Fotogallery Rachel McAdams: «Parigi val bene un fidanzato»
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Un film con Woody Allen e, soprattutto, un nuovo amore: la capitale francese ha portato fortuna a Rachel McAdams, attrice sempre più in carriera. Ma lei minimizza: «Io una star? Ma se vado ancora in giro in autostop...».
Un film con Woody Allen e, soprattutto, un nuovo amore: la capitale francese ha portato fortuna a Rachel McAdams, attrice sempre più in carriera. Ma lei minimizza: «Io una star? Ma se vado ancora in giro in autostop...».
Mi sento una hippy nata fuori tempo. Viaggerei nella storia solo per andare al concerto di Woodstock!». E chi ce la vede, tra i figli dei fiori, questa bionda modello red carpet in tacchi altissimi e abitini di seta? Forse Rachel McAdams è meno convenzionale di quanto suggerisca la sua bellezza tipo “Barbie”.
Dopo aver studiato da fidanzata d’America in film come Le pagine della nostra vita ed essere stata la fidanzata, non metaforica, di Ryan Gosling (anche lui canadese, affascinante e alla conquista di Hollywood), l’attrice 33enne ha iniziato a uscire dai binari della commedia romantica.
È diventata la ladra sexy dark dello Sherlock Holmes di Guy Ritchie, di cui a metà dicembre esce il sequel Gioco di ombre. Si è fatta notare dal regista culto Terrence Malick (The tree of life), che l’ha voluta per il prossimo, misterioso e attesissimo film. È pure andata a lezione di risate da Woody Allen che, in Midnight in Paris, sugli schermi dal 2 dicembre, l’ha trasformata in un’avida figlia di papà, che bacchetta il promesso sposo (Owen Wilson) perché insegue i sogni più dei soldi e muore dietro a un tipo saccente, ma con i piedi ben piantati per terra.
Il destino di tutti cambia per un esilarante incantesimo di mezzanotte, a Parigi, e la magia è andata oltre la finzione. Galeotto Woody, Rachel ha finito per innamorarsi dello stesso volto che affascina il suo personaggio e che, fuori dalla finzione, non è affatto noioso, ma è un affascinante attore inglese: Michael Sheen, 42 anni (The Queen, Frost/Nixon), apparso al suo fianco per la prima volta all’ultimo festival di Cannes, dove Midnight in Paris ha iniziato a raccogliere applausi e risate (negli Usa è il film di Allen che ha incassato di più ai botteghini).
E mentre la McAdams è abbottonata sul lato rosa del set parigino, Sheen va dichiarando: «Rachel non solo è bellissima, ma è brillante e divertente».
Nel film di Allen interpreta una donna attaccata al denaro e alla bella vita. Che effetto le fa?
«Strano, ma Woody mi aveva avvertita: “Non sarai un oggetto del desiderio, ma proprio per questo ti divertirai”. Aveva ragione. All’inizio temevo di alienarmi le simpatie del pubblico. Invece per un’attrice è importante esplorare la natura umana ed è proprio il territorio scivoloso quello che più ti fa crescere».
È il suo addio alla commedia romantica?
«No, per carità, sarebbe faticoso avere sempre parti di questo genere!».
Qual è stato il momento più difficile?
«Fare la meschina con Owen Wilson, che interpreta il fidanzato con cui entro in crisi. Forse perché avevo girato con lui 2 single a nozze e fare gli innamorati era più facile».
In compenso Parigi, che Woody celebra come città romantica, lo è stata per lei più che mai...
«Non riuscirà a farmi parlare di Michael, se è lì che va a parare!».
Lui non ne fa mistero. E lei è stata altre volte con colleghi attori (dopo Gosling, Josh Lucas e Ben Jackson, ndr).
«Succede a molti di innamorarsi sul posto di lavoro, che sia Hollywood o uno sportello bancario, perché di solito ci spendi tempo ed energie».
La ville lumière non ha dato un aiutino?
«È stata un’esperienza incredibile, per vari motivi. Solo il fatto di ritrovarsi con Carla Bruni, che interpreta una guida turistica, davanti alla statua del Pensatore di Rodin... Roba da stropicciarsi gli occhi e chiedersi se non fosse un sogno. E poi scoprire quartieri come il Marais, fare yoga con un maestro francese... A Parigi c’ero stata solo una volta per le sfilate di moda, ma allora mi ero concentrata sul lato glamour della città. E avevo fatto le prove generali per la serata degli Oscar: mai provato tanti vestiti in via mia! Non sono abituata alla vita mondana».
A Hollywood le toccherà, però...
«Ma io non vivo a Los Angeles, non ce la farei proprio. Sto in Canada, altrimenti la mia famiglia mi mancherebbe da morire. Quando il lavoro mi allontana per mesi, poi sento il bisogno di casa. A volte sono i miei, soprattutto mia sorella, a seguirmi. Ai festival, per esempio. Michael sta a Los Angeles più di me, ma troveremo dei punti d’incontro».
Vuole dire che il successo non le ha cambiato la vita?
«Più che altro i film e i ruoli che mi offrono mi hanno fatto crescere, maturare. Per il resto, da canadese, sono molto attaccata alle mie abitudini e non ho intenzione di cambiarle. Vivo da anni nella stessa casa di famiglia, così vecchia che ha sempre bisogno di riparazioni. Non ho la tv. E non ho mai avuto un’automobile».
Cammina molto o si fa scarrozzare?
«Mi piace passeggiare, soprattutto nel verde. Spesso ho viaggiato con lo zaino in spalla, scarpinando. Ho girato il Nord dell’Australia, qualche anno fa, on the road».
Lei ha iniziato a fare l’attrice da ragazzina, quasi per gioco. Quando è diventata una scelta definitiva?
«Ho iniziato a 12 anni, in un campo estivo dove facevano Shakespeare per i ragazzini. Mi ero appassionata moltissimo, ma non pensavo di costruirci una carriera o forse avevo troppa paura di provare e fallire. Poi ho trovato un insegnante che mi ha spronato e, dopo il liceo, sono entrata in una scuola di teatro».
E il suo debutto cinematografico è stato in un film italiano, “My name is Tanino” di Paolo Virzì, nel 2002. Com’è successo?
«Un caso strano, davvero! Me l’aveva proposto il mio agente, perché conosceva la produzione e sapeva che cercavano un’attrice di lingua inglese che parlasse un po’ italiano. Io, in realtà, non conoscevo una parola, ma il regista mi ha voluto lo stesso e così, di punto in bianco, mi sono ritrovata su un volo per la Sicilia».
Il punto di svolta della sua carriera?
«È stato nel 2004 con due film, che ho girato uno dietro l’altro: Mean girls e Le pagine della nostra vita, entrambi con un cast notevole. Un colpo di fortuna».
Fa la modesta. In realtà, per essere una canadese abitudinaria, lei è molto versatile. Non è stato strano, per esempio, ritrovarsi in una storia “british” come Sherlock Holmes, seppure rivisto e corretto?
«Non è stato facile avere materiale sul mio personaggio, Irene Adler, perché compare in uno solo dei racconti di Conan Doyle, ma proprio questo mi ha dato più libertà nell’interpretarla. La fatica maggiore è stata girare certe scene con quei costumi stretti e complicati: per farmici entrare dentro ci volevano quattro persone!».
Si è divertita a girare il sequel? Per certi attori sembra più una scelta obbligata.
«Stavolta ho solo un cameo e comunque a me piacerebbe tornare più spesso su alcuni personaggi: mi ci affeziono, è come fare amicizia con qualcuno che hai voglia di conoscere meglio. Ed è l’unico motivo per cui invidio un po’ gli attori delle serie televisive».
Fra l’altro ha un’invidiabile compagnia maschile. Che ci racconta di Robert Downey Jr. e Jude Law?
«Robert è uno che si impegna fino alla morte: è talmente bravo che gli basterebbe arrivare sul set e recitare, invece prepara tutto fino all’ultimo minuto e fino al minimo dettaglio. Jude è quello che fa più squadra. Sono una coppia affiatatissima».
Sembrano super eroi d’altri tempi. E a lei piacerebbe, in futuro, interpretare una super eroina?
«Magari Wonderwoman... Certo che sì. A chi non piacerebbe?».
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