Fotogallery Paolo Fresu: «Chi l’ha detto che il jazz è per intellettuali?»
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Da piccolo correva dietro alla banda del suo paese. Da grande è diventato uno dei più famosi trombettisti. Paolo Fresu (350 dischi, oltre 200 concerti all'anno) è un talento instancabile, che gira il mondo a piedi nudi...
Da piccolo correva dietro alla banda del suo paese. Da grande è diventato uno dei più famosi trombettisti. Paolo Fresu (350 dischi, oltre 200 concerti all'anno) è un talento instancabile, che gira il mondo a piedi nudi...
È seduto a un tavolino davanti alle montagne di Corvara, sulle Dolomiti. Non scia perché, poco tempo fa, si è fratturato quattro costole cadendo dalle scale di casa e ha dovuto annullare 19 concerti in un mese. Di fronte a me c’è Paolo Fresu, uno dei più grandi talenti del jazz.
Inarrestabile, vive in tre case diverse, ha registrato 350 dischi, si esibisce in media in 200 concerti all’anno in tutto il mondo, dirige festival di musica, scrive libri, sforna un album dopo l’altro, si occupa della sua etichetta discografica (fino alla scelta delle cover dei cd).
L’anno scorso ha deciso di festeggiare i suoi 50 anni con vari concerti nella sua Sardegna. La particolarità? Si è trattato di 50 date in 50 giorni. E ha suonato con 50 formazioni diverse. Lo incontriamo perché presto farà sentire il suono della sua tromba insieme al piano di Omar Sosa, con cui presenterà il cd Alma.
Caduta a parte, non riesce proprio a stare fermo...
«Mi piace tenere il piede in molte scarpe. Suono ogni giorno in una città diversa, cambio spesso formazioni musicali, seguo mille progetti».
Vive tra Parigi, Bologna e Berchidda, in Sardegna: come si è organizzato?
«In realtà dovrebbe aggiungere gli aeroporti, gli aerei, i treni, luoghi in cui produco molto, scrivo parole, i programmi dei festival che organizzo, compongo musica... In quei “non luoghi” il tempo è mio, non ci sono né famiglia, né bollette da pagare» (ride). «Scherzi a parte, ho tre case molto belle e curate perché uno dei miei hobby preferiti è arredare: sono appassionato di arte contemporanea, mi piace comprare mille oggetti durante i viaggi. In pratica nelle case ci passo poco tempo, però sono rappresentative di quello che vivo in giro per il mondo».
Ci credo che sta poco a casa: tiene una media di 200 concerti all’anno...
«Vero, e questo mi fa sentire vivo: viaggiare è molte esperienze in una».
Sua moglie la sopporta?
«Sopportare è il termine adatto. Sonia fa la musicista come me, ma per fortuna lavora meno di me. Stiamo progettando insieme un libro per bambini, però è vero, forse a lei e a mio figlio, di quattro anni, farebbe piacere se stessi di più con loro... Ma sanno che quello che porto a casa - non dico il denaro, ma l’esperienza - è vissuto attraverso i miei viaggi. La nostra ricchezza sta nella mia capacità di portare nella nostra casa a Bologna quello che maturo altrove».
E la casa di Parigi come è arrivata?
«Vengo da una famiglia di pastori e contadini sardi, la mia infanzia è fatta di animali e terra. A 25 anni ho deciso di comprare una casa “in continente” e ne ho trovata una nel bosco, sull’Appennino toscoemiliano. Quando l’ha vista mio padre, mi ha detto: “Bene, hai più alberi di me”. Dopo molti anni, però, ho avuto voglia di una dimensione più metropolitana e, tra Parigi e New York, ho scelto la prima».
Lei è molto legato alla Sardegna. Non a caso, a Berchidda, organizza ogni anno un importantissimo festival, Time in jazz.
«Ci sono sardi che non parlano mai della Sardegna perché si vergognano e pensano che il resto del mondo sia meglio. Poi ci sono quelli che pensano che dalla Sardegna vengano tutte le cose migliori: il formaggio, il pane, le persone... Non mi ritrovo in nessuna di queste categorie: per me essere sardo è un privilegio da condividere, punto».
Spesso sta a piedi nudi sul palco: perché?
«Camminerei sempre scalzo. Il contatto con la terra mi dà energia, mi fa suonare e pensare meglio».
Ha un’etichetta, la Tûk Music: perché è instancabile o perché le major trattano male i jazzisti?
«Per entrambi i motivi. Molti musicisti mi chiedevano consigli, così ho deciso di dare una mano in prima persona. Volevo che si rompesse l’equazione “jazz = musica sfigata o troppo sofisticata”».
Ha già pubblicato due libri, “Musica dentro” e “Passaggi di tempo”. A quando il prossimo?
«A fine giugno. Non c’è ancora un titolo, saranno i diari giornalieri dei miei 50 giorni di tour per i festeggiamenti del mio 50esimo compleanno».
Dica la verità, 50 concerti in 50 giorni sono stati massacranti.
«Quando il tour è finito, sarei stato pronto a ripartire per altre 50 date! L’energia era a mille: una follia talmente gratificante che non puoi stancarti».
Tra le sue collaborazioni, ce n’è anche una con Baglioni.
«Ma ha chiesto di suonare nel suo ultimo disco e, siccome la sua musica mi piace, ho accettato. Ma ho lavorato anche con Alice, i Negramaro, Ornella Vanoni...».
Un’ultima curiosità: come è nato il suo amore per la tromba?
«È stata lei a scegliere me. Da piccolo sentivo la banda del paese e le correvo dietro. Ed è tuttora così, suono ancora con la banda di Berchidda tutte le volte che posso».
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