«Anche la mia insalata forse era un'opera d'arte»: l'editoriale di Silvia Grilli

Per noi che viviamo a Milano e lavoriamo nei giornali, lo chef Carlo Cracco è una persona di famiglia. Lo incontriamo nelle cucine di una miriade di eventi, ci diamo appuntamento al suo ristorante in Galleria, conosciamo la tempra di ferro mascherata di dolcezza di sua moglie Rosa.
Lo abbiamo visto per anni assieme a una grande quantità di artisti, cantanti, attori, sindaci, politici, stilisti, imprenditori. Cracco è un’istituzione milanese, come Ornella Vanoni.
Prima che Milano chiudesse per la pandemia, la mia ultima cena fu nel suo ristorante. Per un convegno a Dubai di tutte le edizioni internazionali di Grazia, chiamammo lui a rappresentare la nostra arte culinaria.
Tra l’altro in quell’occasione mi fece anche vincere una gara di cucina, cosa che non gli ho mai perdonato perché era evidentemente un favoritismo. Io sono assolutamente incapace ai fornelli e il massimo che avevo saputo concepire era un’insalatona.
Quando ho pensato a chi affidare questo terzo numero di Grazia Food, mi sono detta che volevo tornare a casa. Casa in questo numero sono Cracco e sua moglie Rosa, una donna creativa, attenta e concreta come quasi tutte le compagne alleate.
Quando leggerete l’intervista che Camilla Baresani ha fatto a Carlo, scoprirete un uomo che non si accontenta mai.
Il ragazzo arrivato a Milano dalla campagna si è rimboccato le maniche, con infinita curiosità e dedizione ha scalato una città che non era sua, ma presto lo è diventata. E poiché Milano è una madre severa che mantiene sempre le promesse, la città lo ha ripagato.
Leggendo il racconto di Baresani, scoprirete anche perché Cracco abbia voluto dedicare questo numero da direttore ospite al legame tra l’arte e la cucina.
Per lui nulla è separabile dalla bellezza: nessun piatto, nessuno dei suoi ristoranti, anche l’accoglienza attenta nelle sue sale. Ha quell’estetica dell’armonia che vive nei suoi sapori e nell’immagine con cui questi sapori arrivano in tavola.
Leggendo l’intervista ho capito che, anche se credevo di sì, in realtà non avevo mai conosciuto abbastanza questo famosissimo chef. Non ero appieno consapevole del suo rigore o di quella positività che non gli fa perdere tempo nelle cose inutili della vita, perché lui ha sempre tanto da scoprire e creare. Tanti sapori nuovi da inventare, tanta bellezza da portare in tavola.
E forse, ripensandoci, non mi ha nemmeno favorito in quella gara. Forse lo meritavo, perché la mia insalata era bella, bella davvero. Quasi un’opera d’arte.
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