Fotogallery Michael Bublé: «Con il matrimonio sono diventato (ancora) più romantico»
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Adora Fiorello («Siamo uguali»), è sentimentale («Tutto il contrario di mia moglie»), un po’ folle («Sotto l’albero vorrei trovare... un paio di calzini»), insicuro («Mi serve a capire il mio pubblico»). Per il suo primo natale da sposato Michael Bublé si (e ci) regala un nuovo album. Dolcissimo
Adora Fiorello («Siamo uguali»), è sentimentale («Tutto il contrario di mia moglie»), un po’ folle («Sotto l’albero vorrei trovare... un paio di calzini»), insicuro («Mi serve a capire il mio pubblico»). Per il suo primo natale da sposato Michael Bublé si (e ci) regala un nuovo album. Dolcissimo.
Dai calzini psichedelici che la moglie gli ha appena regalato al racconto di una proposta di matrimonio fatta in spagnolo davanti a un pubblico molto speciale, l’incontro con Michael Bublé più che un’intervista sembra uno show. Sarà che tra poche ore il 36enne cantante italocadanese si esibirà con Fiorello in #Il più grande spettacolo dopo il weekend e magari mi considera come una “spalla” per le prove generali.
Sta di fatto che, quando entro nella sala Giada dell’hotel Bernini a Roma, lui... si è dissolto nel nulla. «Impossible», esclama la pr che mi accompagna, perdendo l’aplomb anglosassone. Poi Bublé esce da dietro una tenda, dove si era nascosto, senza riuscire a frenare le risate per il volto sconcertato della sua assistente: «Oggi è una giornata all’insegna della follia», esordisce. «E si deve cominciare da subito a rompere gli schemi: con Fiorello non si sa mai in anticipo cosa succederà».
Bublé è così: ha una simpatia contagiosa e ama gli scherzi. Infatti, se gli chiedessero di recitare in un film, non vorrebbe la parte dell’eroe sexy, ma quella di un personaggio comico. Ma poi ha anche una vena sentimentale che trasmette con la sua voce e che gli ha fatto compiere un’impresa che dieci anni fa un famoso discografico riteneva impossibile: mettere mano a un canzoniere datato e riportare in vita lo swing, quel genere melodico che ha uno dei suoi più grandi interpreti in Frank Sinatra.
Dopo aver venduto più di 25 milioni di dischi - con il produttore David Foster, che ha in scuderia superstar come Céline Dion e Barbra Streisand - la sua sfida continua. Ed ecco che ora arriva l’album Christmas (Warner Music): 14 classici natalizi, da Jingle Bells a Silent Night, alla ballata inedita Cold December Night. È un regalo che ha voluto fare ai suoi fan e un omaggio al periodo dell’anno che più ama.
Se dici Natale, infatti, a Bublé tornano in mente le immagini di quando era bambino: «La sera della Vigilia ci toccava la Messa di Mezzanotte. Io e le mie sorelline non riuscivamo a star fermi sulla panca: Babbo Natale stava arrivando ed eravamo costretti a rimanere in chiesa per un’ora», racconta. «La mattina dopo scartavamo i pacchi in salotto, cantando i brani di Bill Cosby. E mia nonna Iolanda, nata in un minuscolo paese dell’Abruzzo, preparava la pasta e il tacchino».
È molto legato alle sue origini italiane?
«Quando una famiglia lascia un Paese come l’Italia ha così tanta paura di perdere le proprie tradizioni che si avvinghia a esse. Così, quando vado a trovare i miei cugini a Milano, scopro che la mia famiglia di Vancouver è più italiana di loro. E poi c’è la musica: le mie canzoni trasmettono il calore genuino che senti solo se sei in mezzo agli italiani».
Questo sarà il suo primo Natale da sposato...
«La differenza dall’anno scorso è che ora il “clan” di mia moglie Luisana (Lopilato, 24 anni, attrice, modella e cantante argentina, i due si sono sposati con rito civile a Buenos Aires lo scorso 31 marzo, ndr) vive con me: i suoi genitori, suo fratello, le sorelle con i mariti e i figli. Saremo tantissimi, ma sono abituato. Il 25 dicembre non si è mai festeggiato con meno di 40 persone in casa: non puoi fare quattro passi senza che qualche parente ti fermi per baci, abbracci e auguri».
Anche i nonni di Luisana sono emigranti italiani...
«La coincidenza è che mio nonno, del Veneto, è stato indeciso fino all’ultimo se cercare fortuna in Canada o in Argentina. Lo stesso quesito tra i due Paesi se lo sono posto i parenti di Luisana, scegliendo infine Buenos Aires».
Quale sorpresa le piacerebbe trovare sotto l’albero?
«Dei calzini cool, colorati: non sopporto quelli neri, mi annoiano. Ti faccio vedere qual è il mio genere» (Bublé prende lo smartphone e clicca una foto sullo schermo: è lui, in aereo, con i pantaloni alzati fino al ginocchio per mostrare un paio di calzini blu elettrico con l’immagine gigantesca di Superman). «Oppure vorrei una maglia delle mie squadre di calcio preferite, il Chelsea e il River Plate. Confesso che ho iniziato a tifare quest’ultima solo per far contenta mia moglie».
Non sono dei regali molto romantici...
«Perché sono io il sentimentale della coppia. Luisana è più pragmatica. Non a caso, la chiamo per scherzare “Chica fría”, ragazza gelida».
E il nomignolo che usa Luisana con lei?
«“Chanchi chanchi”, che significa porcellino. Possiamo sorvolare sull’argomento o vuole infierire?».
Stavamo dicendo che lei è più romantico di sua moglie...
«Ci sono volte che sento il bisogno di farle capire quanto sto bene con lei, quanto sono felice, e dopo un fiume di parole piene di passione pronuncio la mia dichiarazione: “Ti amo”. Le uniche sue parole di risposta sono: “Anch’io”. Oppure mi prende in giro perché tutta la filippica amorosa l’ho fatta in spagnolo: “Hai l’accento di un cavernicolo”».
Usa lo spagnolo quando vuole essere seduttivo?
«Senza riuscirci, a quanto pare. Però per la proposta di matrimonio ha funzionato. Ho comprato l’anello e mi sono presentato davanti al padre di Luisana e a tutta la famiglia schierata: “Quiero de casarme con vos...”. Lei era sconvolta, non riusciva a credere che stavo chiedendo la sua mano a mio suocero. Poi, si è commossa. Piangevano tutti: lei, sua mamma, le sorelle. Io no, ero troppo nervoso».
Una curiosità sul suo nuovo album: lo ha registrato la scorsa estate a Los Angeles, come ha fatto a ricreare l’atmosfera del Natale?
«Bastava entrare in sala d’incisione e iniziare a cantare per sentirmi catapultato in un’altra dimensione, per tornare bambino: non è questo l’effetto che ha il Natale su tutti?».
Tra i buoni propositi per il 2012 c’è anche un figlio?
«Certo, lo vogliamo. Ma non abbiamo fissato una scadenza. Intanto, ci stiamo felicemente applicando...».
In Gran Bretagna è uscito il suo libro “On stage, off stage”, con il sottotitolo “The Official Illustrated Memoir”. A 36 anni non è un po’ presto per un’autobiografia?
«Sono assolutamente d’accordo. Ho accettato questo progetto perché non lo considero una vera e propria autobiografia, ma piuttosto un libro fotografico per spiegare meglio ai miei fan chi sono e da dove vengo. Racconterò la mia storia in modo più profondo e serio solo tra molti anni. Quando il tempo mi aiuterà a riflettere sugli avvenimenti della mia vita con più distacco e onestà».
Lei è molto amico di Fiorello: che cosa avete in comune?
«Entrambi non veniamo da programmi come X Factor, ma da una lunga gavetta. Lui è stato animatore sulle navi da crociera e anche io ho fatto cose di questo genere. Ricordo che ho persino cantato all’interno di una gabbia con le persone che si divertivano a lanciarmi lattine di birra. Sono arrivato al successo a 27 anni: “Finalmente”, ho pensato allora, “so di non essere uno di quegli artisti che, dopo una hit, vengono spazzati via”. Tutta la fatica che ho affrontato prima ha lasciato comunque il segno e oggi so quanto sono fortunato. Fiorello ha la stessa consapevolezza, che dovrebbe avere ogni grande artista».
Quali sono le altre qualità di uno showman?
«Non bastano coreografie, cambi d’abito ed effetti speciali, ci vuole anche un tocco di insicurezza, che ti rende attento alle reazioni del pubblico. Quando sei in tour e stai per cominciare l’ennesima replica di un concerto, la tentazione di non dare il massimo è forte. Ma non bisogna dimenticare che la gente ha pagato per vederti. Magari ci sono studenti che hanno dovuto lavorare il weekend per trovare i soldi. Oppure genitori che, oltre al biglietto, devono pagare una babysitter che si occupi dei figli a casa. Quando sali sul palcoscenico devi dire a te stesso: “Questa serata è davvero speciale”. In questo senso, il mio amico Peter Kay, comico inglese, mi ha dato un suggerimento fondamentale: “Michael, quando canti pensa sempre che potrebbe essere l’ultima volta”».
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