Fotogallery Tim Burton: «Il bello di essere horror»
...
Il senso dell’umorismo, l’amore per i cartoon (andate a vedere Frankenweenie), la predilezione per il gotico. Sono le cose che uniscono Tim Burton e Helena Bonham Carter da 10 anni. «Da quando lei mi ha sedotto con le sue sopracciglia»
Il senso dell’umorismo, l’amore per i cartoon (andate a vedere Frankenweenie), la predilezione per il gotico. Sono le cose che uniscono Tim Burton e Helena Bonham Carter da 10 anni. «Da quando lei mi ha sedotto con le sue sopracciglia».
Tim Burton, il genio visionario da cui sono nati Mars Attack!, Edward Mani di Forbice e Nightmare Before Christmas, è un uomo molto timido. «Non so mai come reagire davanti all’entusiasmo dei fan. Mi lusinga e mi riempie di gioia, ma m’imbarazza. Che cosa posso rispondere a qualcuno che mi dice di essersi fatto tatuare uno dei personaggi che ho disegnato?», confessa quando lo incontriamo a Londra, in occasione dell’anteprima di Frankenweenie, il film d’animazione in 3D, in uscita il 17 gennaio.
«Sapere di essere riuscito a lasciare il segno nella vita di qualcuno», prosegue «è una delle più belle soddisfazioni di questo lavoro».
Da oltre dieci anni, da quando cioè - dopo averla scritturata per il suo remake di Il pianeta delle scimmie - s’innamorò della «mobilità delle sue sopracciglia», divide la vita con Helena Bonham Carter. E ad Hampsted, quartiere chic nel nord di Londra dove vivono, (in due case separate, ma comunicanti), è facile incrociarli al parco o nei pressi della scuola frequentata dai figli, Billy, 9 anni, e Nell, 5.
Coppia gotico-glam per eccellenza, hanno lo stesso innato spirito d’indipendenza. «Il segreto della nostra relazione - e la ragione per cui non ci siamo ancora massacrati - è la capacità di non invadere gli spazi dell’altro. E soprattutto di non perdere mai il senso dell’umorismo».
Amato dalla critica, Frankenweenie è una riedizione, rivisitata e corretta, di Frankenstein.
Victor, un bambino che ama i film e la fantascienza, decide di riportare in vita il suo adorato cane con spettacolari esperimenti scientifici.
«Gli animali domestici sono il primo amore di ogni bambino e la prima vera esperienza con la morte», spiega Burton. «Il mio primo cucciolo si chiamava Peppe, avevo tre anni quando arrivò in casa, ma ricordo che non ci si aspettava che vivesse a lungo (perché aveva il cimurro). All’epoca io non capivo, ma credo sia importante che i bambini arrivino a comprendere il dove e il come della morte».
Quella che racconta è la sua infanzia?
«Tutto può essere ricondotto a un ricordo personale. L’insegnante che metteva soggezione, gli strani compagni di classe, le ragazzine di cui t’innamoravi, le rivalità, i conflitti, le amicizie».
Come mai ha deciso di aprire il film con un omaggio a Bambi?
«Per me i momenti più memorabili dei film della Disney sono caratterizzati da una forte drammaticità: la morte di Biancaneve, quella della mamma di Bambi o del Re Leone. Tutti, da bambini, ne siamo colpiti. Ma da adulti ce ne dimentichiamo, come se la morte non fosse mai stata presente nei film».
Però lei non ci mostra il cadavere di Sparky, il cane di Victor.
«M’interessa l’emozione, il sentimento, non la contemplazione della morte».
Dopo la nomination ai Golden Globe, spera nell’Oscar?
«Dimentica la spilla di Blue Peter (programma per bambini della BBC, amato da entrambi i suoi figli, ndr), che mi è stata appena consegnata!» (ride).
I suoi disegni sono stati esposti al Moma di New York. Che cos’hanno di speciale rispetto a dipinti o sculture?
«Nulla, se non il fatto che non sono un granché né come pittore, né come scultore...».
© Riproduzione riservata
© Riproduzione riservata