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Grazia

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Lifestyle

Riccardo Muti: «Tutta colpa di un vulcano»

Riccardo Muti: «Tutta colpa di un vulcano»

foto di David Allegri David Allegri — 10 Agosto 2011

Cronaca di un’intervista che è iniziata un anno fa, quando tutti gli aerei erano bloccati da una nuvola di cenere. Che cosa è successo nel frattempo a Riccardo Muti? Ha collezionato nuove cariche, scoperto nuovi talenti, diretto le orchestre più prestigiose, compiuto 70 anni. E mentre prepara Macbeth per novembre, ci svela quella che per lui è ancora una sfida: "Dimostrare al pubblico di essere un uomo molto normale". Che fa il nonno e gare di barzellette con Benigni.

riccardo muti

Cronaca di un’intervista iniziata un anno fa per merito dell’Eyjafjallajökull. Aeroporto J.F. Kennedy di New York, estate 2010: la nube del vulcano islandese ha bloccato i voli in tutti i cieli del mondo, le hostess della lounge dell’Alitalia sono così cortesi, anche se ho un biglietto economy, da farmi entrare per consultare le mail.

Seduto sul divanetto accanto, vedo Riccardo Muti intento a leggere un giornale. È inconfondibile, si tocca i capelli neri. «Io non so nemmeno aprirla la posta elettronica, ma è così facile?». Il primo a parlare, accorgendosi dei miei sguardi dopo il saluto, è lui.

Quindi, la colpa è sua se poi non ho saputo resistere alla tentazione di intervistarlo. Dopo 30 minuti, però, veniamo chiamati per il decollo. «Questa chiacchierata la completeremo più avanti, bisogna che legga il libro che sto finendo, si intitolerà Prima la musica, poi le parole (Rizzoli, curata dal musicologo Marco Grondona, 270 pag., ndr), una frase presa a prestito da un’opera di Antonio Salieri e che contiene tanti aneddoti. E poi l’anno prossimo ci sarà anche un altro evento, che tutti si ostinano a ricordarmi, compirò 70 anni».

Il tempo è passato, e la data fatidica è arrivata. E «Grazia» non ha perso l’occasione di un augurio speciale a Riccardo Muti per il compleanno, festeggiato il 28 luglio scorso. Come sempre in questo periodo il maestro è sul podio della Filarmonica di Vienna al Festival di Salisburgo, dove il 3 agosto ha diretto Macbeth. E non è tutto: pochi giorni fa l’Opera di Roma ha anche offerto al Maestro la carica di direttore a vita.

Le hanno fatto gli auguri tutte le più grandi personalità della musica e dell’arte. Il presidente della Repubblica Napolitano le ha mandato un pensiero molto affettuoso da parte di tutti gli italiani. Come si sente?
«Gli auguri, come i complimenti, mi fanno sempre piacere, soprattutto quelli del presidente Napolitano a nome del mio Paese. Io sono innamorato dell’Italia e mi sento un ragazzo di 70 anni, ho l’entusiasmo di sempre».

Che cosa sogna di dirigere? O, piuttosto, rallenterà il ritmo, anche alla luce dello spavento provato quando ebbe un mancamento sul podio a Chicago l’inverno scorso?
«Mi sento benissimo fisicamente, il mio cuore è in condizioni ottimali. Sono e sarò direttore stabile della Chicago Symphony Orchestra, ho in programma le collaborazioni con Roma e Napoli, le tournée internazionali e la direzione dei giovani talenti dell’Orchestra Cherubini, musicisti eccellenti e preparati che porterò in tutto il mondo».

Lei trascorre tantissime ore in volo, tra Chicago, New York, Salisburgo, Roma. La sua vita è divisa tra palcoscenico e nuvole. Anche questi lunghi tragitti sono per lei un momento per lavorare?
«Potrei sfidare i più famosi viaggiatori del mondo a chi ha fatto più miglia tra le nuvole. Ormai mi sono assuefatto agli spostamenti. Leggo, riposo, ascolto musica e ripasso mentalmente la prossima partitura. Se facessi il calcolo delle ore di volo, penso di avere trascorso sui sedili degli aerei qualche anno di vita».

Non ha mai avuto paura di volare?
«Una volta nei cieli degli Stati Uniti si ruppe un motore, l’aereo cominciò a ballare in aria, un silenzio irreale avvolse noi passeggeri, che restammo, è il caso di dirlo, muti. L’atterraggio di emergenza, sulla pista innevata di un aeroporto sperduto del Labrador, mi parve dolcissimo, nonostante le turbolenze».

Torniamo alla lirica: mi parli delle donne più affascinanti che ha incontrato nel suo lavoro.
«Avrei tanto voluto dirigere Maria Callas nel Macbeth, ma lei ritenne che fosse troppo tardi. Ho amato musicalmente Renata Tebaldi che si sedeva in fondo alla platea ad ascoltare le mie prove. Tutte donne dotate di una voce sublime, inarrivabili così come Renata Scotto, Leyla Gencer, Mirella Freni... Però, le donne della mia vita sono altre e non stanno in palcoscenico...».

Come ha conosciuto sua moglie Cristina?
«Fu lei a conoscere me. Un giorno fece irruzione nella Sala Puccini del Conser­vatorio di Milano dove io, da studente, mi esercitavo. Il suo ingresso così chiassoso, allegro e poi imbarazzato non passò inosservato. Le feci segno con la mano che andasse via, ma poi volli sapere chi fosse. Lei, in seguito, mi confidò che era incuriosita dal soprannome, il Moro, che mi davano in ­Conser­vatorio per i capelli neri e la carnagione scura».

E poi c’è sua figlia Chiara, che fa l’attrice...
«L’ho sempre incoraggiata e la stimo molto. È la mia secondogenita, nata a Firenze, dove vivevo durante gli anni della direzione del Maggio Musicale Fiorentino. Il mio primo figlio, Francesco, è architetto. Mia moglie, quando avvertì le prime doglie, era in teatro al Comunale di Firenze. Il mio terzo figlio, Domenico, laureato in legge, è nato, invece, mentre ero a Philadelphia. Nessuno di loro ha seguito la mia strada, ma amano la musica. E poi ci sono i miei nipoti, la neonata Gilda e il piccolo Riccardo che, a nemmeno quattro anni, si diverte ad ascoltare le mie “Lezioni Concerto” con i giovani dell’Orchestra Cherubini, riconoscendo gli strumenti».

La prima donna, la più importante per la sua carriera, fu, però, sua madre.
«Ha cresciuto me e i miei quattro fratelli maschi nel segno della disciplina. Mio padre, medico di Molfetta che curava i malati girando in calesse, aveva regalato per il 6 dicembre, giorno per tradizione destinato ai doni, a ciascuno di noi uno strumento musicale diverso. A me, all’età di sette anni, toccò il violino da due quarti, anche se io avrei preferito un giocattolo».

Però fu l’inizio di una inarrestabile carriera che l’ha portata a essere il direttore di orchestra più famoso al mondo...
«Improvvisamente, in poco tempo, iniziai a leggere le note sul pentagramma e mi appassionai. Penso che si trattò di un miracolo, non ho altra spiegazione. A otto anni eseguii un concerto di Vivaldi in pubblico, ma non pensavo minimamente di seguire la carriera di musicista. Mio padre desiderava che facessi l’avvocato».

Poi che cosa accadde?
«All’esame di ammissione al Conservatorio di Bari era casualmente presente Nino Rota, che ne era direttore. Mi diede dieci e lode spronandomi a impegnarmi in questa carriera. Io studiavo al mattino al liceo di Molfetta e al pomeriggio, in autobus, raggiungevo Bari. Furono anni durissimi, gli insegnanti ci davano del lei, tanto che ancora oggi io fatico a dare del tu alle persone. In seguito al Conservatorio di Napoli, mentre pensavo di diventare un pianista, mi fu chiesto di cimentarmi come direttore di orchestra».

Quali soddisfazioni nella sua carriera ricorda come più significative?
«Dirigere Don Giovanni e Falstaff, alla Scala con Strehler, la Valchiria, sempre al teatro milanese, Orfeo ed Euridice con Ronconi e Pizzi. E poi c’è la soddisfazione di avere diretto, soprattutto per volontà dei musicisti, le orchestre più importanti del mondo».

Immagino che abbia avuto incontri straordinari.
«Mi piace ricordarne anche alcuni casuali, inattesi e divertenti come quello con Roberto Benigni e Gigi Proietti in un locale milanese: ci sfidammo a raccontare barzellette. E io me la cavo bene. Ovviamente è stato interessante avere conosciuto la Regina Elisabetta così come Bertolucci, Bergman, Strehler e Von Karajan che mi volle a Salisburgo con i Wiener Philharmoniker. Li dirigo da 40 anni e mi hanno nominato membro onorario».

Nel suo libro lei racconta anche i primi anni milanesi.
«Vivevo in pensioni modeste, in una stanza con il bagno in condivisione con altri ospiti sullo stesso pianerottolo. Ma erano gli Anni 60 e a Milano, a quei tempi, c’era davvero un grande fervore».

In quelle pagine ci tiene a voler apparire, comunque, come un uomo molto normale.
«Il fatto è che mi sento così, ho avuto molta fortuna, molti incontri felici, ma sono una persona come le altre che, chiusa la partitura, torna alla vita semplice e genuina. Mi piacciono la Puglia, i campi di ulivi e passeggiare ai piedi di Castel del Monte, nella piccola proprietà che ho appena acquistato».

Posso chiedere a lei, al maestro che tutto il mondo ci invidia, che cosa rappresenta davvero la musica?
«Eleva lo spirito, è un’arte astratta, intangibile, purissima. Genera onde altissime, proietta raggi caldissimi, rapisce, stordisce, porta la vita in una dimensione più alta e trascendentale».

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