Fotogallery Richard Gere: «Quando seduco non sono zen»
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Alla nostra intervista la star si presenta con Homer, il figlio 14enne: «Un ragazzo modello», dice. L’attore è un papà premuroso, crede nel buddismo e nella gentilezza. C’è solo un campo in cui non ha intenzione di seguire i consigli del Dalai Lama: l’amore. Ecco perché il suo periodo da single, dopo la recente separazione, è già finito
Siete stressate, sopraffatte dalla fatica, arrabbiate con il mondo intero? Un incontro con Richard Gere può funzionare meglio di qualunque tranquillante. Ve lo assicuro io che ho avuto il privilegio di passare un po’ di tempo con l’attore a Giffoni, il festival del cinema dedicato ai ragazzi. Sorridente, pacato, disponibile, Richard infonde serenità e invita all’ottimismo. «Ho 64 anni e continuo a svegliarmi tutte le mattine con la stessa voglia di dare un senso alla mia vita: mi sento più che mai parte della grande famiglia del genere umano e amo rimanere connesso con i miei simili», mi spiega, ed è solo l’inizio.
Camicia di lino bianca e jeans, il bel viso (senza ritocchi) abbronzato dal sole di Positano, l’ex Ufficiale gentiluomo ha fatto dei capelli bianchi un’arma di seduzione in più e della gentilezza la sua qualità più evidente. Appena entra nella stanza, si inginocchia a mani giunte, come il suo Lancillotto nel film Il primo cavaliere. Al posto dell’orologio, sul polso sinistro s’intrecciano due rosari: tibetani, suppongo. «Che gioia essere qua: ogni volta che posso torno in Italia, un Paese che mi fa stare bene», esclama.
Accanto a lui c’è Homer, il figlio 14enne. Ha lo stesso viso delicato della mamma, l’attrice Carey Lowell dalla quale Richard si è separato qualche mese fa dopo 11 anni di matrimonio. Gli amici intimi giurano che la vita austera di lui, tutto meditazione e cause umanitarie, dalla difesa del Tibet all’impegno contro l’Aids, ha finito per stancare la moglie che qualche concessione alla mondanità l’avrebbe fatta volentieri. Comunque sia andata, Richard da un po’ di tempo frequenta la conturbante Padma Lakshmi, 44 anni, indiana, ex moglie dello scrittore iraniano Salman Rushdie (quello dei Versetti satanici “scomunicati” dagli ayatollah), successivamente vedova del miliardario Teddy Fortsmann e oggi conduttrice negli Stati Uniti di un programma tv di cucina. La conosciamo anche noi perché nel 1997 ha affiancato Fabrizio Frizzi a Domenica In. Ma con Gere l’argomento è tabù, forse è presto per annunciare ufficialmente il legame. In compenso l’attore, prossimamente protagonista di tre film (vedi box), mi parla con generosità di mille cose, dal suo pacifismo al lavoro, dal figlio che adora (si vede da come lo “cova” con gli occhi) ai cibi che mangia. E il tempo in sua compagnia vola.
Lavora tanto, è stato difficile venire a patti con Hollywood?
«Guardi che Hollywood non è il mostro che molti immaginano. È solo un posto in cui si fa il cinema. A patti, semmai, bisogna venire con i demoni
della propria coscienza e possibilmente sconfiggerli. Io continuo a interpretare dei film che abbiano qualcosa da comunicare. Un attore famoso ha una grande responsabilità».
In Time out of mind ha interpretato un barbone ed è stato così convincente che una turista, non riconoscendola, le ha offerto da mangiare.
«Ho girato quel film perché affronta l’attuale crisi economica attraverso il problema dei senzatetto, sempre più numerosi. Il mio personaggio da un giorno all’altro perde il lavoro, la casa, le amicizie. Ho raccontato il suo viaggio interiore nella disperazione».
Spesso però ha messo i panni di personaggi senza scrupoli: come si conciliano con la sua fede buddista
e l’impegno umanitario?
«Sono un attore, il cinema è un lavoro, non ha nulla
a che fare con le mie convinzioni personali».
Il cinema è molto cambiato secondo lei?
«Quando iniziai, negli Anni 70, i grandi studios sfornavano drammi e commedie. Oggi inseguono
gli incassi a colpi di effetti speciali e il buon cinema
è rimasto nelle mani dei produttori indipendenti,
che hanno pochi soldi e impongono ritmi serrati. Ma l’importante è che certi film vengano ancora fatti».
Mentre lei sfila sul red carpet, però, il mondo è insanguinato dalle guerre.
«Sono pacifista e condanno la violenza. Non serve
a niente, non risolve i problemi. È soltanto la risposta più immediata e superficiale. Diffido dei leader politici aggressivi. L’impulsività va combattuta».
Lei come fa?
«Applico il metodo zen che mi ha insegnato un maestro giapponese: rallento il respiro e scendo
in profondità nella mia coscienza. Cerco di capire
di più e non rischio di dare risposte affrettate».
Come vede il futuro?
«Sono ottimista. Il genere umano è naturalmente portato alla gentilezza, all’amore, alla comprensione. Se ripartissimo dalla gentilezza, molti problemi
si risolverebbero. Io, nel mio piccolo, faccio un gran lavoro su me stesso».
È vegetariano?
«Non mangio carne rossa da molti anni, ma amo il pesce e ogni tanto, con mio figlio, mi concedo il pollo. Sono sicuro che presto diventerò vegetariano
e non soltanto per motivi religiosi o ideologici, ma scientifici: abbiamo la responsabilità di mantenere integro il nostro pianeta anche attraverso la corretta alimentazione. Il Dalai Lama mi ha insegnato
a rispettare ogni essere vivente, anche gli insetti».
Che tipo è suo figlio Homer?
«Un ragazzo pieno di interessi e uno studente modello, l’opposto di me alla sua età. Non avevo voglia di stare sui libri, mi iscrissi a filosofia, ma dopo sei mesi mollai l’università per unirmi al grande circo dello spettacolo. Da allora in poi tutte le esperienze che ho avuto nella vita le ho trasferite nel lavoro».
Che consiglio darebbe a un giovane attore che inizia?
«Gli suggerirei di fare il calzolaio, la nostra categoria è piena di disoccupati! Scherzi a parte, se un ragazzo ha l’ossessione per la recitazione, non deve arrendersi. Gli chiuderanno le porte in faccia, soffrirà come
un pazzo ma prima o poi arriverà il suo momento».
Preferisce commuovere o far ridere?
«Sarei più portato al dramma, ma ho interpretato con gioia tante commedie. La differenza conta poco: ieri come oggi voglio portare sullo schermo degli esseri umani, con i loro problemi e i loro sentimenti».
Quando gli chiedo se c’è un personaggio che tornerebbe a interpretare volentieri, magari il finanziere spietato ma romantico di Pretty Woman, si schermisce con la mano. «Quello che è fatto è fatto», risponde. E prima di concludere l’intervista mi regala la sua visione del successo: «Da giovane ero divorato dalla voglia di fare bene il mio lavoro per essere visibile, poi il cinema è diventato un mezzo per trasmettere contenuti positivi. Posso aver girato dei film sbagliati, ma sono sempre stato guidato dal senso di responsabilità. E non ho mai dato nulla per scontato. Non credo di aver meritato tutto il successo che ho avuto».
Dopo questa lezione di umiltà, saluto l’attore. Sì, mi sento riconciliata con il mondo.
© Riproduzione riservata
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