Léa Seydoux: «Io non ho paura»
Léa Seydoux è la donna che seduce James Bond in Spectre, 24° episodio della saga di 007. Dopo tanti film d’autore e la Palma d’oro al Festival di Cannes, la star francese racconta a Grazia i rischi di interpretare un ruolo sexy, del nuovo amore che sta vivendo u2028e di come lei, così ansiosa, si sia lanciata da un palazzo di otto piani. «Perché recitare », dice «mi fa superare i miei fantasmi»
Lo confesso: la prima volta che ho intervistato l’attrice francese Léa Seydoux sono rimasta spiazzata. Nel 2013, al Festival di Cannes, dove il film Storia di Adèle del regista Abdellatif Kechiche avrebbe vinto la Palma d’oro, Léa aveva i nervi a fior di pelle. Con gli occhi pieni di lacrime e torturandosi le mani, continuava a ripetermi quanto fosse stato difficile e umiliante interpretare le scene di sesso lesbo in coppia con la collega Adèle Exarchopoulos. Ebbi l’impressione che non reggesse la pressione mediatica e mi aspettavo che fuggisse da un momento all’altro in preda a un attacco di panico. Due anni e molti successi più tardi (uno per tutti: il film La bella e la bestia di Christophe Gans), ritrovo Léa in un grande albergo di Londra per parlare del suo ultimo film: Spectre, 24° capitolo della saga di 007 diretto da Sam Mendes (nelle sale il 5 novembre). L’attrice, 30 anni compiuti l’estate scorsa, non è una Bond Girl semplicemente decorativa, ma l’antagonista di James Bond, interpretato da Daniel Craig (che dovrà vedersela anche con la fascinosa Bond Lady Monica Bellucci e il cattivo Christoph Waltz). La carriera di Seydoux, iniziata nel cinema d’autore francese, è dunque arrivata all’apice e il suo personaggio, Madeleine Swann, la psichiatra che dirige una clinica sulle Alpi svizzere e seduce il famoso agente segreto, era ambito da chissà quante altre attrici. Insomma, Léa ormai è una star, ma il suo atteggiamento non è molto cambiato. Sempre timidissima, addirittura imbarazzata, mi parla con gli occhi bassi e un filo di voce. Ancora una volta, ho l’impressione che vorrebbe essere da un’altra parte. Indossa un miniabito a fiori Prada (è il volto del profumo Candy del marchio) con giubbotto di jeans e tacchi 12. È minuta, bionda, apparentemente fragile e ripete come un tormentone la frase: «Non sono una diva, per la strada nessuno mi riconosce e prendo la metro come tutti». Penso che voglia esorcizzare le sue origini super-privilegiate: viene infatti da una dinastia di imprenditori ricchi e potenti (suo nonno e suo zio sono famosissimi produttori cinematografici) ed è cresciuta in case esclusive, tra intellettuali ed esponenti del jet set. Comincio con le domande “facili” per metterla a suo agio e lei, piano piano, si scioglie.
Perché pensa che per Spectre abbiano scelto proprio lei, una donna che trasmette un’idea di fragilità?
«Credo che il regista abbia visto in me un’immagine completamente diversa dalle figure femminili che finora hanno affiancato 007. La mia Madeleine è una Bond Girl atipica: complessa, inafferrabile, dotata di una grande profondità psicologica. È una ragazza contemporanea, oppressa dal ricordo del padre, che è stato un assassino. È una ribelle e seduce Bond con l’intelligenza. Questo film, in realtà, parla soprattutto di donne che devono liberarsi dalle paure».
Avrebbe interpretato anche una Bond Girl più tradizionale, cioè bella, sexy e poco altro?
«Sì, senza dubbio. Quale attrice non vorrebbe recitare in un film di 007? Ho accettato la parte a scatola chiusa: gli attori di questi film ricevono la sceneggiatura solo all’ultimo momento. Ricordo il giorno in cui il regista mi ha comunicato che il ruolo era mio. Eravamo a pranzo a Londra, vicino a Covent Garden. Sam mi ha detto: “Benvenuta nella famiglia”, e io mi sono messa a saltare di gioia. Mi sentivo come se avessi vinto alla lotteria».
Qual è stato l’aspetto più eccitante del suo lavoro?
«Tutti, non solo uno: prendere parte a questo grande film, lavorare con Daniel Craig e gli altri attori, uno più bravo dell’altro, avere a che fare con una troupe preparatissima. E pensare che prima di cominciare le riprese ero divorata dall’ansia. Continuavo a chiedermi se sarei stata all’altezza. Temevo che non sarei riuscita a interpretare il mio personaggio senza deludere le aspettative».
Le capita spesso di provare questo stato d’animo?
«Sempre, alla vigilia di un film. Ma quando la macchina da presa comincia a girare, dimentico ogni timore e mi lascio andare, vivo in quel momento. È una sensazione bellissima, per questo il mio lavoro mi piace tanto».
Ma il successo non le ha dato più sicurezza?
«Nemmeno per sogno. Anche se il set è ormai la mia vita, ho sempre il terrore di recitare. Prima di cominciare un film mi domando se ce la farò. Non le dico come mi sono sentita prima di Spectre. Non mi vedevo proprio nei panni di una donna forte e che fa il medico. Ma vuol sapere una cosa? Paradossalmente mi piace essere dipendente da questa paura».
Ne ha altre?
«Non sa quante. A casa non ho internet, perché lo trovo inquietante. Non guido l’auto. E temo l’altezza e i grandi spazi vuoti. Abbiamo girato Spectre sulle montagne e nel deserto marocchino, non mi sentivo per niente a mio agio, sono stata piuttosto male. Dimenticavo: ho ancora paura di volare».
E come supera quel che la intimorisce?
«Con l’aereo è facile, appena salgo a bordo prendo un potente tranquillante. Per tenere a bada tutte le altre paure, invece, ho deciso di fare l’attrice. È un mestiere dove c’è sempre qualcuno che si prende cura di te: ti portano da mangiare, ti vestono, ti portano in giro, prenotano l’hotel».
A questo punto mi viene da chiederle se ha girato lei le scene d’azione in Spectre o se è stata una controfigura.
«Il più delle volte ho fatto tutto da sola. Anche la sequenza più spericolata, quando mi lancio da un palazzo di otto piani. Ho chiuso gli occhi e sono andata giù. Per fortuna ho dovuto ripeterla solo una volta, ma non è stato il momento più bello della mia vita, glielo assicuro».
Un tempo tirava di boxe. Continua?
«Ho smesso. Sono troppo impegnata con il cinema».
Si aspettava di diventare una star?
«Non riesco a sentirmi una star. Non vado in giro con le guardie del corpo e gli occhiali neri. Non ho mai avuto l’autista, a Parigi vado a piedi o prendo i mezzi pubblici. Sono famosa in Francia, ma in Giappone o in Corea nessuno mi conosce. Daniel Craig, lui sì che è una star. Sul set è scattata fra noi una fantastica complicità, abbiamo lo stesso senso dell’umorismo e abbiamo riso tanto. S’immagina quante attrici mi invidieranno perché ho girato delle scene d’amore con lui?».
Non è una contraddizione passare dai film d’autore francesi ai kolossal hollywoodiani?
«No, mi piace mischiare i generi e, se una sceneggiatura mi conquista, accetto anche di interpretare personaggi marginali, com’è successo nel film Midnight in Paris di Woody Allen. Non sono ossessionata dall’ampiezza dei ruoli e non ho mai chiesto a un regista di riscrivere la mia parte. Sono io che mi adatto al film».
Seriamente, ora: perché ha scelto la carriera di attrice?
«A scuola andavo malissimo. A 18 anni incontrai un amico che faceva l’interprete e iniziai a sognare di avere la sua stessa vita: volevo essere libera, indipendente, capace di trasformarmi. Ho cominciato a recitare e ha funzionato. Ora il cinema è diventato la mia vita e il mio sostentamento, non posso nemmeno pensare di farne a meno».
Adesso che la sua carriera è internazionale, sarebbe disposta a trasferirsi a Hollywood?
«No. Sto benissimo a Parigi, è la mia città, conosco tutti e posso vivere a modo mio. Negli Stati Uniti, semmai, ci vado a girare un film. Ma poi torno».
E che cosa pensa delle attrici americane che rivendicano la parità salariale con i colleghi maschi?
«Fanno benissimo. È giusto combattere per affermare i propri diritti. Io non mi sono mai sentita inferiore a un uomo, né sul piano professionale né su quello personale. Mi piace interpretare donne deboli, ma sotto questo mio aspetto fragile sono piuttosto forte. Tutte le attrici lo sono, ecco perché quando vado al cinema preferisco vedere protagoniste femminili».
È vero che ha un nuovo amore, un giovane produttore francese chiamato André e finora mai comparso in pubblico al suo fianco?
«Credo di aver trovato l’uomo ideale, pienamente realizzato. L’avevo già frequentato qualche anno fa, ma non era il momento buono e ci siamo persi di vista. Poi ci siamo incontrati di nuovo e mi sono resa conto che era la persona giusta».
C’è dunque una famiglia nel suo futuro?
«Lo spero. A questo punto della mia vita comincio seriamente a pensare di sposarmi e avere dei figli. Uno o due. All’inizio ne volevo cinque, come mia madre, ma oggi la sovrappopolazione mi sembra un problema angosciante. In ogni caso vorrei essere una brava mamma».
L’attrice si apre in un grande sorriso, finalmente rilassata. È andata. Léa la timida, Léa la super-ansiosa ammette che questo è il periodo più bello della sua vita. E finalmente mi guarda negli occhi.
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