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Grazia

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Lifestyle

Ferzan Ozpetek: «Il mio mondo è… l’aldilà»

Ferzan Ozpetek: «Il mio mondo è... l’aldilà»

foto di Angelo Sica Angelo Sica — 18 Marzo 2012

Fotogallery Ferzan Ozpetek: «Il mio mondo è… l’aldilà»

  • Ferzan Ozpetek Ferzan Ozpetek
  • Ferzan Ozpetek Ferzan Ozpetek Ferzan Özpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio 1959.
  • Ferzan Ozpetek Ferzan Ozpetek Ferzan Özpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio 1959.
  • Ferzan Ozpetek Ferzan Ozpetek Ferzan Özpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio 1959.
  • Ferzan Ozpetek Ferzan Ozpetek Ferzan Özpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio 1959.
  • Ferzan Ozpetek e Marie Gillain Ferzan Ozpetek e Marie Gillain Ferzan Özpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio 1959.
  • Ferzan Ozpetek e Serra Ylmaz Ferzan Ozpetek e Serra Ylmaz Ferzan Özpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio 1959.
  • Ferzan Ozpetek, Giovanna Mezzogiorno e Raoul Bova Ferzan Ozpetek, Giovanna Mezzogiorno e Raoul Bova Ferzan Özpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio 1959.
  • Ferzan Ozpetek e Lorella Cuccarini Ferzan Ozpetek e Lorella Cuccarini Ferzan Özpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio 1959.
  • Ferzan Ozpetek Ferzan Ozpetek Ferzan Özpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio 1959.
  • Ferzan Ozpetek, Emanuele Crialese, Alejandro Inarritu, Zang Yimou, Paul Verhoven e Breillat Chaterine Ferzan Ozpetek, Emanuele Crialese, Alejandro Inarritu, Zang Yimou, Paul Verhoven e Breillat Chaterine Ferzan Özpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio 1959.
  • Ferzan Ozpetek, Isabella Ferrari e Valerio Mastandrea Ferzan Ozpetek, Isabella Ferrari e Valerio Mastandrea Ferzan Özpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio 1959.
  • Ferzan Ozpetek Ferzan Ozpetek Ferzan Özpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio 1959.
  • Ferzan Ozpetek Ferzan Ozpetek Ferzan Özpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio 1959.
  • Ferzan Ozpetek ed Elio Germano Ferzan Ozpetek ed Elio Germano Ferzan Özpetek nasce a Istanbul il 3 febbraio 1959.
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Al regista Ferzan Ozpetek gli spiriti non fanno paura: «Anzi, mi scaldano il cuore». Sarà per questo che, nel
suo ultimo film, manda Elio Germano a vivere in una casa “infestata”?

Al regista Ferzan Ozpetek gli spiriti non fanno paura: «Anzi, mi scaldano il cuore». Sarà per questo che, nel suo ultimo film, manda Elio Germano a vivere in una casa “infestata”?

Ferzan Ozpetek sta visionando il sito web del suo nuovo film, Magnifica presenza, prima che venga messo online. Quando clicca sul link “galleria”, compare l’istantanea di Elio Germano, il protagonista, sorridente.

Il regista 53enne s’innervosisce, non vuole che sia quella l’immagine che apre la carrellata fotografica. Fa una telefonata: non importa quello che pensa la distribuzione, lui “ordina” di cambiare la sequenza e di aggiungere le altre foto di scena.

Poi si rivolge a me: «Questa non è solo una commedia». D’altronde, nemmeno Mine vaganti, La finestra di fronte, Le fate ignoranti lo erano. Nei suoi film non si ride e basta: ci sono momenti di allegria, altri in cui si soffre, altri in cui si sente in bocca l’amaro della malinconia.

«Perché questa è la vita», dice. «E io voglio raccontarla». Siamo in una sala montaggio ed editing della Technicolor, a Roma. Non mi è mai capitato di intervistare un regista senza aver prima visto il suo film, ma in questo caso sono costretto a fare un’eccezione.

Ozpetek vuole mantenere il mistero fino alla data di uscita, venerdì prossimo. Così, ha selezionato alcune scene. Mi lancerà degli indizi. Io, però, ho un’altra strategia: voglio usare questi indizi non per svelare la trama di Magnifica presenza, ma per decifrare il mondo del suo autore.

Tiriamo giù la serranda per fare buio. Inizia la prima scena, che scorre tra due dimensioni spazio-temporali. Prima, un teatro, dove sta per cominciare uno spettacolo, nel 1943. Poi, un appartamento del quartiere Monteverde a Roma: siamo nel presente, Elio Germano lo prende in affitto, senza sapere che la casa è già “abitata” dai componenti della Compagnia Apollonio.

Otto personaggi (tra cui, Margherita Buy, Beppe Fiorello, Vittoria Puccini), che arrivano dagli Anni 40: «Non chiamateli fantasmi», Ozpetek interrompe la visione. «Sarebbe fuorviante. Sono presenze». Vivono di vita propria o sono proiezioni della mente del protagonista? «I piani di realtà e finzione s’intersecano in un gioco pirandelliano. Questo è uno dei film più difficili che abbia fatto perché è rischioso affrontare certi argomenti: devi mantenere equilibrio e credibilità, per non scadere nel ridicolo».

AUDIO: Ascolta l'intervista a Ferzan Ozpetek

Lei vivrebbe in una casa “infestata”?
«Mi porto dietro le persone care che ho perso. Nella rubrica del cellulare conservo i numeri di amici che non ci sono più. Nei titoli di coda del film c’è la dedica ad alcuni amici che sono morti nell’ultimo anno e mezzo. Quando vado a fare la spesa, mi tornano in mente i ricordi, gli scherzi, le battute di qualcuno e solo dopo un po’ mi rendo conto che quel qualcuno lo posso rivedere solo grazie alla memoria. Mischio spesso la mia vita con l’aldilà. E mi piacerebbe tantissimo “riavere” in casa i miei affetti scomparsi: gli spiriti non mi farebbero paura, anzi, mi scalderebbero il cuore».

È religioso?
«No, ma ho grande rispetto per i luoghi di culto. Mi piace molto la condizione dell’umanità che descrive Marguerite Yourcenar in Memorie di Adriano: quando Gesù Cristo non aveva ancora diffuso la sua dottrina, l’uomo era da solo con la natura».

E questo film è un tentativo di esorcizzare la perdita delle persone care?
«C’è un verso della poetessa polacca Wislawa Szymborska, premio Nobel per la letteratura nel 1986, che mi ha folgorato: “Non c’è vita/ che almeno per un attimo/ non sia stata immortale./ La morte è sempre in ritardo di quell’attimo” (dalla poesia Sulla morte senza esagerare. Nei titoli d’inizio di Magnifica presenza c’è la dedica: “A Wislawa”, ndr). La morte mi “scoccia”, ma non bisogna avere il pudore di non parlarne. Io ci scherzo e ci rido, su questo tema, ma nel film c’è una tenerezza enorme sulle cose che perdi e che vorresti mantenere».

Qual è la sua definizione della felicità?
«Faccio il lavoro che ho sempre sognato, ho da dieci anni una storia d’amore bellissima, eppure come si fa a considerarsi del tutto sereni quando attorno a te c’è chi perde il lavoro, è malato, oppure soffre per altre ragioni? Forse la felicità deriva da brevi, meravigliose, pause d’incoscienza».

Di nuovo buio nella sala. Ozpetek va avanti verso un’altra scena del film. Elio Germano siede nel bar sotto casa: scopriamo che lavora in un forno dove impasta cornetti, che è venuto a Roma per inseguire il sogno di diventare attore, che è single.

Nelle interviste che ha fatto finora ha riempito il suo protagonista di complimenti per la prova recitativa.
«Sono perdutamente innamorato di Elio. Da un punto di vista professionale, naturalmente. Lui ha un dono, come chi nasce con gli occhi blu: è straordinario per come riesce a capire la sensibilità del regista. Sono molto legato agli attori che hanno lavorato con me. Potrebbero venire a chiedermi qualsiasi cosa e io non mi tirerei indietro. È come con un amante, da cui ti sei separato per circostanze avverse: c’è sempre una tensione che resiste al tempo».

Fuori dai set, chi sono le donne importanti della sua vita?
«Tantissime. A cominciare da mia nonna e mia madre. Gli amori che più mi hanno cambiato sono stati con due donne. Loro hanno lasciato il segno, e non solo perché mi avevano costretto a riorganizzare la routine giornaliera e la disposizione dei mobili in casa... A differenza degli uomini, hanno una marcia in più: colpa o merito di questa società che, dalla nascita, le mette alla prova con difficoltà “invisibili”. Sono anche convinto che il lato femminile sia fondamentale in ciascuno di noi. Soprattutto nell’arte. Bernardo Bertolucci, per esempio, non sarebbe il maestro che è senza la sua sensibilità femminile».

Ivan Cotroneo, autore della sceneggiatura di “Mine vaganti”, ha detto che lei è molto possessivo con le persone con cui lavora. Conferma?
«Lo sono: possessivo e protettivo. Con il cast. Con gli amici e le amiche. E con il mio compagno Simone: in dieci anni insieme, abbiamo dormito separati solo tre notti. Vorrei sempre avere vicino a me le persone che amo. A volte, durante le cene “mondane” a casa mia, mi allontano per andare a controllare delle email sul computer, poi torno e rimango in penombra sulla soglia a guardare: mi conforta guardarli».

Ora sto per vedere una sequenza molto importante, Ozpetek mi dice che non l’ha ancora mostrata a nessun giornalista. In effetti, le immagini sciolgono un nodo fondamentale della trama e della storia del protagonista. Ma, ormai, mi sento come un complice del regista, almeno per quanto riguarda il film. Nemmeno io voglio svelare quello che succede prima e dopo. Solo un’istantanea: Elio Germano è seduto davanti a una tavola che lui stesso ha apparecchiato. Candele, calici, “intenzioni” sospese: una cena romantica. Ma lui è solo, disperato di fronte a un’assenza.

Che cos’ha imparato Ozpetek sull’amore, fino a oggi?
«La sorpresa più grande è stata scoprire che si può essere innamorati di due persone nello stesso tempo. Mi è capitato. E anche a mia madre. Quando è morto il suo primo marito, lei soffriva: “Ho perso un uomo che amo tantissimo”, mi disse. “E papà?”, chiesi. “Amo tantissimo anche tuo padre, Ferzan”. Per fortuna non mi è successo con Simone. Ma sarebbe un bell’imprevisto, no? Avere due di tutto: due amori, due bandiere, due lingue...».

Lei, intanto, ha due città: Istanbul, dove è nato, e Roma, dove vive da 36 anni.
«Nella mia geografia emotiva si è poi aggiunta Lecce. A parte questi luoghi, non mi piace spostarmi. Viaggio molto per il cinema: da una parte è entusiasmante seguire il tuo film che esce in Paesi stranieri, dall’altra diventa una fatica enorme. Anche se faccio delle vacanze, non sono mai contento. L’ultima è stata in Brasile: ero sempre in ansia, volevo tornare a casa. Solo una volta rientrato a Roma, il Brasile mi è sembrata un’esperienza stupenda».

Spesso fa scorrere le emozioni a tavola, mentre si mangia. La cucina è la sua stanza preferita?
«Sì. E poi, il bagno. Il mio lo ingrandirei per metterci delle poltrone. In Magnifica presenza, comunque, non ci sono scene corali di pranzi e cene. Forse perché mi sono venuti a noia i programmi tv di cucina...».

Allora non scriverà un libro di ricette?
«Preferisco prepararle per i miei invitati. Sono un ottimo cuoco. La mia specialità sono gli spaghetti con la bottarga. Il segreto è aggiungere del pane grattugiato per dare una nota croccante. Poi vado fortissimo con il pollo. E le polpette: non vorrei mangiare la carne, ma quando me le trovo davanti non resisto».

Nel cartellone del teatro San Carlo di Napoli, c’è scritto che curerà la regia della “Traviata”.
«Dipende da quali saranno i miei progetti cinematografici. Per ora c’è una “parentesi” con Tilde Corsi e Gianni Romoli: le riprese, forse, cominceranno in autunno».

Di che cosa parla il nuovo film?
«Di un matrimonio raccontato nell’arco di 14 anni. La cosa più bella è che mi farà tornare in Puglia».

© Riproduzione riservata

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