occhio è impressionante. È l’Africa più povera, dentro quella più ricca. È l’anima contraddittoria di Johannesburg. Quella che ti fa togliere i jeans sporchi di terra rossa, la t-shirt che ha ancora addosso l'odore del pane fritto con il fegato, classico spuntino del pomeriggio, per indossare un paio di pantaloni neri lucidi e una camicia di seta, e andare a cena al Marble (Trumpet on Keyes, 19 Keyes Ave, Rosebank, marvel.restaurant). Il ristorante più alla moda della città, trionfo della raffinatissima e cosmopolita cucina sudafricana, sul tetto di un palazzo del quartiere elegante di Rosebank. Dalla grande terrazza, guardo l'orizzonte e smetto di fami domande. D’altronde, qui ogni risposta è vera, e ogni risposta è falsa.
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