Caterina Ferioli: «Da Il Fabbricante Di Lacrime a Belcanto, sono alla ricerca della mia voce»

Ventiquattro ore con l'attrice Caterina Ferioli per creare uno speciale servizio moda e scoprire tutto di questo nuovo volto del grande schermo

C’è una nuova generazione di attrici italiane che sta riscrivendo le regole del talento, volti intensi, tutti diversi e tutti da scoprire. Tra queste Caterina Ferioli è senza dubbio uno dei più promettenti.

Classe 2003, bolognese, sguardo limpido e trasparente e determinazione da veterana, Caterina è una di quelle ragazze che sembrano nate per stare davanti alla macchina da presa. Ma dietro il viso dolce e l’energia contagiosa si nasconde un approccio rigoroso al mestiere dell’attrice, una passione costruita passo dopo passo, tra studio, audizioni e primi set. Un percorso che, nonostante la giovane età, l’ha già portata a farsi notare come uno dei nuovi talenti più interessanti del panorama cinematografico italiano.

Il pubblico l’ha scoperta — e amata — soprattutto grazie a Il Fabbricante di lacrime, l’adattamento del bestseller di Erin Doom targato Netflix, dove Caterina interpreta Nica, protagonista dalla sensibilità intensa e combattuta. Con una delicatezza rara, l’attrice ha saputo restituire le fragilità e la forza di un personaggio amatissimo dai lettori. Più recentemente l’abbiamo vista in Belcanto, fiction di Rai 1 diretta da Carmine Elia, dove la recitazione di Caterina si fa ancora più matura, profonda, capace di dare voce a sfumature complesse e spesso taciute. Due ruoli diversi, ma entrambi attraversati da una verità emotiva che ormai è diventata la cifra distintiva del suo modo di stare in scena.

Ma sarebbe riduttivo definire Caterina solo in base ai progetti in cui ha recitato. La sua forza sta anche nella visione che ha del mestiere: un lavoro di esplorazione, fatto di empatia, osservazione e disciplina. E lo dice con quella calma ferma tipica di chi prende sul serio ciò che fa, senza mai prendersi troppo sul serio. Una maturità che colpisce, soprattutto perché è accompagnata da una leggerezza tutta sua — quella leggerezza che serve per muoversi tra copioni, set e red carpet senza perdere il contatto con sé stessi.

Nella vita di tutti i giorni, Caterina è una ragazza della sua generazione, cresciuta tra social, serie tv e sogni condivisi via messaggio vocale, in un equilibrio sottile tra presenza scenica e autenticità quotidiana, che la rende non solo interessante da guardare, ma anche da ascoltare.

In questa intervista abbiamo parlato dei suoi esordi nel mondo della moda, di cinema, ovviamente, ma anche di aspettative, paure e consapevolezze. Perché Caterina Ferioli non è solo una giovane attrice da tenere d’occhio: è una voce nuova, sensibile e sincera, che vale la pena conoscere davvero.


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Abito e décolletées FERRAGAMO

Partiamo dallinizio sappiamo che hai cominciato a studiare teatro da ragazzina ma che non è stato proprio un colpo di fulmine…
Sì ho frequentato per due anni un corso di teatro. Ero piccola, avevo 13 anni, e mi ricordo che piangevo sempre. Non mi piaceva, ero terrorizzata. Poi l'ho rifatto al liceo, con il professore d'italiano, e la seconda volta invece è stata un’esperienza splendida, che però si è conclusa in quel momento. L’ho semplicemente... archiviata!

E com'è scattato lo switch? Quando hai capito che volevi fare l'attrice?
Dopo il liceo mi sono trasferita a Milano per frequentare lo IULM e ogni tanto pensavo: "forse potrei, chissà", ma poi lasciavo sempre perdere. All’epoca facevo la modella e dall’agenzia mi hanno mandato a un provino, tra l’altro col mio regista preferito! Purtroppo non è andata bene, ma da lì qualcosa è scattato e ho deciso di mettermi a studiare subito.

E poi, all’improvviso, è arrivato "Il Fabbricante Di Lacrime”, il tuo primo lavoro da attrice. Tratto da un bestseller amatissimo dai giovani. Com'è stato lavorare da emergente su un set così?
Era tutto grande, potente. Io ero alle prime armi, avevo fatto giusto una settimana di corso quando sono stata scelta per il ruolo di Nica. È stato tosto, anche come storia da raccontare, soprattutto perché ero molto giovane, avevo appena 19 anni!

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Top, gonna e sandali MAX MARA, occhiali da sole BOTTEGA VENETA

C'è un ricordo particolare che ti porti di quellesperienza?
La tinta nera ai capelli (ride)! All’epoca li avevo biondo platino, e mi avevano chiesto di tingermi i capelli e io, diligente, lo faccio nel lavandino della mia cucina. Uno shock! Mi sono vista corvina all’improvviso. Mia madre dice che l'ho videochiamata e avevo una faccia impietrita, non lo dimenticherò mai.

Invece, qualcosa di più legato al set?
I primi due giorni di riprese sono stati molto intensi. Mi hanno subito fatto girare il finale, con un monologo di cinque minuti. Col senno di poi, ha avuto senso: hanno sfruttato la mia emotività di attrice alle prime armi. Avevo anche una coach sul set che mi ha aiutato a lavorare ma l’emozione di quei primi giorni è stata decisiva per quella scena.

Poi è arrivato "Belcanto", giusto? A due anni di distanza dalle riprese de "Il fabbricante"?
Sì. Durante quel periodo ho studiato tantissimo. Facevo mille corsi. E Belcanto è stata una grande scuola: sei mesi di lavoro con un regista molto intenso, quasi un coach. Mi ha insegnato tanto.

Era tutto molto organizzato: arrivavi sul set e sembrava di essere effettivamente nell'Ottocento, niente green screen. Bellissimo!

E com’è stato interpretare un personaggio di unaltra epoca?
Non sono mai stata una fan dei film in costume, non ne avevo mai visti. Ma poi mi sono appassionata. Mi è piaciuta molto l’ambientazione, la dialettica tra i personaggi. Onestamente i vestiti un po' meno, sono davvero impegnativi! In alcune scene ricordo che avevo un abito azzurro e che era davvero strettissimo ed è stato davvero faticoso recitare indossandolo.

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Total look ETRO


Come lavori sui tuoi personaggi? Immagino che l'approccio sia cambiato tra "Il Fabbricante" e "Belcanto"
Con Il Fabbricante ero seguita ogni giorno da una coach. In Belcanto ho fatto da sola, avevo più strumenti. Mi sono costruita una linea temporale per orientarmi tra le scene non cronologiche. Il mio personaggio, Antonia, ha un'evoluzione fortissima, arriva quasi alla pazzia. Gli ultimi episodi sono stati una grande prova per me.

Rivederti ti fa effetto? Sei di quelli che si odiano sullo schermo o che si analizzano?
Decisamente la seconda categoria! Io mi guardo, non ho problemi con la mia immagine, mi piaccio. Ma ho un problema con la mia voce. Sono rimasta traumatizzata dall’”esperienza de Il Fabbricante: mi sembrava di avere una voce troppo di gola. Ho lavorato molto per modularla e oggi riguardo le scene ossessivamente perché voglio "sentirmi intonata". Ho scoperto che è una cosa molto comune non riconoscere la propria voce… un po’ come riascoltarsi nei vocali!

Hai dei riti scaramantici prima di andare sul set?
Riti veri e propri sul set direi di no. Magari prima, in fase di audizione. Se proprio devo dirlo a qualcuno, deve essere a un numero pari di persone del sesso opposto. Sì, dai, un po' di scaramanzia c'è!

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Abito e calze MISSONI, sandali RENÉ CAOVILLA, occhiali da sole SAINT LAURENT

Tornando ad Antonia in "Belcanto", cosa ti ha colpito di più di lei?
È uno dei miei personaggi del cuore. Mi ha fatto tanta tenerezza, anche se non è stata molto compresa dal pubblico. Dà tutto per la madre, la sorella, il canto, ma non ce la fa e si sgretola. Non è il personaggio principale, ma ha una grande complessità. È multiforme, ha molti strati, tanti livelli di profondità. L'abbiamo costruita togliendo una maschera dopo l'altra, fino a far emergere chi fosse davvero. Non posso giustificare tutto quello che fa, ma non è davvero una “villain”, una cattiva. È solo una ragazza disperata e anche questo va raccontato!


All'inizio parlavi di registi. Ma c'è un attore o un'attrice con cui sogni di lavorare?
Mi piacerebbe tantissimo lavorare con Valeria Bruni Tedeschi, Jasmine Trinca e Margherita Vicario. Sono tutte e tre donne poliedriche, con una storia pazzesca. Hanno interpretato ruoli molto diversificati e tutte e tre sono anche registe. Questa cosa mi affascina molto.

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Abito e orecchini DES PHEMMES

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Sandali FERRAGAMO

E fuori dal set, cosa ti piace fare? Hai un hobby?
È una bella domanda. Me lo chiedo spesso anch'io. Il mio hobby è il lavoro! Studio come una pazza, ma mi diverto, mi piace. Più che un lavoro è un piacere. Poi certo, leggo molto, ma vado a periodi: magari due libri a settimana, poi mi fermo. Faccio tanto sport: corro, cammino, palestra, pilates, yoga... però sto cercando un hobby vero, qualcosa “da coltivare”, insomma.

Quando non lavori riesci a trascorre del tempo con i tuoi amici e con la tua famiglia?
I miei genitori sono a Bologna. Torno spesso (Caterina vive a Roma - ndr), almeno una volta ogni settimana o due, e mi fermo tre-quattro giorni. Ritorno alla vita normale: cucino, faccio le lavatrici, mi fa bene.

Hai parlato di libri: qual è l'ultimo che hai letto?
La porta di Magda Szabó. È bellissimo. L'ho comprato perché una frase mi ha davvero colpito: “Non si può costringere un altro essere umano ad avere un rapporto con te se non vuole". Pensavo parlasse di amicizie, invece è ambientato negli anni '30. Una storia tra una donna e la sua domestica. All'inizio non capivo dove volesse andare a parare, poi mi ha conquistata. Mi piacerebbe interpretare un personaggio del genere, magari un giorno, quando sarò più grande. È molto bello e mi ha fatto molto riflettere sui rapporti umani.

E musicalmente, cosa ascolti, com’è la tua playslist?
Non ho un genere preciso. C’è di tutto. Quando corro posso ascoltare Battisti e subito dopo una traccia tecno da 280 BPM. È imbarazzante, lo ammetto, ma in fondo le playlist sono tutte così, un po’ schizofreniche!

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Bustier e longuette DES PHEMMES, collant FALKE, sandali RENÉ CAOVILLA, borsa ROGER VIVIER

Torniamo un attimo indietro. Quando studiavi allo IULM a Milano, prima di cominciare a recitare, hai lavorato anche come modella, com’è il tuo rapporto con la moda, com’è nato e come si è evoluto? 
Ho iniziato a lavorare come modella prima, a 15 anni. Ed è stata la mia prima vera scelta. Volevo proprio farlo, mi piaceva la moda. C'era questo concorso, "New Faces", che si teneva nei grandi negozi delle città, Bologna era tra quelle. Ho deciso di partecipare: eravamo tantissime, tutte sotto la pioggia. Io e mia madre eravamo lì, sotto l'acqua, ad aspettare… e mi hanno presa, ero davvero felicissima.

E tua mamma, i tuoi in generale, ti hanno sempre supportato?
Sì, mi hanno sempre sostenuta. Anche con la carriera da attrice. Certo, all'inizio erano un po’ preoccupati, perché nella moda avevo già una mia stabilità, avevo trovato il mio spazio concreto. Il cinema, invece, è stato un salto nel vuoto. All’epoca poi andavo anche all’università, ma dopo un anno ho dovuto abbandonare. Mi sono detta: mi dedico al cinema, alla recitazione, mi trasferisco a Roma e basta!

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Cardigan, longuette, cintura e slingback N°21, orecchini ROGER VIVIER


Parliamo di stile personale: com'è il tuo look da tutti i giorni?
Mi piacciono molto gli anni '90, da sempre! Sono sempre stata coerente nel mio modo di vestire: se guardo le foto di quando ero ragazzina, ti assicuro che indosso le stesse cose di allora. Jeans a zampa, vita bassa... è il mio stile da dieci anni. Le maxi bag per me sono fondamentali. E quando sono a casa, ammetto, tuta oversize, sempre!

C'è un abito, un look speciale che hai indossato per un evento o un red carpet che ti è rimasto nel cuore?
Sicuramente quello che avevo a Venezia l’anno scorso, un vestito Giorgio Armani Privé di qualche anno fa. Un look che mi piaceva tantissimo! Devo dire che è stata, in generale, un'esperienza pazzesca. Sul red carpet guardavo, osservavo, assorbivo tutto. Ero lì davanti ai fotografi e dietro di me passano attori che ho sempre adorato! Sono molto grata di avere avuto questa occasione.


In attesa di rivederti sul red carpet del Lido, perché no?, puoi anticiparci qualcosa sui prossimi progetti?
Si tratta sempre una serie tv, al momento la data della messa in onda è in via di definizione (Come un padre, tratto dalla storia del prete visionario Don Antonio Loffredo nel Rione Sanità di Napoli - ndr). Sarà la mia prima esperienza un po' più “leggera”, la trama, che è tratta da una storia vera, non lo è per niente ma il mio personaggio è una persona serena, con i suoi problemi familiari da adolescente. Il regista, Luca Miniero, ha scelto una chiave quasi da commedia e trovo sia stata la scelta migliore. E poi abbiamo girato a Napoli, con attori favolosi e un’energia unica, mi sono divertita davvero tanto.

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Abito e bracciale ROBERTO CAVALLI

Parliamo di social. Usi TikTok e Instagram, com'è il tuo rapporto con la popolarità che ne deriva?
In realtà vivo tutto come prima. Posto le stesse cose, uso i social come ho sempre fatto. Non ho problemi con la mia immagine. Il numero che cresce è solo una conseguenza.

C'è un ruolo che ti piacerebbe interpretare?
Sì, mia nonna. Mi piacerebbe raccontare la sua storia, anche quella di mio nonno, che non ho mai conosciuto. Hanno avuto vite molto interessanti, il loro passato mi affascina molto.

Abbiamo letto che sei anche una grande appassionata di horror...
Forse! (ride) Mi piacerebbe interpretare un bello splatter americano, di quelli estremi. Tipo con gli zombie, sangue... molto strong. Li trovo divertentissimi. Mi piacerebbe un ruolo tipo quelli di Mia Goth, sai che bello studiare gli urli a casa!


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Occhiali da sole BOTTEGA VENETA

Tornando alla moda: eri tra gli ospiti dell'ultima sfilata di Etro. Com'è stato?
Bellissimo. Viverla da “ospite” è diverso, ovviamente, ma mi è piaciuto molto. Etro è un brand che adoro, ha un concetto di moda che sento vicino a me. Certo, le sfilate durano dieci minuti, sono rapidissime, ma è sempre emozionante. Sono piccole conquiste per me e poi adoro il fatto di mantenere un legame con la moda, in qualche modo.

Ti manca il lavoro da modella?
No, sinceramente no, preferisco decisamente la dimensione che ho ora. Avevo bisogno di avere una mia voce e ora, come attrice, ce l’ho!

Credits:

Foto e Art Direction: Sara Reverberi
Video: Daria Krasnova
Mua/hair: Giorgia Blancato
Creative Direction e styling: Sara Moschini
Sitting Editor: Rossella Malaguarnera

Location: Maison Chambre et Jardin

  • IN ARRIVO

Un excursus sul fare musica (e viverci) con Adele Altro aka Any Other

Cantantautrice, producer, chitarrista. Abbiamo portato Adele Altro nella natura ghiacciata di St. Moritz ospiti dell'hotel Grace La Magna per un esclusivo servizio e una lunga chiacchierata sulla musica

A poche settimane dall'uscita di Trovarsi Soli All'Improvviso, il nuovo album di Marco Giudici che ha coprodotto e nel quale suona e canta, Adele Altro si confessa in una lunga intervista nella quale cerca di tracciare un percorso dall'inizio della sua carriera da musicista autodidatta passando per i mesi difficili della pandemia fino all'uscita di stillness, stop: you have a right to remember con il suo progetto più noto, Any Other.

Davanti all'accogliente e scenografico caminetto del Grace La Magna di St. Moritz, Adele ha esplorato la pressione di essere sempre presente e visibile data dai social media, ma anche le differenze di genere nella musica, la sua passione per il momento dei live e il suo impegno come producer, mentre scattando le foto del nostro servizio moda abbiamo scoperto come fosse cambiato il rapporto con la sua immagine e il suo corpo.

Lasciamo spazio alle parole di Adele e alle foto di Sara Reverberi con una notizia esclusiva sul futuro dell'artista veronese alla fine dell'intervista.

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Adele indossa cappello e sciarpa in lana AVANT TOI

Raccontaci tutto dall'inizio. Quando hai capito che volevi fare questo di lavoro e che la musica era importante per te?
L’ho capito abbastanza tardi, o comunque più tardi rispetto alla media dei miei amici e colleghi che fanno questo lavoro. Ho iniziato a suonare intorno ai 18 anni. Da che ero adolescente sono stata sempre appassionata di musica, però in qualche modo, forse anche per un problema di rappresentazione, non avevo mai considerato che potessi essere io la persona che creasse la musica. Mi ero sempre vista come una fruitrice, ma mai come una potenziale... soundmaker

Al liceo ho conosciuto la mia migliore amica Cecilia e lei aveva una chitarra. La prima volta che ci siamo viste ci siamo messe in camera sua, lei suonava, io cantavo. Facevamo le cover dei Cure, di Bob Dylan, cose così. E ci siamo dette che bella questa cosa. Non c'è mai stato un vero momento in cui ho detto: «La musica è il mio sogno, voglio fare questo». È semplicemente successo. A un certo punto mi sono ritrovata questa cosa tra le mani e funzionava come mezzo per comunicare con gli altri. Ovviamente ero un'adolescente disagiata (ride - ndr).

Da lì non l'ho più mollata, finché non è diventata il mio lavoro

E quindi cos'è successo poi? Finisci il liceo e? 
Io e Cecilia eravamo diventate un duo, che si chiamava LoveCats e nel 2013 ci siamo trasferite a Milano. 
Dopo un mese che vivevamo a Milano, abbiamo fatto una data un lunedì sera e così ho iniziato a conoscere altri musicisti e a scrivere canzoni per fare un disco e ho imparato a suonare la chitarra proprio perché volevo scrivere i miei pezzi. 

Da autoridatta, quindi? 
Sì, proprio andando su Google! 

A questo punto avevamo tanta carne al fuoco, stavamo registrando, imbastendo le registrazioni per un disco e Cecilia ha scelto di fare un altro percorso, e il duo si è sciolto. Era il 2014, e io mi sono ritrovata con questa manciata di canzoni che avevo scritto. E lì è nato Any Other

Il primo disco è uscito nel 2015 e ho fatto tantissime date live. All’inizio eravamo un trio, io, Erika Lonardi e Marco Giudici, il mio migliore amico con il quale collaboro ancora. Flash forward al 2016, mi scrive Niccolò Contessa de I Cani e mi chiede di aprire il loro concerto a Roma e qui conosciamo i ragazzi dell’etichetta 42 Records e qualche tempo dopo abbiamo iniziato a lavorare assieme.

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Adele indossa bustier, jeans e giacca con collo in pelliccia GAS, stivali SANTONI

E qui parti in tour con Colapesce che faceva parte di 42 Records. 
Sì ero nella sua band come chitarrista. 

Ti piaceva questa cosa? Nel senso, non essere tu a cantare.
Il lavoro di turnista mi ha sempre permesso di vedere come gli altri fanno le cose e quindi anche poi di portarmi a casa un pezzo del loro modo di lavorare. Suonare pezzi di altre persone ti obbliga a sbloccare delle zone di te stesso che magari non considereresti come musicista. 

Il primo disco che ho fatto con 42 Records si chiamava Two Geography, tecnicamente il mio secondo disco. Da lì è partito un tour in Italia, in Europa e siamo perfino arrivati in Asia orientale, appena prima del Covid. Siamo andati in Cina a novembre 2019, tra l'altro la prima data doveva essere a Wuhan e ce l'hanno cancellata guarda caso.

E durante il covid cosa hai fatto? 
Ero disperata perché a inizio 2020 doveva esserci il primo tour di Colapesce Dimartino e avevo anche scritto un concerto per sestetto, io chitarra e voce, Marco Giudici al pianoforte elettrico, e avremmo avuto anche flicorno soprano, sassofono tenore, viola e violoncello. Avevo il tour fissato nei teatri ed è saltato tutto. Era un momento del mio percorso lavorativo super importante. Alla fine tra aiuti statali e le due o tre cose che si sono riuscite a fare a distanza, non so come, ce l'ho fatta. 

L’anno dopo c'è stato il primo Sanremo di Colapesce Dimartino, poi è partito il tour e da lì è stato tutto più in discesa.

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Maglione e gonna in lana ZONA20, boots UGG, anello e bracciali ELOISE, calze GOLDEN POINT


Durante tutto questo tempo avevi meno tempo di scrivere per te?
In realtà alcuni pezzi di quello che sarebbe diventato stillness stop: you have a right to remember avevo iniziato addirittura a imbastirli prima dell'uscita del primo disco. Ma il mio percorso d'artista come Any Other è molto legato al live, quindi mettermi fretta in un momento di incertezza sul tour per la pandemia non aveva senso. E poi durante il Covid mi sono messa molto in discussione come musicista e come artista, perché venivo da anni in cui mi era successo solo due volte di stare a casa per più di due settimane. Ero sempre in tour. Sempre. 

E ti faceva anche piacere restare un po' a casa? O l'hai sofferta, cioè, a parte la paura economica ovviamente? 
All'inizio ho fatto molta fatica perché mi sono accorta che stavo sovrapponendo il mio valore come persona, al mio valore come artista. Non capivo più dove finivo io e dove cominciava la performance. Ho iniziato a chiedermi: se non suono chi sono? Che cosa ho da offrire agli altri se non suono? A posteriori sono contenta di questa crisi perché mi ha aiutato anche a ridimensionare il mio ruolo. Un grande aiuto in questo momento è stato iniziare a lavorare come produttrice in studio. Ho seguito dei progetti, personalizzazioni di film muti dal vivo, creato musica per podcast, ho iniziato a lavorare tanto anche sullo strumentale, quindi sulla composizione non per canzoni, che è una cosa che mi piace tantissimo. 

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Top e gonna con frange e stivali over-the-knee FABIANA FILIPPI, headpiece ROSANTICA, calze GOLDEN POINT

Poco dopo l’uscita di stillness stop: you have a right to remember e il tour che ne è seguito hai pubblicato il primo EP con pezzi anche in italiano.
Si chiama Per Te Che Non Ci Sarai Più, e sono quattro pezzi, due in italiano, uno in giapponese e uno in inglese. E l'abbiamo registrato in due giorni. È stato un po' come tornare al primo disco in qualche modo, cioè cercare di riappropriarsi di una dimensione più animalesca nell'approccio alla musica. Con stillness ero a quel livello in cui sei consapevole delle tue capacità ma anche dei tuoi limiti, sai tanto ma non abbastanza per liberarti delle tue conoscenze e consapevolezze, quindi ho fatto molta fatica a produrlo. Invece adesso mi sento in una zona in cui sono un po' più agile. 

Ti sei sentita più libera a scrivere in italiano? Tu che sei abituata a cantare in inglese comunque. 
Non so se più libera, però mi sono resa conto che la lingua è come se fosse una sorta di strumento. È un modo per dare una forma ad una materia informe. Questo per me è stato super interessante, perché mi ha messo nella condizione di rendermi conto anche che il registro che uso influenza il modo in cui io leggo la realtà

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Adele indossa uno slip dress di CALVIN KLEIN, cardigan in lana FABIANA FILIPPI, sandali SANTONI, calzini UNIQLO

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E il pezzo in giapponese? Tu parli giapponese?
Quando ero piccola mio padre era in fissa con alcuni autori, molto classici, sia di letteratura che del cinema asiatico. Quindi mi aveva introdotto a un po' di cose di cultura giapponese. Crescendo mi sono fissata con i videogiochi e poi sono andata a suonare in Giappone e ne sono rimasta affascinata. Così l'anno successivo mi sono iscritta a un corso del Comune di Milano di cui adesso sto frequentando il quinto anno. È stato super divertente. Da una parte è molto simile all'italiano perché ha una cadenza sillabica, ma a sua volta la divisione sillabica non è legata all'accento come nella nostra lingua. C’è un modo di sfruttare la metrica che è molto stimolante. 

Come ha reagito il tuo pubblico alle canzoni in italiano? 
Nei miei dieci anni da musicista, mi hanno sempre fatto la domanda «perché non scrivi in italiano?», ma in questo caso ho notato che è stata accolta semplicemente come una delle sfide che mi piace darmi quando faccio dei lavori nuovi. Che non vuol dire che da adesso in poi scriverò in italiano, però se ho voglia magari sì. 

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Trench coated MARBELL, stivali in gomma DR.MARTENS, borsa gioiello ROSANTICA

Secondo te effettivamente in Italia si può avere successo cantando in inglese o è impossibile, come tutti dicono? 
C’è proprio un limite. Mi rendo conto che la mia musica, come quella di altre colleghe - e uso il femminile apposta perché mi sembra che le cose più fighe le stiano facendo le ragazze in questo momento - probabilmente ponga un doppio limite al successo popolare. Il primo limite sono gli elementi inusuali da cui è composta. Non voglio dire che sia musica complessa perché alla fine è sempre pop (io la chiamo art pop), ma allo stesso tempo mi piace scrivere sfidando la forma canzone, mi piace arrangiare i pezzi in un certo modo, quindi so che magari non sono ecco, del tutto accessibili o comunque non necessariamente orecchiabili. Il secondo limite è la lingua. E negli ultimi anni abbiamo visto tanti artisti anche indipendenti avere un grande successo di pubblico passando da Sanremo, che è il Festival della Canzone Italiana. 

E secondo te è necessario passare da Sanremo per ‘esplodere’ in Italia?
Bè dipende da dove si vuole esplodere. Ci ho pensato tanto nell'ultimo paio d'anni, perché ho visto il percorso che hanno fatto invece artisti come ad esempio Daniela Pes, che adoro, o Io Sono Un Cane. Quindi forse un’alternativa c’è.

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Adele indossa pile e pantaloni NAPAPIJRI, occhiali da sole MOSCOT, stivali UGG

Vorrei tornare a quello che mi raccontavi del tuo lavoro. Quando pensiamo a un'artista (soprattutto se donna) è automatico pensare che sia una cantante, una frontwoman. Ma tu sei anche una chitarrista, un’autrice, una produttrice. Scrivi e conosci la musica. La rappresentazione femminile in queste professioni è minima e i nomi che mi vengono in mente lavorano quasi tutti all’estero.
Sì, sicuramente a 15 anni non avrei mai pensato di poter essere io una di quelle figure più “tecniche” che lavoravano dietro la produzione musicale. Con Marco Giudici gestiamo lo studio Cabin Essence e da circa un anno lavoro anche come fonica e assistente di Marco per la produzione di dischi. Mi sono impegnata molto per avere collaboratori, clienti e persone intorno a me che non mettessero un filtro di genere sulle cose. Quindi chi arriva a lavorare con noi sa cosa può aspettarsi.

Quando produci per altri a cosa stai attenta? 
Non avendo tutto l'investimento emotivo, il bagaglio, che provo quando lavoro sui miei pezzi, sono io la persona che guida l'artista e gli crea uno spazio dove può cadere sul morbido. Ho riflettuto tanto su che tipo di produttrice voglio essere, perché mi rendo conto che la mia cifra stilistica forte è negli arrangiamenti, nella scelta degli strumenti che devono stare assieme, il modo in cui scrivo le varie parti. Nei miei dischi tutto questo viene fuori all'ennesima potenza, mentre sui lavori per gli altri vorrei sviluppare di più un discorso sul suono e non soltanto sulla scrittura della musica. 

Forse ho una visione un po’ - passami il termine - 'fricchettona', ma credo che la musica in sé arrivi molto prima del pensiero sulla musica. Cerco di immaginare la canzone prima ancora che sia finita e capire se gli arrangiamenti che vorrei inserire sono frutto di un mio desiderio personale o se è la canzone a richiedermeli. Questo può portare anche a dover scartare degli elementi ai quali magari sei affezionato o che sono dei comfort però non è quello che la musica ti sta chiedendo in quel momento. È anche un discorso centrato sulla comunicazione e sull'ascolto e sull’accogliere quello che ti arriva.

Questa è una cosa che dice anche Nick Cave. Che la musica è un lavoro certosino quasi di ufficio ma poi le canzoni a loro volta “arrivano”.
Sì una volta che ti lasci prendere è davvero bello.


Adesso stai lavorando tanto in studio e però sei sempre un’artista da live. Qual è la cosa che ti piace di più del contatto con il pubblico?
Quando le persone alla fine dei concerti mi ringraziano e mi dicono che il concerto, o una canzone nelle specifico, le ha aiutate a sbloccare una cosa che avevano dentro e non sapevano neanche di dover tirare fuori. È quello che succede anche a me quando vado a sentire ad esempio i Big Thief e piango per un’ora e sono felice perché avevo bisogno di sfogarmi e loro hanno parlato al posto mio con le loro canzoni.

« Ti faccio un esempio: io e Marta Del Grandi facciamo musica molto diversa, ma magari perché cantiamo entrambe in inglese e facciamo canzoni particolari non ci mettono nella stessa line-up. A un artista maschio questa cosa non succede. »
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Cardigan, gonna e top stretch MARCO RAMBALDI. calze FALKE, collane e anello ELOISE (foto scattate al ristorante STUVETTA del GRACE LA MAGNA)

A te piace un sacco suonare con gli altri artisti. Quanto è importante la collaborazione nella musica e quanto può aiutare per sopravvivere in un mondo così competitivo? 
Questo è un mondo in cui quasi si suggerisce di rimanere isolati e di stare da soli. Perché sai, ci sono pochi soldi, quindi è meglio se li prendi tutti tu. È triste ma alla fine spesso si riduce a questo. 

E questo tipo di ragionamento “esclusivo” funziona anche il discorso che facevamo sul genere, no? 
Ne ho parlato anche tanto conte mie colleghe e per molte di noi è stranissimo non aver mai suonato agli stessi festival, e abbiamo capito che questo succede perché ci mettono tutte nella stessa categoria e automaticamente una viene esclusa. Ti faccio un esempio: io e Marta Del Grandi facciamo musica molto diversa, ma magari perché cantiamo entrambe in inglese e facciamo canzoni particolari non ci mettono nella stessa line-up. A un artista maschio questa cosa non succede.

Perché due artisti uomini con le chitarre e che fanno indie rock possono stare insieme nello stesso festival e noi semplicemente perché amiamo il jazz e cantiamo bene e conosciamo la teoria musicale non possiamo stare nella stessa line-up?

Tutto questo sistema genera molta ansia e porta le artiste anche a legare poco con le colleghe a livello amicale perché costituiscono una potenziale minaccia. Però io non ci voglio giocare a questo gioco. A costo di perdere delle possibilità. Ci sono cose che dovrò accettare perché comunque è lavoro e devo pagare l'affitto e mangiare, ma c'è qualcosa dentro di me e dentro anche tante persone come me, a cui non possiamo rinunciare e questa per me è una di quelle. Mi rifiuto di escludere la possibilità che pure noi artiste possiamo essere una palette di sfumature diverse. E non è accettabile che spesso i promoter o chi gestisce la musica ci metta costantemente in competizione, una contro l’altra. Perché io devo essere insicura per il successo di un'altra ragazza? Più siamo meglio è.

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Adele indossa un abito in pizzo ANIYE RECORDS

Assolutamente. E i social immagino non aiutino la situazione ansia. Come gestisci la FOMO da Instagram dove sembra sempre che tutti facciano cose e nel caso dei musicisti escano sempre pezzi nuovi, singoli, album e così via?
Penso che ci sia un problema di fondo a livello collettivo. Questa costante necessità di dover sempre apparire come vincenti in questa società non ci porta a confrontarci e a confidarci l'uno con l'altro. Tutte noi persone della musica viviamo la stessa identica esperienza: facciamo il nostro e siamo contenti mentre lo facciamo, la curva poi decresce e ci dobbiamo fermare perché è necessario anche per vivere la vita vera e fare esperienze e avere materiale sul quale poi creare nuovamente. Ma ammettere la necessità di fermarsi è un gesto da sfigati. E se non ci sei la domanda è subito: ma dove eri finita? Ma non sta lavorando lei? 

C’è questa corsa costante al successo e all'essere visti. Per fortuna all’inizio della mia carriera, me lo ricordo ancora, ho incontrato Enrico Gabrielli e gli ho detto : «Enrico io mi sento sempre nel momento sbagliato rispetto a tutto quello che succede intorno a me, mi sembra sempre di essere fuori tempo rispetto alle cose».  E lui mi ha detto: «Ti devi vedere come una formichina che piano piano un chicco alla volta mette da parte per l'inverno, senza l'ansia di dover raccattare tutto subito. Fai anche tu un pezzo alla volta e vedrai che questa cosa ti porterà piano piano avanti. Ci saranno un sacco di momenti in cui ti sentirai scoraggiata e penserai di essere un fallimento come artista, ma segui le tue regole interiori e le tue necessità». E davvero, sembrerà banale, ma da quel momento so che mi devo fidare del mio istinto e di quello che mi dice il mio corpo senza farmi troppo condizionare dal resto. 

Per combattere la FOMO poi è utilissimo confrontarsi e parlare con gli amici e i colleghi, avere uno specchio che ti fa rendere conto di quello che hai fatto nel momento in cui sei ferma e vedi gli altri che suonano e fanno cose. Quindi il mio consiglio è andare nella vita reale, parlare e vivere ti aiuta a staccarti dai pensieri intrusivi e dalla performance online.

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Adele indossa maglia con colletto AUTRY, gonna MARCO RAMBALDI, calzini GOLDEN POINT, anello ELOISE e occhiali da vista MOSCOT

Parliamo d'immagine. Oggi abbiamo scattato un servizio moda vero e proprio e prima ci hai detto che adori posare! Non me l’aspettavo. 
Il rapporto con la mia immagine sta cambiando tanto, forse anche perché ho superato i 30 anni e mi sento più in pace con il mio corpo, più sicura e in armonia, come se non ci fosse più qualcosa contro cui lottare, ma qualcosa insieme al quale lottare. Come persona non binaria per anni ho collaborato con questo collettivo di Brescia di Drag Queen e ho sempre frequentato ambienti queer. Per cui per me la performance, che passa attraverso anche il truccarsi e il vestirsi, aiuta a esprimere delle parti di te che non riesci a tirare fuori nel quotidiano.

Solitamente mi vesto da 'ragazzino', però allo stesso tempo mi piace anche giocare con il fatto di poter essere femme. Non ho un corpo androgino e so che questa parte di me non posso celarla allo sguardo altrui, ma ho capito come farla diventare mia.

Prendi tu il potere.
Esatto. E mi concentro su quello che mi interessa e ci gioco. Diventa una scelta attiva e proattiva. Anche sul palco è così: non perché devo, ma perché voglio.

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Adele indossa giacca e gonna a frange PORTS 1961, sandali a listelli GIUSEPPE ZANOTTI, calze GOLDEN POINT.

Ti volevo chiedere se hai delle icone di stile a cui ti ispiri o magari anche solo degli artisti a cui magari pensi quando sei sul palco, anche involontariamente.
C’era questo gruppo che si chiamava Yellow Magic Orchestra, la band di Sakamoto negli anni 80, e giocavano tanto con l'androginia, tanto colore rosso nelle loro copertine, un colore che a me fa impazzire. La loro iconografia mi ispira molto. E poi Saint Vincent che interpreta sempre un personaggio o anche Björk, tutte autrici, produttrici, tecniche della musica, che non hanno paura di confrontarsi con la loro immagine o di essere prese per superficiali perché curano i loro look.

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Gilé in pelliccia e guanti MACKAGE, coperta ALONPI

Lasciamoci con una breaking news per il futuro.
Sto mixando un disco perché ho una nuova band, si chiama A Nice Noise e io suono il basso e canto.

Proprio una band, come i Måneskin (ride).
Tu scherzi ma una volta mi hanno chiesto se fossi la bassista dei Måneskin. E io ho risposto: «Sì, mi avete scoperta».


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Credits:


Talent: Adele Altro, Any Other
Foto e Art Direction: Sara Reverberi
Creative Direction e styling: Sara Moschini
Location: Grace La Magna St. Moritz

  • IN ARRIVO

Tommy Hilfiger apre la stagione delle feste a Venezia 


Con un evento esclusivo ricco di ospiti Tommy Hilfiger lancia i suoi look modern prep per le festività. Grazia era a Venezia per scoprire gli abbinamenti a cui ispirarsi e portarvi nella magia della città più bella del mondo

Come ti vestirai a Natale? È una delle domande che abbiamo chiesto agli ospiti dell’evento “A Hilfiger Holiday”, una brand experience che ha portato tanti amici italiani di Tommy Hilfiger a Venezia, per assaporare la dolce atmosfera delle feste in una delle città più eleganti al mondo.

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Elisa Maino a Venezia

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Simone Bredariol e Matteo Guerrieri a Murano

Ospiti per due giorni del boutique hotel Palazzina Grassi, dove lo stile contemporaneo si fonde con l’eleganza tradizionale veneziana, i talent invitati hanno potuto gustare una cena intima nel rinomato ristorante affacciato sul Canal Grande, partecipare a una sessione di soffiatura del vetro con il maestro artigiano Simone Cenedese nell’incantevole isola di Murano, pranzare al ristorante Quadrino in piazza San Marco per provare le nuove fragranze Tommy Her New York e Tommy New York e assistere a un DJ set del musicista milanese Vittorio Menozzi, ma soprattutto hanno provato e giocato con i nuovi capi della collezione Tommy Hilfiger Holiday 2025 interpretandoli ognuno con la propria personalità e adattandoli alle diverse occasioni.

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Il maestro Simone Cenedese nella sua vetreria di Murano ha creato una speciale pallina di Natale con i colori iconici di Tommy Hilfiger

L’esuberante Vic Montanari, ad esempio, amante dei colori e degli abbinamenti inaspettati, ha alternato morbidi jeans e maglioni a losanghe con una longuette A line a pieghe e un collo alto natalizio dalla lavorazione grafica, Ryan Prevedel, epitome del ragazzo preppy, non si è lasciato sfuggire i jeans da indossare con i mocassini lucidi e la cravatta, tipici dell’heritage americana, e Elisa Maino il completo bianco, estremamente versatile. L’attrice Lavinia Guglielman ha optato per un look comodo con pantaloni dal taglio maschile adatti ai trasferimenti sull’acqua e alle attività pomeridiane per poi giocare con i contrasti di gonna in paillettes nera e camicia in cotone bianca della sera.

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La digital creator Vic Montanari indossa un'alternativa al classico maglione natalizio


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Ryan Prevedel in barca verso Murano



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Elisa Maino in completo bianco Tommy Hilfiger

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Lavinia Guglielman unisce look androgino con gonna nera in paiette

La coppia Paola Cossentino e Mees Truijens sembra uscita dal frame di un film della Nouvelle Vague. Lei, iperfemminile, con camicia morbida bianca e pantalone nero, e lui, in completo, mentre la giovane Dolma Lisa Dorjee riesce ad esprimere la sua parte più street con il maglione in lana abbinato ai jeans e a cambiare personalità la sera tirando fuori la dark lady ipercool che è in lei grazie all’abito stretch nero con le spalle scoperte. 

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Dolma Lisa Dorjee al pranzo al Quadrino in piazza San Marco dove ha potuto scoprire la fragranza Tommy Her New York


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Il table set per il pranzo al Quadrino con i profumi Tommy Her New York e Tommy New York

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Dolma Lisa Dorjee in abito nero lungo

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Paola Cossentino e Mees Truijens elegantissimi alla cena a Palazzina Grassi

E ancora: Yusuf Panseri, Mattia Basso, Simone Bredariol e Matteo Guerrieri hanno avuto la possibilità di interpretare per i look daily la maglieria, punto forte della collezione Tommy Hilfiger Holiday 2025 caratterizzata dall’inconfondibile Tommy Crest, lo stemma che raffigura un leone con la spada circondato da una corona di alloro che ritroviamo anche su berretti e sciarpe, per poi trasformarsi in gentlemen con un twist per la sera.

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Yusuf Panseri spezza il classico completo e opta per un mix bianco, crema, micro scacchi

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Simone Bredariol nel suo look serale

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Matteo Guerrieri sceglie il velluto e i pantaloni bianchi per la cena di Natale

Accanto all’esperienza di Venezia, il brand americano porta la storia e il calore delle festività 2025 anche nei negozi di Milano e Roma. Gli ospiti potranno infatti godere di un servizio gratuito di confezionamento regali per tutto dicembre, mentre in alcune giornate ci saranno delle divertenti “Santa’s Mailbox”, un carrello di cioccolato e serate di shopping speciali – momenti coinvolgenti pensati per accogliere i consumatori nella comunità del marchio. Qui il link per iscriversi a tutte le iniziative.

L’evento non poteva concludersi se non con uno speciale Secret Santa, dove i ragazzi e le ragazze hanno potuto scambiarsi i regali, ovviamente tutti pensati per loro da Tommy Hilfiger.

E voi? Siete pronti a vivere un Natale firmato Tommy Hilfiger?

Credits:

Video: Andrea Barbui
Foto: Tommaso Biondo