Per il ruolo della donna reclusa nel film rivelazione Room, l'attrice americana è ormai lanciata verso l’Oscar. E a Grazia ha raccontato di quanto quella storia u2028somigli alla sua infanzia: «Vivevo con la mia mamma e mia sorella in un monolocale», dice. «Non avevamo niente: eppure
è stato il periodo più felice della mia vita»
Tanti la paragonano a Jennifer Lawrence. Brie Larson, 26 anni, giovane e talentuosa come la protagonista di Joy e Hunger Games, è l’attrice rivelazione che Hollywood aspettava da un po’. Il suo successo è arrivato all’improvviso, con un film di nicchia e apparentemente difficile, Room, nelle sale dal 3 marzo. E per il suo primo vero ruolo di rilievo, Brie ha ottenuto la candidatura all’Oscar come migliore interprete femminile insieme con dive del calibro di Cate Blanchett, Charlotte Rampling, Saoirse Ronan, e, non a caso, proprio Jennifer Lawrence.
La pellicola, che il regista Lenny Abrahamson ha tratto dal bestseller della scrittrice Emma Donoghue Room (Mondadori), racconta la prigionia di Ma, una ragazza rapita da un maniaco e tenuta segregata per sette anni in una stanza di pochi metri quadri. La donna subisce violenze, rimane incinta e partorisce Jack (l’attore Jacob Tremblay), con cui vive nella cella. Al bambino, la madre cerca di far dimenticare l’orrore quotidiano creando un mondo di fantasia. Che rimane in piedi fino a quando il figlio inizia a fare sempre più domande sulla realtà esterna.
Brie Larson ha un’intensità che commuove e che le ha fatto vincere tutti i premi più importanti della stagione, tra i quali un Golden Globe e un Bafta, l’Oscar britannico. Insomma, di questi tempi, l’attrice ha poco da invidiare a Jennifer Lawrence. «Però sono una sua ammiratrice», mi dice Brie, che ho intervistato all’anteprima di Room a Toronto. «Ho conosciuto Jennifer anni fa. Al buffet eravamo le uniche a mangiare le ciambelle».
Room, ambientato in una stanza claustrofobica, non è un film facile. Eppure al cinema ho visto persone che applaudivano in lacrime. Perché coinvolge tanto il pubblico?
«Perché spinge chi guarda la pellicola a tirare fuori la sua umanità. Ogni volta che partecipo a una proiezione, sento le farfalle nella pancia. In questa storia, poi, mi sono mostrata vulnerabile e con le lacrime agli occhi. Penso che mettermi a nudo sia stato un atto di coraggio. Tengo molto al giudizio della gente, perché non ho mai lavorato tanto come per questo film».
Il soggetto è delicato: una donna vive reclusa per anni e subisce violenze. Come si è preparata?
«Mi sono fatta raccontare l’esperienza di alcuni amici che hanno scelto di soggiornare in ritiri per persone che vogliono isolarsi completamente dal mondo. Lì non solo non puoi parlare, ma non è permesso neppure avere un contatto visivo con gli altri, perché sarebbe una forma di comunicazione».
E che cosa ha scoperto?
«Creando una sorta di silenzio dentro di me, ho raggiunto una specie di stato meditativo. E improvvisamente mi sono resa conto di aver vissuto un’esperienza per certi aspetti simile a quella di Room: la vita da recluse di una mamma con le sue figlie».
Perché ha un legame così personale con il film?
«Quando avevo 7 anni, mia madre si è trasferita con me e mia sorella da Sacramento a Los Angeles, per assecondare la mia vocazione di attrice. Vivevamo in un monolocale poco più grande della stanza del film. Avevamo un bagno minuscolo e un letto ribaltabile che di giorno scompariva nella parete. Il mio guardaroba comprendeva due paia di jeans, due T-shirt, una fascia per i capelli e delle scarpe da ginnastica arancioni. Quelle di mia sorella erano gialle. Mangiavamo surgelati e fagioli in scatola. Eppure è stato il periodo più felice della mia vita».
Sua madre ha rinunciato a tutto per farla diventare un’attrice?
«Sì, e ha pagato un prezzo salato. Di notte, nel dormiveglia, la sentivo singhiozzare, ma ero piccola e non capivo che cosa stesse accadendo. Solo girando Room mi sono resa conto che stava piangendo: mio padre, un chiropratico, poco prima della nostra partenza per Los Angeles aveva chiesto il divorzio. Mi sono commossa pensando a quale ragione intima mi ha spinta, quasi senza che me ne rendessi conto, a girare questo film».
La protagonista è anche vittima di violenza sessuale: com’è entrata nella sua psicologia?
«Ho parlato con alcune donne molestate e con le associazioni che le aiutano. Il film esce in un momento propizio per affrontare l’argomento degli stupri. C’è più disponibilità ad ascoltare le vittime e non passa giorno che non si legga di violenze nei licei, nelle parrocchie e da parte di persone famose. Sono fiera di aver rappresentato un aspetto della nostra società che è rimasto troppo a lungo nell’ombra».
Lei, pur avendo vissuto situazioni difficili, sembra una donna sicura, che sa che cosa vuole: dove trova l’energia?
«Una cosa fondamentale, per me, è la capacità di perdonare. Durante le riprese, sentendomi più connessa con il mio passato, ho telefonato a mia madre e, tra le lacrime, le ho detto che finalmente capivo quanti sacrifici avesse fatto per me. E lei, piangendo, mi ha chiesto scusa per le tante difficoltà in cui ci siamo trovate. Ma la forza interiore nasce anche da esperienze positive, come una notte di riposo, una cena deliziosa, una risata. Mi sento fortunata ad avere degli amici stupendi, un partner (il musicista Alex Greenwald, ex componente dei Phantom Planet, ndr) e dei cani che adoro».
Un’altra sorpresa del film è lo straordinario rapporto tra Ma e suo figlio. Com’è riuscita a interpretare così bene una madre, non avendo bambini?
«Non è difficile, se sei una persona che ama la vita e gli esseri umani. Comunque un giorno vorrei avere dei figli, anche se per ora è solo un’idea. Ho avuto una madre stupenda e penso che saprei come fare».
Com’è stato recitare con un attore bambino, il talentuoso Jacob Tremblay?
«Perché ci capissimo, sono dovuta entrare nel mondo di un ragazzino di 8 anni (quanti ne aveva Tremblay durante le riprese, ndr). Mi ha chiesto se mi piaceva Star Wars, gli ho detto di sì, e il nostro rapporto ha subito preso il volo. Jacob mi ha aiutata a sdrammatizzare le situazioni sul set. Il coinvolgimento emotivo era di un’intensità straordinaria, io continuavo a piangere anche alla fine delle riprese e lui mi diceva: “Guarda che la scena è finita, vieni a ballare con me”. E improvvisava passi di danza».
Lei aveva l’età di Jacob quando ha iniziato a recitare: che bambina era?
«Estremamente timida. Lo so che sembra incredibile per una ragazzina che, già a 5 anni, sognava di diventare un’attrice, e che ha avuto la sua prima parte importante a 7. Eppure è così. Riuscivo a recitare davanti a una platea di 200 persone, ma arrossivo all’interrogazione in classe. A casa, quando arrivavano gli amici dei miei genitori, correvo a nascondermi».
Oggi, invece, è la nuova star dei tappeti rossi. Dovrà abituarsi alle luci della ribalta.
«Non sono un’attrice che ama riguardarsi nei film, ma in Room mi riconosco. A parte il pallore, che è d’obbligo per un’attrice che interpreta una reclusa, ma strano per chi, come me, vive in California. In realtà io non mi sento a mio agio con un make up marcato. Dopo essermi truccata, mi guardo allo specchio e faccio fatica a riconoscermi. Non c’è niente di male a curare l’aspetto. Ma esiste anche un’altra forma di bellezza, meno costruita e più spontanea, un lato della femminilità che è giusto mostrare».
Quanto conta per lei la candidatura all’Oscar come migliore interprete protagonista?
«Mi sento come una donna che arriva al giorno del matrimonio senza avere un marito. Insomma, non ho ancora vinto niente. Ma so che grazie all’Oscar, e agli altri premi ricevuti, la gente avrà la possibilità di vedere Room e altre pellicole alternative che altrimenti sarebbero passate inosservate».
La sua vita è cambiata da quando ha ricevuto la nomination?
«Sì, vedo che si sono aperte le porte al tipo di progetti che mi interessano di più. Da ragazza ho rinunciato a girare pellicole per teenager con la Disney perché temevo che la mia carriera prendesse una direzione che non volevo. Ora mi accorgo che stanno arrivando altre proposte per parti di donne forti, complicate e piene di sfaccettature espressive. Questo è il momento che attendevo da sempre».
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