The Bra Stories by C&A: quattro donne, quattro interviste, una storia


Il tumore al seno è la forma di cancro più frequente nelle donne e la seconda più frequente in assoluto al mondo. La terapia purtroppo prevede spesso la mastectomia, ovvero l’asportazione totale o parziale di una o di entrambi i seni, un intervento che mina anche la sicurezza e il sentirsi femminili della donna. Come cambia il rapporto con il proprio corpo? Come trarre da questa malattia speranza, coraggio e forza? Ce lo racconta C&A con la sua campagna “The Bra Stories”, in cui quattro donne straordinarie raccontano la loro storia personale.

Le loro voci e una collezione molto speciale vogliono rafforzare la consapevolezza attorno alla malattia, rompere i tabù, richiamare maggiore attenzione e sensibilizzare sul tema, oltre a raccogliere fondi per la ricerca sul tumore al seno. A raccontare le proprie esperienze personali ci sono Coraline Ball, Michèle Müller, Cristina Inés Gill e Carolin Kotke.

Coraline Ball, modella e blogger francese
Una storia iniziata con la malattia della madre, a cui è stato diagnosticato il tumore al seno. Alcuni anni dopo, all'età di 32 anni, Caroline è venuta a sapere di essere anche lei era portatrice del gene BRCA1, così ha deciso di sottoporsi a una mastectomia preventiva con ricostruzione immediata. “In pratica, mi sono fatta operare per asportare le ghiandole mammarie allo scopo di prevenire il tumore al seno”, spiega la Ball, “infatti, la mia probabilità di svilupparlo, o di sviluppare un tumore alle ovaie, era dell’85 per cento. Ho deciso anche che dopo la nascita dei miei figli mi farò asportare le ovaie: non sono scelte facili, ma ciò che mi ha aiutata di più durante questo periodo è stato il confronto con altre donne che avevano già affrontato una mastectomia. Ho utilizzato Instagram per parlare con loro, perché non sono riuscita a trovare nessun’altra piattaforma che desse conforto alle mie preoccupazioni e mi consentisse di informarmi. E così ho deciso di scrivere la mia storia e di condividere le mie esperienze per aiutare altre giovani donne che si trovano nella mia stessa situazione. Oggi il sostegno della mia community è la mia forza più grande. Oggi vedo la vita con occhi diversi, trasformo tutto in chiave positiva, mi godo ogni istante, sono molto più felice e benevola con me stessa. Sono più tollerante e ho più pazienza con gli altri”.
Carolin Kotke, consulente nutrizionale tedesca
Quattro anni fa, a 29 anni, le è stato diagnosticato il tumore al seno. Aveva appena accettato un nuovo lavoro come Marketing Manager e l’unica cosa che pensava era: “No, non ci voleva adesso, non ho il tempo per questo”. La diagnosi le ha cambiato la vita. “Nel 2020 ho lasciato il mio vecchio lavoro per concentrarmi su un nuovo impiego come consulente di nutrizione (specializzata in nutrizione e tumori) e da allora mi impegno come attivista per il tumore al seno”, racconta Carolin, “non solo ho rivoluzionato la mia vita lavorativa, ma mi sono anche trasferita da una grande città in campagna, ho iniziato a fare yoga e a meditare. Penso che sia importante non concentrarsi soltanto sulla diagnosi ma anche sulle sue conseguenze e su ciò che essa significa realmente. Infatti, niente è più com’era prima. Tutto cambia. Tutta la tua vita cambia. E questo non finisce quando la terapia è terminata. Non sei più la stessa persona. Il tuo corpo non è più lo stesso. Bisogna prendere decisioni importanti, come quella di farsi asportare le ovaie perché si ha la mutazione del gene BRCA. Ho perso il controllo sul mio corpo, ho perso i capelli, le ciglia, le sopracciglia, peso e il mio seno. Ho perso addirittura la mia personalità. Ma ho guadagnato la mia gioia di vivere, il mio spirito e un nuovo modo di vedere la vita. Provo gioia per le piccole cose. Non vedo più i problemi come problemi, ma come sfide positive, come opportunità. Ho ritrovato me stessa e ascolto di nuovo il mio corpo. Ho una relazione più stretta e profonda con il mio compagno. E ho scoperto una nuova passione: la nutrizione”.
Michèle Müller, istruttrice di meditazione svizzera
“Esiste una reazione giusta alla diagnosi di tumore al seno? Il mio compagno di allora ha pronunciato le parole giuste per me in quel momento: “Morire non è un’opzione!” Io ero rimasta impietrita. Guardavo i miei figli e cercavo di riordinare i pensieri. Mi hanno aiutato mia mamma e la mia migliore amica, mi hanno sostenuta, semplicemente c'erano e condividevano la mia sofferenza”, racconta Michèle, “non direi che sono grata per la diagnosi, ma sono sicuramente grata per la donna che sono diventata attraverso di essa. Ho ritrovato me stessa, sono di nuovo in armonia con il mio corpo e il mio intuito. Ho trovato la mia strada nella meditazione e grazie ad essa ora posso anche aiutare gli altri”.
Cristina Inés Gill, autrice spagnola
“Se prima vivevo in punta di piedi, ora impiego tutta la mia forza per lasciare il segno. Sono la madre di due bambine, amante della natura e dello sport. Prima ero quello che la vita mi permetteva di essere, ora sono quello che io voglio essere!”, racconta Cristina Inés, "perché io sono molto di più di questo, ho una storia, e in questa storia ci sono 29 sedute di chemioterapia, 29 sedute di radioterapia, 3 interventi chirurgici e una mastectomia bilaterale. Quando ho ricevuto la diagnosi di tumore al seno, avevo la sensazione di aver vissuto soltanto la metà della mia vita, che il tempo per me si fosse improvvisamente fermato, che fossi più vicina alla morte che alla vita. È allora che ho iniziato ad accettare la situazione, perché sono sicura di una cosa: per andare avanti, per superare le cose, bisogna prima accettarle. Ho ricevuto soprattutto l’aiuto dei miei genitori e della mia migliore amica. Erano al mio fianco, mi hanno sostenuta e hanno reso più sopportabile la diagnosi: senza di loro sarebbe stato tutto più difficile. Da questa malattia di cose ne ho imparate tante da volerle condividere con altre persone che si trovano nella mia stessa situazione. Concedetevi anche di piangere, di sentire il dolore e di crollare. Ma non dimenticatevi mai, poi, di rialzarvi e di andare avanti, perché vale così tanto la pena di lottare per quello che questa malattia ci vorrebbe portare via, cioè la vita, la nostra vita”.
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