È trascorso un anno da quando l’ex campione Bruce ha deciso di cambiare sesso e di diventare Caitlyn. Ora è una donna famosa, amata dal pubblico, corteggiata da moda e tv. H&M l'ha voluta come testimonial della sua linea sportiva e a Grazia Caitlyn rivela che, per arrivare qui, ci sono voluti più di 30 anni di dubbi e sofferenze. «Sono stata molto male, ma so superare gli ostacoli. Oggi spero di essere un esempio»
Immaginate che cosa accadrebbe in Italia se Dino Zoff all’improvviso annunciasse che sta per cambiare sesso - spiegando sommessamente, con le lacrime agli occhi, che si è sempre sentito una donna, tutta la vita, sin dai tempi in cui capitanava maschiamente gli azzurri campioni del mondo nel 1982.
È più o meno quel che è successo qui in America lo scorso anno, quando il leggendario campione olimpico di decathlon Bruce Jenner, all’età di 65 anni, si è trasformato in una procace signora di nome Caitlyn, con tanto di seno prorompente, unghie laccate e tacchi vertiginosi. Tre mogli alle spalle e dieci figli all’attivo (quattro sono figliastri), Jenner ha rappresentato per anni, nell’immaginario americano, l’uomo ideale, lo sportivo eroico, il maschio bello e muscoloso. Bruce era l’atleta che, con grinta feroce e determinazione ferrea riuscì, alle Olimpiadi di Montreal nel 1976, nell’impresa miracolosa di sfilare la medaglia d’oro agli odiati sovietici. Si era in piena guerra fredda e, da semisconosciuto, Jenner si ritrovò stella nazionale, divenendo subito richiestissimo in tv, nel cinema, nella pubblicità, perfino immortalato in fotografia sulle scatole dei cereali Wheaties, tra i più venduti negli Stati Uniti.
Dopo aver sposato la terza moglie Kris, vedova dell’avvocato di O.J. Simpson, Robert Kardashian, e madre dell’ultrafamosa Kim, Bruce divenne poi un beniamino dei reality televisivi, partecipando a centinaia di puntate del seguitissimo Al passo con i Kardashian. Con Kris ha avuto altre due figlie, Kylie e Kendall, oggi entrambe stiliste e modelle, mentre nel programma appariva come un marito e padre schiacciato da un ambiente prevalentemente femminile, un po’ assente e poco interessato alla sfavillante vita sociale delle sue tante donne.
Adesso scopriamo che in tutti questi anni alla ribalta, Bruce moriva dentro. Caitlyn racconta oggi come la consapevolezza di essere una donna intrappolata in un corpo maschile lo tormentava e a volte sfidava la sorte indossando reggiseni e guêpière sotto giacca e camicia, per farsi coraggio. Nei primi Anni 80, ha rivelato dopo il coming out, si sottopose perfino a una cura ormonale, con l’intenzione di affrontare il cambio di sesso. Ma al momento di prendere la decisione definitiva, esitò. Fu colto dalla paura, si tirò indietro, e sposò Kris.
Il giorno in cui incontro Caitlyn in un magazzino adibito a studio fotografico qui a Los Angeles, è reduce da un servizio per il colosso della moda H&M, che l’ha scelta come testimonial della sua linea sportiva, per rivolgersi a un pubblico aperto alle diversità. È passato quasi un anno da quando Jenner ha fatto la sua prima apparizione in versione femminile. Oggi appare spumeggiante, divertita, quasi euforica. Inguainata in leggings neri e top da jogging, si avvicina al tavolo dei giornalisti e, dall’alto del suo metro e 88, si scusa ridacchiando per averci fatto aspettare a lungo: «Ma non vi hanno dato da bere? Niente birra, niente tequila? Che vergogna». È una visione surreale, perché l’uomo che è stata non è completamente sparito dal viso, dalla voce, dalle movenze di Caitlyn, eppure davvero qui c’è una persona nuova.
Quando finalmente mi trovo faccia a faccia con lei nel suo camper, Jenner si è truccata e cambiata. Mi accoglie in jeans, maglioncino di lana beige, sabot di camoscio e delicati gioielli in oro. È ciarliera, simpatica, imprevedibile. Chiaramente affamata, ordina subito un gigantesco cappuccino da Starbucks e, prima ancora che io riesca ad aprire bocca, si lancia in un lungo aneddoto sulla penultima delle sue figlie, Kendall, di 20 anni. «È una ragazza eccezionale», dice. «So che siamo qui per parlare d’altro, ma mi lasci raccontare quest’episodio».
Prego.
«Da quando aveva 10-12 anni, Kendall diceva: “Voglio fare la modella per Victoria’s Secret”. E io: “Lanciati, fallo, realizza i tuoi sogni”. Quando l’ho vista sulla passerella di questo marchio di lingerie, ho pianto di orgoglio. Faceva parte della sua lista di cose da fare prima di morire e ha raggiunto l’obiettivo».
Ha cominciato presto con la lista delle cose da fare prima di morire…
«Sì. I miei figli sono tutti molto motivati. È stato bello osservarla mentre si impegnava per realizzare il suo sogno. Kendall è andata a New York da sola, senza un lavoro. Si è pagata il viaggio e l’albergo. Ha trovato un agente. Poi le offrono una sfilata per Marc Jacobs e le fanno indossare un top trasparente: è il suo primo lavoro da modella, appare davanti alle macchine fotografiche e scoppia il caso su internet. Lei torna a casa a Los Angeles e ci incontriamo per colazione con tutta la famiglia. Le dico: Kendall, ti devo parlare di Marc Jacobs. E lei: no. E io: ti sbagli, ne parliamo. E potresti sorprenderti di quello che ho da dirti. Lei mi guarda e fa: va bene, sentiamo. E io le dico: sono molto orgoglioso di te (Caitlyn a questo punto era ancora Bruce, ndr). Vuoi sapere perché? Perché ti hanno detto di indossare quel top e tu non hai fatto storie. Sei stata incredibilmente professionale. Si è parlato di te, e probabilmente è stata ottima pubblicità. Quindi, brava. È stata una lezione per lei. Essendo suo padre, so che queste cose succedono in continuazione. Certo, vanno ridotte al minimo, ma succedono».
Parlando di professionalità, questo mi ricorda quel che si diceva di lei ai tempi del decathlon: Bruce non era forse l’atleta più forte, ma di sicuro il più tenace.
«È vero. Non ero l’atleta migliore, ma senza dubbio quello che si impegnava di più, di gran lunga. Mi sono allenato, ho affrontato la sfida con intelligenza e ho vinto. E poi ho continuato a vincere per tre anni, senza mai perdere una gara. Ho battuto il record mondiale per tre volte. Il tutto grazie al lavoro duro e alla dedizione. Si tratta di scoprire quali sono i tuoi punti di forza e quali i punti deboli e lavorarci».
Pensa che quel genere di determinazione la stia aiutando adesso, nella sua nuova vita?
«Assolutamente sì».
In che modo?
«Perché io sono una che supera gli ostacoli. Il successo non si misura in base alle altezze ottenute, ma agli ostacoli che si sono superati. Io ho dovuto superarne tanti nel corso della mia vita. Ho sofferto molto negli Anni 80. Fu un periodo difficilissimo per me. Avevo deciso di effettuare il cambio di sesso entro i 40 anni. Non riuscivo più a sopportare la situazione, mi dicevo: non ce la faccio più, devo farlo. Poi sono scoccati i 39 anni e non me la sono sentita».
Come mai? Che cosa l’ha fermata?
«La miglior risposta che posso darle è: non era il momento. È così semplice. La società, la situazione personale in cui mi trovavo… Dopo la cura di ormoni femminili, non riuscii ad andare oltre. Nel 1977 ci fu il caso di Renée Richards (tennista nata maschio, che al tempo fu prima respinta e poi ammessa al circuito professionale femminile, ndr). Mi ricordo che subì forti attacchi sui media. L’opinione pubblica di allora aveva della questione una percezione molto diversa rispetto a oggi. Inoltre avevo quattro figli piccoli. Non potevo far loro una cosa del genere. Poi incontrai Kris, lei aveva già quattro figli che divennero anche miei, abbiamo avuto due ragazze e abbiamo passato 23 anni insieme. Ho gestito i miei problemi al meglio delle mie possibilità».
Kris sapeva del suo desiderio di essere una donna?
«Certo, lo sapeva benissimo. Gliene parlai prima ancora di sposarci. Al tempo pensai: “Possiamo farcela, possiamo gestire questa cosa. In fondo, l’ho gestita così a lungo…”. Poi io e Kris ci siamo separati».
Per via del suo cambio di sesso?
«Onestamente il cambio di sesso c’entra molto poco nella nostra separazione. C’erano molte altre cose che non andavano. Ci trattavamo male, tutti e due. Dopo molti anni insieme, le dinamiche di un rapporto cambiano. Ci siamo detti, smettiamola. Kris mi ha suggerito: tu prenditi casa a Malibu, io resto qui. E così abbiamo fatto».
E adesso, siete in contatto?
«Oh, sì. Abbiamo un ottimo rapporto. Lei è stata grandiosa. Mi ha accettato in pieno. Tutti i miei figli sono stati di sostegno. Ho un rapporto bellissimo con i miei ragazzi e, dopo il passaggio, è perfino migliorato. Perché quando non devi più mantenere un segreto, vivere nella bugia, è come togliersi un peso da una tonnellata dalle spalle. In più, nel mio caso, c’era il tormento dei media, che mi distruggevano da anni, da molto prima della mia decisione di fare coming out. Faceva tutto parte della fabbrica del pettegolezzo: hanno venduto milioni di copie e guadagnato un mucchio di soldi sulla mia pelle. Per anni. Mentre io stavo ancora cercando di capire che cosa fare, chi ero, come gestire il passaggio, come affrontare la mia nuova vita».
È ancora alla ricerca della sua identità?
«No. Adesso è tutto chiaro. La vita è bella. L’altro giorno, mi sono alzata, mi sono preparata per uscire e improvvisamente mi sono detta: “Mio Dio. Sono felice”. Io non mi sono mai svegliata felice. Mai, mai, mai nella vita. Ora ciascun individuo della mia comunità, la comunità transgender, fa le cose a modo suo. Alcuni affrontano il passaggio molto giovani, altri molto più avanti negli anni. Puoi farlo soltanto quando è il tempo giusto per te. Quando arriva il momento di smettere di lottare».
Rimpiange di non aver cambiato sesso prima?
«Ma no. Ho avuto una vita bellissima, strabiliante, con moltissime esperienze eccezionali. E poi, posso vantare un doppio record che nessun altro al mondo avrà mai: sono stato campione olimpico maschile di decathlon e poi ho vinto il premio come Donna dell’Anno del mensile Glamour. Imbattibile».
Il Bruce dei cereali Wheaties rappresentava per il pubblico un certo tipo di americano: forte, maschile, determinato. La Caitlyn di oggi, testimonial di H&M, che cosa spera di rappresentare?
«L’apertura mentale. La tolleranza verso gli altri e, spero, la comprensione. In questo mondo esiste la diversità. Siamo tutti unici e questa mi pare una buona cosa. Dobbiamo imparare a vedere le nostre differenze come una ricchezza. Spero con questo spot di dare ispirazione a chiunque abbia una battaglia da affrontare nella propria vita».
L’accettazione delle differenze a volte richiede tempo. È successo anche a lei, mi pare. Per esempio, in un’intervista televisiva con Ellen DeGeneres, ha confessato di non essere sempre stata a favore del matrimonio gay.
«È un viaggio, è un percorso. Anche per me. Nell’intervista con Ellen, pensavo di essermi spiegata chiaramente, ma la nostra comunità e la stessa Ellen non l’hanno presa bene. Hanno detto: come fai a essere trans e a non sostenere il matrimonio gay? Ma io l’ho detto: lo sostengo il matrimonio gay. Ma ci ho messo del tempo per arrivarci. All’inizio non capivo, 15 anni fa le cose erano diverse per tutti. Poi i media hanno creato un putiferio e la domanda è diventata: come è possibile che Caitlyn possa essere stata contraria? Io ho soltanto detto che per me è stato un percorso. Del resto, è stato lo stesso per il presidente Barack Obama e per Hillary Clinton. Anche loro hanno cambiato idea sul tema».
Si considera ancora un’atleta? In che modo è cambiato il suo rapporto con lo sport e la cura del corpo?
«Ci sono alcuni luoghi comuni in merito alla comunità transgender e uno di questi è che, una volta cambiato sesso, la tua intera vita cambia. Certo, molte cose sono diverse, ma tante altre sono rimaste uguali. Il mio amore per lo sport e la voglia di rimanere sempre attiva, per esempio, sono rimasti gli stessi. L’unico sport che pratico attivamente da 15 anni è il golf: Bruce era così così e anche Caitlyn ha ancora molto da imparare».
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