Bugiardi patologici: perché c’è chi non riesce proprio a non mentire?

Elena Zauli

I bugiardi patologici mentono anche a se stessi e non riescono a non mentire anche agli altri: c’è solo un modo per salvaguardarsi

Mentono agli altri, ma prima di tutto a se stessi. Dietro i bugiardi patologici c’è un bambino che ha imparato a sopravvivere nascondendo la verità, e un adulto che non sa più distinguere tra realtà e finzione.

C’è un tipo di menzogna che non nasce per ferire, ma per sopravvivere.

Non è la bugia di chi vuole ottenere un vantaggio, ma di chi ha imparato a esistere solo dietro una versione modificata di sé.

I bugiardi patologici non mentono solo agli altri: mentono prima di tutto a se stessi.

A volte li incontri e ti sembrano perfetti. Sicuri, affascinanti, convincenti. Ti raccontano una storia con tale naturalezza che persino tu, che ti consideri lucida, finisci per crederci.

Poi, lentamente, le crepe si allargano. I dettagli non tornano, le parole cambiano, le promesse evaporano.

E tu resti lì, a chiederti: “Ma perché mentono così? A cosa serve distruggere la fiducia di chi li ama?”

Perché i bugiardi patologici mentono

La risposta, in realtà, non è semplice. Chi mente in modo patologico non lo fa per cattiveria, ma per difendersi.

Dietro la bugia cronica c’è quasi sempre una ferita antica: il sentirsi inadeguati, invisibili, non amabili così come si è.

Mentire diventa allora un modo per esistere agli occhi dell’altro, per costruire un’identità più tollerabile di quella reale.

È un meccanismo che nasce presto — a volte in famiglie dove la verità era pericolosa, dove dire come stavano le cose portava punizioni o umiliazioni.

Così il bambino impara che la realtà si può piegare, che basta raccontarla meglio per renderla sopportabile.

Il problema è che quel copione, da adulti, non si disimpara.

Il bugiardo patologico non distingue più tra realtà e finzione, non perché sia “pazzo”, ma perché ha confuso la sopravvivenza con la verità.

Mente a se stesso per continuare a reggere il proprio equilibrio.

Quando lo smascheri, reagisce con rabbia, negazione o vittimismo, non per manipolarti - o almeno la manipolazione spesso non è un meccanismo di relazionarsi agli altri ma perché la sua stessa identità è in gioco.

Come salvaguardarsi?

Chi sta accanto a una persona così vive un’altalena emotiva: tra empatia e disillusione, rabbia e pietà.

Perché ogni volta che scopri una bugia, ti dici “stavolta basta”, ma poi torni. Perché vuoi capire, vuoi credere, vuoi salvare.

Ma la verità è che non puoi salvare chi non vuole vedersi.

E allora arriva il momento di smettere di decifrare e cominciare a rassegnarsi — non nel senso della sconfitta, ma dell’accettazione.

Accettare che non puoi cambiare qualcuno che ha paura della verità.

Accettare che la sua bugia non parla di te, ma del suo dolore.

E che continuare a restare è un po’ come vivere dentro una stanza piena di specchi deformanti: prima o poi, smetti di riconoscerti.

La rassegnazione, in questo caso, non è debolezza: è lucidità.

È dire “basta” senza odio, è capire che certe ferite non si curano con l’amore, ma con la distanza o se il bugiardo patologico vorrà, con la psicoterapia.

Perché il bugiardo patologico non ha bisogno di essere smascherato: ha bisogno di uno specchio vero, e spesso quel riflesso non può offrirglielo chi lo ama.

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