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Lifestyle

Hugh Grant: «Vi basta la mia voce?»

Hugh Grant: «Vi basta la mia voce?»

foto di Silvia Mapelli Silvia Mapelli — 12 Aprile 2012

Fotogallery Hugh Grant: «Vi basta la mia voce?»

  • Hugh Grant Hugh Grant
  • Hugh Grant Hugh Grant Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant Hugh Grant Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant Hugh Grant Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant Hugh Grant Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant ed Elizabeth Hurley Hugh Grant ed Elizabeth Hurley Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant e Julia Roberts Hugh Grant e Julia Roberts Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant e Renee Zellweger Hugh Grant e Renee Zellweger Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant e Nicholas Hoult Hugh Grant e Nicholas Hoult Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant e Sandra Bullock Hugh Grant e Sandra Bullock Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant Hugh Grant Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant, Renee Zellweger e Colin Firth Hugh Grant, Renee Zellweger e Colin Firth Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant e Drew Barrymore Hugh Grant e Drew Barrymore Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant e Sarah Jessica Parker Hugh Grant e Sarah Jessica Parker Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant Hugh Grant Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant e Paolo Bonolis Hugh Grant e Paolo Bonolis Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
  • Hugh Grant Hugh Grant Hugh John Mungo Grant nasce a Londra il 9 settembre 1960.
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Certo che no. Anche se Hugh Grant, con ironia, ammette di essere pigro e di fare film con il contagocce («Ultimamente mi attira di più la politica...»). A doppiare il cartoon Pirati! Briganti da strapazzo, però, si è molto divertito. «Almeno non ho perso tempo al trucco...». C’entra niente il fatto che sia diventato papà?

Certo che no. Anche se Hugh Grant , con ironia, ammette di essere pigro e di fare film con il contagocce («Ultimamente mi attira di più la politica...»). A doppiare il cartoon Pirati! Briganti da strapazzo , però, si è molto divertito. «Almeno non ho perso tempo al trucco...». C’entra niente il fatto che sia diventato papà?

Sono a Bristol, alla Aardman Animations, gli studi dove sono nati Wallace e Gromit, i due eroi di plastilina che nel 2006, con La maledizione del coniglio mannaro, si sono aggiudicati un meritato Oscar e dove è stato prodotto Pirati! Briganti da strapazzo, da pochi giorni sugli schermi italiani.

Sto aspettando Hugh Grant che, per la prima volta nella sua carriera, presta la voce a un eroe cartoon, quello del Pirata Capitano, appunto, personaggio dalla fluente barba rossa e con un unico desiderio: essere eletto Pirata dell’anno. Prima che l’intervista cominci, l’attore si presenta alla caffetteria e, cercando di non farsi notare, si mette in coda, come tutti gli altri.

Sembra proprio deciso a nascondersi. Nei giorni scorsi ho fatto un sondaggio tra i colleghi giornalisti e tutti sono d’accordo: Hugh Grant non è un uomo facile da intervistare. Ha fascino e senso dell’umorismo, ma è un “orso” di pochissime parole. Almeno fino al momento in cui lo vedo uscire dalla coda (con tanto di caffè bollente in bilico sul vassoio...) e venirmi incontro.

Dev’essere merito della recente paternità (a settembre, Tinglan Hong, attrice cinese di 32 anni con cui ha avuto una brevissima relazione, gli ha dato una figlia, Tabitha) o forse della sua recente battaglia contro le intercettazioni telefoniche da parte dei tabloid, con cui è diventato protagonista di accese discussioni anche nei talk show, ma Hugh mi accoglie con un grande sorriso e un’aria molto aperta e disponibile. Decisamente sexy.

Ha mai sognato di essere un pirata?
«No, neppure da bambino. Avevo i miei eroi, Capitan Pugwash e Tom the cabin boy (protagonisti di una vecchia serie della Bbc, ndr), e mi piaceva molto un gioco in scatola, Il bucaniere, con tanto di tesoro di oro e rubini… Certo, c’è un problema: soffro di mal di mare. Sarei stato un pirata davvero patetico, non trova?».

Quando, invece, ha deciso di avventurarsi in un cartone animato per bambini?
«Quando era già stata scritta una prima versione della storia e i personaggi erano stati delineati. In genere questi film devono essere quasi completi prima di ottenere il via libera dagli studios, che poi, per recuperare il costo della complicatissima produzione, puntano sempre sulla presenza di attori noti e di richiamo».

È davvero così importante arruolare “star” che tutti ascolteranno, ma che nessuno vedrà?
«Ai bambini in realtà importa poco. Ai genitori certi nomi piacciono. Mentre per noi attori è un traguardo, una specie di fiore all’occhiello. Senza contare, infine, le star con bambini piccoli che non vedono l’ora di fare qualcosa che un giorno sarà giudicato irresistibile dai loro figli».

È il suo caso?
«Probabilmente sì» (lo dice arrossendo imbarazzato, ndr).

Qual è il bello di prestare la voce a un cartone animato?
«Per me è stato il piacere di fare qualcosa di completamente diverso. E di non dover andare al trucco, ogni mattina alle cinque. Un impegno di cui, a 51 anni, comincio a essere stanco. Di solito sono un tipo difficile nella scelta dei film, ma su questo non ho avuto dubbi. È divertente e leggero, ma anche intelligente e sofisticato».

Che cosa ha in comune con il protagonista?
«La vanità? Scherzo... Ma non troppo».

Dispiaciuto che il suo volto non appaia sullo schermo?
«Al contrario. Lo trovo fantastico!».

Un’esperienza liberatoria?
«Di sicuro rilassante. Perché sapevo che il film sarebbe stato comunque divertente».

Lavorarci lo è stato?
«Certo, ma è stato anche intenso. Ammiro l’impegno di questi animatori e all’inizio ero stregato dalla loro presenza sul set, ma anche terrorizzato dall’idea di rovinare tutto. E se la mia voce non fosse piaciuta o non avesse funzionato?».

Come si è trovato nei panni di un pupazzo di plastilina?
«Perfettamente a mio agio. Quello della Aardman è un modo di lavorare molto diverso dai film animati attualmente in circolazione, dove attore e personaggio, come accade per esempio in Toy Story in cui Woody ricorda vagamente Tom Hanks (l’attore che nell’originale dà la voce, ndr), si assomigliano. In questo film sono stato io che mi sono dovuto adattare al pupazzo e non viceversa».

Per realizzare questo cartoon ci sono voluti cinque anni.
«Scioccante, vero? Per una scena di 30 secondi ci vogliono infatti sei mesi».

E lei, è paziente?
«Poco. E lo sarò sempre meno» (ride, ndr).

C’è qualcosa che la stimola?
«Giocare a golf, per esempio. Ma non sono sempre stato così insofferente. Sono peggiorato a causa della mia ossessione per internet e il Blackberry. Che, ne sono convinto, contribuiscono a minacciare seriamente le mie capacità di restare concentrato a lungo».

Ha un sogno nel cassetto?
«Non sono mai stato tra gli attori più entusiasti e stakanovisti. Recito solo quando ne ho davvero voglia (ha appena finito di girare il film a episodi Cloud Atlas, ndr). Certo, alcuni dei grandi cineasti con cui ho lavorato mi fanno sempre venir voglia di tornare di fronte alle cineprese. Ma ultimamente mi occupo anche di politica. Un’avventura che mi tenta molto. E un po’ mi fa paura».

In Inghilterra lei è stato tra i più battaglieri nel denunciare le intercettazioni telefoniche fatte da giornali e tabloid.
«Erano anni che cercavo di sollevare il problema. E quando, l’anno scorso, è venuto alla luce tutto lo scandalo, finalmente sono stato ascoltato. Ora non posso fermarmi. Se questa situazione non verrà risolta fino in fondo, alla fine non avrò scampo. E i tabloid si vendicheranno proprio con me».

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