Fotogallery Lella Costa: «Bye, bye cromosoma Y»
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Lella Costa in redazione con noi maschi in via d’estinzione («E non facciamone un dramma: se ne può fare serenamente a meno!»), donne nuovo sesso forte («C’è ancora qualcuno che ha dei dubbi?»). E poi abiti, scarpe, figli, teatro, passioni, persino soap opere. Pensate a un argomento qualsiasi di cui parlare fra amiche... Fatto!
Lella Costa in redazione con noi maschi in via d’estinzione («E non facciamone un dramma: se ne può fare serenamente a meno!»), donne nuovo sesso forte («C’è ancora qualcuno che ha dei dubbi?»). E poi abiti, scarpe, figli, teatro, passioni, persino soap opere. Pensate a un argomento qualsiasi di cui parlare fra amiche... Fatto!
Appena Lella Costa entra nella nostra sala riunioni, dove siamo già tutti seduti, pronti per intervistarla, guarda un po’ meravigliata Piero e dice: «L’unico maschio: è stato estratto alla lotteria o ha vinto un premio?». La battuta sugli uomini le viene naturale. È un tema ricorrente di molti dei suoi monologhi, a teatro.
In questi giorni sta portando in giro per l’Italia Arie, una raccolta di romanze recitate, tratte dai suoi spettacoli più celebri, una sorta di rivisitazione antologica. E il filo rosso è senza dubbio il tema del rapporto tra maschi e femmine.
Si avvicina l’8 marzo: per lei ha ancora senso una festa delle donne?
«È come per le quote rosa: ti danno un po’ fastidio, pensi “non ne abbiamo più bisogno”. Ma in realtà non è vero. Me ne rendo conto quando sono in tournée nell’Italia più vera, quella dei piccoli centri. Lì per moltissime donne l’8 marzo è l’unico giorno in cui non devono rendere conto a nessuno e si sentono autorizzate a uscire. Ecco perché non va abolito, piuttosto moltiplicato. Certo, come per San Valentino o la Festa della Mamma, è anche un business, l’occasione per vendere mimose a prezzi strabilianti o “pacchetti tutto-compreso” con birra, pizza e spogliarello maschile. Forse bisognerebbe riappropriarsi del senso dell’8 marzo, rianimarlo».
Veniamo al suo spettacolo: il pubblico è prevalentemente femminile?
«Forse sì, ma in fondo il 75 per cento delle persone che vanno a teatro in Italia sono donne. Così come i veri lettori forti sono donne».
C’è da chiedersi che cosa facciano i maschi...
«Poco. Mentre noi ci dividiamo fra mille impegni, loro sono dei geni del marketing: fanno solo una cosa alla volta, eppure la vendono benissimo. Sono cresciuta in una famiglia in cui mia mamma andava a lavorare, si occupava dei figli e della casa, cucinava, ma quando mio padre rientrava, lei diceva: “Bambini, state buoni, perché il papa è stanco”. “E tu, no?”, mi sono sempre chiesta».
Nel suo spettacolo “Arie” abbiamo scoperto però che la scienza ci vendica: i maschi sono avviati all’estinzione…
«Sì. Il loro cromosoma Y è una tragedia genetica: perde pezzi. Il processo è irreversibile: da quando è comparso fino a oggi, si è dimezzato. Almeno il nostro cromosoma X, se per caso si guasta, si ripara da solo. L’estinzione del maschio non sarà immediata: dobbiamo aspettare, pare, fino al duecentomilaenove. Ma aiuta a riflettere sui luoghi comuni: noi donne non siamo affatto il sesso debole, siamo il più forte».
Già, ma senza maschi come la mettiamo con la riproduzione?
«Altra buona notizia: il cromosoma Y non è indispensabile. Già oggi una specie animale su mille è in grado di riprodursi senza corredo maschile. Altre lo impareranno, come sta succedendo ai varani. Avete presente? Sono quegli animali che assomigliano ai draghi: i maschi hanno un livello di libidine così elevato che si gettano sulla prima varana che capita a tiro e l’ammazzano solo ai preliminari. Per questo nello zoo di Londra hanno deciso di tenere le femmine in recinti separati, per salvarle. E allora è successa una cosa straordinaria: le varane hanno messo al mondo dei cuccioli, tutti maschi, unicamente con il loro corredo genetico. Il padre non è stato necessario».
Nei suoi spettacoli gli attacchi ai maschi sono tanti. Per esempio, lei dice che il pensiero maschile è un ossimoro. Nessuno si ribella?
«Mi salva il fatto che scrivo i miei spettacoli con altri autori, tutti maschi: Massimo Cirri e Giorgio Gallione».
Un po’ masochisti: criticano il genere a cui appartengono…
«Forse perché sanno che le battute le dico io, non loro. Ma sono convinta che molti uomini non si ritrovano negli stereotipi maschili di cui è ancora impregnata la nostra società. La chiave di tutto è l’ironia. Come quando, sul palco, mi chiedo con chi vanno le prostitute. Parto dai banchieri, dai notai, dai pizzicagnoli e poi aggiungo 150 altre professioni maschili, recitate a memoria, una dietro l’altra, in un lungo elenco. L’effetto è esilarante... Oppure quando recito la poesia che Pasolini ha scritto per Marilyn Monroe e la definisce “impudica per passività, indecente per obbedienza”. Non è una frase efficacissima? Non ci ricorda qualcosa di oggi? C’è una serietà di fondo, ma quanta leggerezza...».
Suo marito, invece, com’è? Esce dagli stereotipi e, per esempio, fa la lavatrice o cucina?
«Sì, ma da prima che lo conoscessi. È indipendente, autonomo, il classico uomo “dalle spalle larghe”. Ed è un padre meraviglioso perché gli piace farlo. Anche se a casa le nostre tre figlie ci chiamano “mammuth” e “babbosauro”... Non siamo proprio una coppia giovane».
Una mamma attrice: come vivono le sue figlie questo mestiere così sotto i riflettori?
«Se ne sono fatte una ragione, ormai. Hanno respirato quest’atmosfera fin da piccole e tutte e tre fanno corsi di teatro. Sono contenta che considerino la recitazione un arricchimento della vita e non un’esperienza da rifiutare solo per differenziarsi dalla mamma».
Lei è una donna minuta, uno scricciolo: non è faticosissimo, anche fisicamente, reggere quasi due ore completamente da sola sul palco?
«Faccio il minimo sindacale di ginnastica durante la settimana, ma il mio training è recitare tutte le sere. È il mio mestiere, la cosa più bella che potessi mai sognare di fare. E poi il palcoscenico, il rapporto con il pubblico, sono una fonte immensa di energia».
E la televisione? A “Zelig” sembra meno a suo agio...
«Lì non sono a casa mia, come a teatro. A Zelig non c’è il buio in platea. Vedi il pubblico, oltre che sentirlo. Il comico Paolo Cevoli dice che è un po’ come recitare in un centro commerciale. Sono d’accordo con lui, la sensazione è quella».
La sua voce ha anche accompagnato la vita di molte italiane appassionate di soap. Lei ha doppiato una delle protagoniste di “Sentieri”, Reva Shayne.
«Sì, l’ho fatto per venticinque anni. Sentieri è andata in onda dal 1952 al 2009. Il mio personaggio era una donna un po’ pazza, che è diventata così importante nello sviluppo della trama e nel cuore degli spettatori che gli sceneggiatori le hanno costruito intorno delle storie sempre più improbabili: è morta due volte, ma mai in modo definitivo, ha avuto delle amnesie, è stata clonata, ha vissuto di tutto: naufragi, depressioni post-parto, abuso di farmaci… Darle voce è stato un lavoro faticoso, ma divertente e molto gratificante. Quando è nata l’ultima delle mie figlie, mi sono presa una pausa di sei mesi e sono stata sostituita da un’altra doppiatrice. Il pubblico si è ribellato: voleva a tutti i costi sentire di nuovo la “vera” voce di Reva, cioè la mia».
Fra i suoi “colleghi”, chi riesce a farla davvero ridere?
«Antonio Albanese è bravissimo, Corrado Guzzanti è geniale. Tra le donne mi piace molto Geppi Cucciari: è intelligente oltre che divertente. Anche Paola Cortellesi è brava, anche se penso che non sia il suo ruolo fare la presentatrice. Luciana Littizzetto, invece, mi sembra un po’ pigra: fa sempre le stesse cose, nonostante abbia grandi potenzialità. Se volesse, potrebbe diventare un Fiorello al femminile».
Parliamo di un’altra sua passione, la moda.
«È un bellissimo gioco. Anche se ci ho messo un po’ di anni a capire che non tutto quello che mi piace mi sta bene. In casa mia, in fondo a un corridoio, ho una vetrina illuminata con le mie scarpe più belle. Da collezione».
Le sue figlie possono indossarle?
«La natura è stata maligna con la mia altezza, perché sono bassina, ma almeno è stata benigna sul numero di piede: 36, mentre loro hanno dal 39 in su! Sono salva... Però sono libere di prendere qualsiasi cosa in prestito tra i miei abiti. Io penso che l’accesso agli armadi debba essere a senso unico: sarebbe meglio che le mamme non saccheggiassero mai quelli delle figlie...».
Il suo stilista preferito?
«Antonio Marras. Un giorno a Roma ho visto uno spolverino e mi sono detta: “Io non ti voglio, ti pretendo”. Poi ho conosciuto Antonio e siamo diventati amici veri».
L’ultimo libro che ha letto?
«Lettere di dimissioni di Valeria Parrella. Ma quello che io considero il libro del millennio è Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer. Le ultime pagine sono davvero incredibili: le ho lette davanti a lui al Festival della Letteratura di Mantova, percependo le lacrime del pubblico e le sue. Tengo quel libro sempre sul comodino insieme a L’assedio di Lisbona di José Saramago, che Dori Ghezzi mi ha regalato dopo la morte di Fabrizio De André. In una parte del romanzo lui aveva annotato: “Da mandare a Lella”. Poi c’è il libro di una poetessa inglese, Carol Ann Duffy: è pieno di ironia. Conoscete La moglie del mondo? In questa raccolta fa parlare, in versi, le compagne di molti personaggi celebri».
E qui Lella Costa cambia voce e postura, come se salisse sul palco, e ci regala un minuto di vero spettacolo, solo per noi: «Sono la signora Darwin: “Siamo andati allo zoo. Gli ho detto: c’è qualcosa in quello scimpanzé che mi fa pensare a te”. E poi la signora Icaro: “Non sono né la prima né l’ultima che se ne sta su un costone a guardare il proprio marito che dimostra al mondo di essere un totale perfetto emerito assoluto coglione”». Applausi!
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