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Caleb Landry Jones: "Il mio Dracula fa innamorare"

foto di Claudia Catalli Claudia Catalli — 15 Ottobre 2025
Dracula Getty Image (2)
Caleb Landry Jones è li nuovo Principe delle tenebre nel film di Luc Besson

È uno dei nomi più attesi alla ventesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Caleb Landry Jones, 35 anni, è pronto a impressionare il pubblico del festival capitolino con il suo atteso Dracula: l'amore perduto, diretto da Luc Besson.

L'attore e cantante texano dal lampo diabolico nello sguardo ha debuttato al cinema a soli 16 anni in Non è un paese per vecchi dei fratelli Joel ed Ethan Coen e da allora è abbonato ai ruoli estremi. Con Besson ha già interpretato in Dogman un reietto paraplegico amante dei cani che ricordava uno psicotico Joker, nel 2021 ha vinto come migliore attore al Festival di Cannes per Nitram nei panni del pluriomicida Martin Bryant, autore del massacro di Porth Arthur, mentre nella nuova serie di Twin Peaks è il marito violento della figlia di Shelly Johnson e Bobby Briggs.

Non c'è da aspettarsi nulla di rassicurante ora dal suo Dracula, che gli ha richiesto ben quattro ore di trucco al giorno. Al cinema dal 29 ottobre, lo vede interpretare una nuova versione del leggendario vampiro assetato di sangue, qui disposto a tutto pur di ritrovare l'amore perduto.

«È un film decisamente diverso da Dogman, dove recitavo con pochi scenari e cento cani: non facile, ma a volte è molto meglio dividere il set con gli animali che con certi attori. Nei panni di Dracula mi vedrete muovermi tra castelli e colli da mordere, cavalcare, indossare l'armatura, maneggiare la spada, cosa che non avevo mai fatto prima. Aspettatevi un grande film».

Anche con i canini affilati se l'è cavata piuttosto bene: «Basta farli scivolare sopra i denti veri e, quando mordi, stare attento a fare piano e scusarti sempre dopo ogni morso, verificando di non aver lasciato segni sul collo di nessuno».

Con lui nel film troviamo Christoph Waltz, Zoë Bleu e Matilda De Angelis. «Mi piace lavorare con attori bravi, fa brillare anche me. Non è falsa modestia, è che il cinema si fa insieme, anche quando sei tu il volto principale dietro c'è tutta una squadra che vale. Mi sento così fortunato degli incontri speciali che ho fatto nella mia vita, su tutti quello con Luc Besson, che considero un mentore».

Dracula Getty Image

La sua domanda-tormentone prima di accettare un ruolo è sempre: "Che cosa può aggiungermi? Che tipo di nuova sfida può comportare?". Alzare l'asticella per lui è un processo naturale: non a caso anno dopo anno le sue performance risultano sempre più intense e viscerali.

«Molti dei film che giro mi richiedono in un certo senso di distruggermi: per questo cerco di accettare poche storie in cui credo davvero. Non è mai la quantità del lavoro a interessarmi. Quando recito provo la profonda insicurezza di chi fa tentativi per esplorare cose nuove, eppure allo stesso tempo so esattamente che cosa sto facendo: sul set vivo questa perenne sensazione ambivalente di controllo e abbandono difficile da spiegare a parole».

Per questo negli ultimi cinque anni racconta di aver fatto un patto con se stesso: «Non lavorare affatto, a meno che non sia per qualcosa che ne valga davvero la pena e mi porti, ancora una volta, a distruggermi, scuotermi, spostarmi dalla mia zona di comfort». Fare musica per lui è un sollievo, complementare al dedicarsi al cinema: «Quando recito mi dono alla visione del regista, quando faccio musica invece è alla mia visione personale che do voce. Sono ossessionato dalla qualità, ma sono anche quello che si rifugia nella musica nei momenti no. In generale preferisco di gran lunga l'autenticità anche un po' rotta e spezzata alla perfezione algida di un brano».

Ama l'Italia e il cinema italiano, cita Federico Fellini e Luchino Visconti. «Purtroppo i registi che mi piacciono sono quasi tutti morti», scherza. Poi si fa serio nel condividere il suo dispiacere per l'assenza attuale di maestri: «Ne parlavo l'altro giorno con Besson: i cineasti da tempo hanno smesso di insegnare e tramandare alle nuove generazioni. L'Italia è stata piena di maestri, avete trasmesso al mondo l'amore per il cinema, ma chi ha pensato alle generazioni successive?».

Finora è stato diretto più da uomini che da donne. «La verità è che non me ne importa un bel niente del sesso di un regista, il genere è l'ultima cosa che conta per me. Ma è vero che sono stato diretto più da maschi che da donne: non è stato voluto, è dipeso solo dallo stato dell'industria e sono contento che le cose stiano cambiando. Sono certo che lì fuori ci siano tante nuove Kathryn Bigelow e voci femminili originali da scoprire e conoscere, spero di avere presto occasione di lavorare con loro».

FOTO DI GARETH CATTERMOLE

© Riproduzione riservata

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