Il fascino magnetico della cucina Ottolenghiana: quando il cibo diventa racconto

Se vi è capitato di sentire qualcuno dire “ho cucinato in stile Ottolenghi” e avete fatto finta di sapere di cosa si parlava, siete in buona compagnia. Yotam Ottolenghi è lo chef e autore che ha trasformato la cucina vegetale da opzione salutista a dichiarazione di stile. Israeliano con base a Londra, cresciuto tra spezie mediorientali e influenze europee, è diventato un punto di riferimento internazionale per chi ama piatti colorati, condivisi e pieni di contrasti.
Per capire perché la sua filosofia abbia conquistato chef, home cook e food lover in tutto il mondo (e cosa significhi - davvero - “Cucina Ottolenghiana”) ci facciamo guidare da due esperte che di gusto se ne intendono: Sara Porro, food & travel writer, e Myriam Sabolla, cuoca e divulgatrice nota come The Food Sister. Due sguardi diversi ma affini, che aiutano a entrare in un mondo dove il cibo è linguaggio, creatività e, soprattutto, piacere.
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Chi è Yotam Ottolenghi
Yotam Ottolenghi, nato a Gerusalemme nel 1968 da padre italiano e madre tedesca, ha costruito una carriera unendo tecnica e istinto, fino ad aprire nel 2002 il suo primo deli a Notting Hill. Da quel piccolo locale londinese - un bancone, solo asporto - è partita una rivoluzione gastronomica.
«Era l’epoca dei primi foodblog, quelli di Friendfeed e quelli in cui Twitter era un club per pochi e ci si conosceva un po’ tutti - raccontano - Sul blog di una cara amica, Giulia Scarpaleggia, si parlava di questo locale a Londra, tale Ottolenghi. Erano anche gli anni del rinascimento gastronomico della capitale inglese, quelli di Nigella Lawson e di Jamie Oliver, e quindi è stato sicuramente durante un viaggio che abbiamo provato questo minuscolo deli nel cuore di Notting Hill: come nell’omonimo film, fu l’inizio di una storia d’amore».
Da allora, il nome Ottolenghi è diventato un marchio globale. Dopo il successo dei suoi locali, sono arrivati i libri: Ottolenghi: The Cookbook (2008), Plenty (2010), Jerusalem (2012), Plenty More (2014) e Ottolenghi Simple (2018). Più che semplici ricettari, sono racconti di cultura e convivialità, che uniscono estetica, autenticità e un’irresistibile dose di creatività.
In cosa consiste la cucina Ottolenghiana
Il modo più veloce con cui viene definita la cucina Ottolenghiana è semplicemente cucina vegetariana. Ma non si tratta solo di questo. A distinguerla da altri tipi di cucine improntate sul vegetale, infatti, è «soprattutto il fatto di essere una cucina gaudente, non ‘funzionale’, ma incentrata sul piacere del pasto, sulla gioia di sperimentare sapori e consistenze. La cucina di Ottolenghi è quella che ‘ha reso sexy le verdure’, cambiando la percezione degli ortaggi e degli altri ingredienti vegetali: da mero contorno (per sua natura opzionale) del pasto, a protagonista dei piatti; da obbligo salutistico, a flavour bomb».
A renderla così diffusa e celebre c’è il fatto che sia una cucina molto saporita, a dispetto di quanto si è portati a pensare. «Una delle domande che riceviamo più spesso, a questo proposito, è ‘ma usate veramente tutto l’olio che Ottolenghi prevede nelle sue ricette?’ e la risposta è sì: perché non è una cucina punitiva, e i piatti vegetali sono considerati una portata a sé, come accade spesso nella tradizione mediterranea da cui la cucina di Ottolenghi prende le sue premesse».
Perché si è diffusa così tanto
«Il successo della cucina di Ottolenghi nasce dall’incontro tra culture molto diverse, quella mediterranea e levantina, e quella anglosassone; più libera dalle gabbie della tradizione gastronomica rispetto, per esempio, alla nostra». Questa libertà gli ha permesso di avvicinare sapori tipici dei paesi mediterranei a un pubblico globale, «unendo ingredienti ‘esotici’ a tecniche facilmente replicabili in una cucina domestica e anche senza grandi basi formali».
Le ricette, spesso vegetariane ma non rigidamente dogmatiche (“lui stesso non è vegetariano”), uniscono gusto e bellezza, «celebrando l’abbondanza e la convivialità: nei suoi libri troviamo spesso consigli su menu da utilizzare per ritrovi e cene tra amici e famiglie».
E poi c’è la precisione. «C’è una cura editoriale e un’esattezza nelle ricette che ne hanno favorito la diffusione globale, rafforzando il suo brand fatto di numerosi ristoranti, deli e una test kitchen dalle dimensioni ormai aziendali».
Ma soprattutto, concludono, «il suo è anche un successo culturale: ha intercettato il desiderio contemporaneo di una cucina più vegetale, gioiosa e internazionale, dimostrando che la creatività può nascere dalla semplicità e che cucinare, per lui, è un atto di bellezza quotidiana alla portata di tutti».
Quanto è replicabile nella vita di tutti i giorni
«Un’altra domanda che ci sentiamo rivolgere spesso è ‘ma quindi voi cucinate Ottolenghi tutti i giorni?’ e qui purtroppo la risposta è no, o meglio, dipende».
Perché la cucina di Ottolenghi, spiegano, «è più ispirazionale che quotidiana, e molte ricette sono realizzabili solo con un po’ di tempo a disposizione — e una certa motivazione a trovare gli ingredienti».
Detto questo, la cucina Ottolenghiana si può portare anche nella routine. «Con un po’ di adattamento, imparando a usare condimenti, spezie, abbondanza di erbe aromatiche e succo di limone, si può aggiungere brio anche alle cene più semplici».
Nella vita frenetica di oggi, il suo approccio si presta bene a una cucina modulare e preparata in anticipo: «verdure arrostite, salse saporite, condimenti aromatici che, combinati al volo, trasformano un piatto semplice in qualcosa di speciale».
E, soprattutto, «più che un modello da copiare, è un modo di pensare: mettere gusto e colore anche nelle cose semplici, usare le spezie come scorciatoia verso la complessità, e riscoprire la cucina come momento creativo, non solo dovere».
Un buon punto di partenza, sottolineano, «è senza dubbio il suo libro più semplice, non a caso intitolato Simple: serve un minimo investimento iniziale per una dispensa base, dopo di che è tutta discesa».
La cucina Ottolenghiana, dunque, non è solo un modo di cucinare, ma una prospettiva sul mondo: colorata, accogliente, mai punitiva. Un linguaggio che invita alla curiosità e alla libertà, dimostrando che il piacere può nascere anche da un piatto di verdure, purché sia preparato con amore, fantasia e un pizzico di coraggio.
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