Fotogallery Filippo Timi: «Per perdere peso ho perso la testa»
...
Filippo Timi u2028è uno dei sex symbol del cinema italiano («E se lo sono io, c’è speranza per
tutti»). Ma per il suo nuovo film si è trasformato in un malato terminale. Correndo qualche rischio
Ha interpretato Satana, Mussolini, il frate, l’operaio, il pedofilo, l’alcolista, la guida alpina, Don Giovanni, il pornodivo...
È andato in scena vestito da donna e fatto parlare Romeo e Giulietta in dialetto perugino.
Cinema, teatro, libri, doppiaggio, televisione: nessuna sfida fa paura a Filippo Timi , l’attore italiano più spericolato e appassionato.
A trentanove anni, non ha perso la fame di vita e di emozioni né il gusto istrionico di darsi al pubblico senza risparmio, esternando con furibonda sincerità sentimenti, sogni, fobie.
Nel film Un castello in Italia diretto da Valeria Bruni Tedeschi (nelle sale alla fine di ottobre) l’attore affronta la sua ultima sfida: il ruolo di un aristocratico malato di Aids e prossimo alla fine.
È un personaggio ricalcato sulla figura di Virginio, il fratello della regista e di Carla Bruni, scomparso nel 2006 a quarantasei anni.
«Valeria al primo incontro ha esclamato: “Sei proprio diverso da lui!”. Vuol dire che lo interpreterò al meglio, le ho risposto».
E per rendere l’aria emaciata e sofferente del personaggio, che si oppone alla vendita del castello di famiglia, l’attore si è sottoposto a una dieta disumana che gli ha fatto perdere diciotto chili.
Come ha fatto a dimagrire tanto?
«Mi sono affidato a un personal trainer crudelissimo che per prima cosa mi ha annunciato: soffrirai».
E lei ha sofferto?
«Come un pazzo. Per due mesi mi sono nutrito di bianchi d’uovo, insalata e nient’altro. Dopo un po’ ho cominciato a perdere la memoria, poi il nervo della gamba destra si è messo a battere sull’osso, bloccandomi il piede».
Interpretare il fratello della regista è stata una responsabilità pesante?
«Il film non è autobiografico. Molte circostanze sono riconducibili al suo privato ma la storia è originale. Valeria ha chiesto alla madre Marisa di interpretare se stessa e questo, paradossalmente, le ha dato più libertà espressiva».
Come si è trovato con Donna Marisa?
«Al provino balbettavo, come mi capita quando sono emozionato. Lei ha detto alla figlia: “E questo chi è?”. “Ma davanti alla cinepresa mi passa”, l’ho rassicurata».
Perché manca un personaggio ispirato a Carla Bruni?
«Valeria ha raccontato il rapporto fortissimo, fatto di complicità e intimità, tra un fratello e una sorella. Non c’era posto per nessun altro».
Anche lei ha un legame esclusivo con sua sorella?
«Fino ai trent’anni, no. Io sono andato via da casa e lei, Cristina, è rimasta al paese dove si è sposata e ha fatto due figlie. Ed è stato proprio grazie alle mie nipotine che negli ultimi tempi mia sorella e io ci siamo ritrovati. A volte la chiamo senza motivo e scopro che anche lei voleva dirmi qualcosa… è bellissimo».
Perché ha abbandonato Roma per vivere a Milano?
«Roma è magnifica per fare l’amore e guardare i tramonti, ma Milano si addice di più al mio ribollire creativo. Roma è una bella donna di trent’anni che ti si offre, Milano una quarantenne che ti chiede cosa hai da darle».
E lei com’è cambiato rispetto a dieci anni fa?
«Mi sono rappacificato con il mio ego e ho imparato a confrontarmi con gli altri. Ho formato una compagnia e ora scrivo per gli altri attori. Mi dà un gusto pazzesco!».
Perché ha messo in piazza la sua vita compresi la bisessualità, i traumi subiti e i complessi giovanili?
«Il mio primo libro Tutt’al più muoio, in cui racconto tutto, è stato come un vomito: mi ha permesso di creare un personaggio che mi somiglia ma non sono io. Alcune cose sono autobiografiche, altre inventate. Quando recito, mi spoglio di questo personaggio per incarnarne un altro».
Ha sempre voglia di provocare?
«Mi diverto ancora, ma qualcosa è cambiato. Prima, con le mie uscite, puntavo a scatenare un terremoto. Oggi ho voglia di costruire, magari con la dolcezza. Basta che non mi prendano per un buono: non lo sono».
Riesce a distinguere tra lavoro e vita?
«Se la vita non entra nel mio processo creativo, mi annoio a viverla. Io non stacco mai e riconduco tutto ai ruoli che interpreterò: i tic dei passeggeri rubati sull’autobus, le frasi ascoltate in giro, gli aneddoti che mi raccontano».
Che cosa è rimasto del ragazzino obeso, quasi cieco e sfigato?
«Tutto, anche ora che sono un contadino rifatto con le scarpe buone. Quel bambino ci sarà sempre».
Si è abituato all’idea di essere un sex symbol?
«Se lo sono io, c’è speranza per tutti! Francamente non riesco a considerarmi un oggetto erotico. Forse piace la mia voce cavernosa… Sono convinto di essere tra i migliori attori di questo periodo, e lo dico senza falsa modestia, ma bello non mi ci vedo proprio».
È innamorato?
«Lo sono sempre, innanzitutto del mio lavoro, altrimenti non potrei recitare. E c’è una persona che mi ha fatto perdere la testa».
Chi è?
«Sabrina Ferilli. L’ho vista nel film La grande bellezza e mi sono follemente innamorato. I suoi occhi malinconici e profondi non mi danno tregua, è la nuova Magnani. Darei qualunque cosa per lavorare con lei».
© Riproduzione riservata
© Riproduzione riservata