Fotogallery Ethan Hawke: «Sono un vecchio di 14 anni»
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Al cinema è al terzo capitolo di una storia d’amore iniziata vent’anni fa. Ma nella vita Ethan Hawke ha avuto passioni più turbolente. In attesa di vederlo “crescere”, cronaca di un’intervista tra caffè nero e spazzolini da denti
«Scusi se tengo gli occhiali da sole, non è per fare il figo, ma quando sono stanco mi vengono delle chiazze rosse intorno agli occhi, sul naso… Insomma, è un po’ imbarazzante».
Il passaggio in Italia di Ethan Hawke si è trasformato in una prova di sopravvivenza: ha volato per 15 ore, accumulato ritardi e perso i bagagli.
Arriva direttamente dall’aeroporto, con gli stessi vestiti di ieri (blazer, T-shirt girocollo, jeans) e l’aria un po’ stralunata. «Vuole un caffè?», gli chiedo. «Sì grazie! Se poi qualcuno riuscisse a trovarmi spazzolino e dentifricio mi farebbe felice».
Ci proviamo.
Attore, regista, scrittore, sceneggiatore, nonché discendente diretto dello scrittore Tennessee Williams, Ethan Hawke torna al cinema con il terzo capitolo della storia d’amore di Jesse e Celine, in Before midnight, il nuovo film di Richard Linklater nelle sale dal 31 ottobre.
Jesse e Celine (rispettivamente Hawke e Julie Delpy) si erano incontrati per la prima volta a vent’anni in Prima dell’alba (1995), si sono ritrovati a trent’anni in Before sunset – Prima del tramonto (candidato all’Oscar nel 2004) e ora li vediamo affrontare la vita da quarantenni Before midnight.
Ma chi non avesse visto i primi due, non si preoccupi, nei 15 minuti iniziali del film i due protagonisti ci offrono una specie di riassunto delle loro vicende sentimentali.
Le è piaciuto ritornare nel ruolo di Jesse (e partecipare alla stesura della sceneggiatura), quasi dieci anni dopo?
«Sì, mi sento molto fortunato. Dopo il primo, ho sperato che ci fosse un seguito e così è stato. Il secondo, Before sunset, è stato un’esperienza particolare: girare un film romantico a Parigi è come recitare in un western con Clint Eastwood. È stato uno dei momenti più felici della mia vita».
Ha 43 anni e fa l’attore da quando ne aveva 13. È soddisfatto?
«Non mi lamento, ho fatto dei film buoni e non è sempre facile. Più vado avanti nella carriera e nell’età e più mi rendo conto che se vuoi diventare una grande star devi andare a Hollywood, se invece vuoi raccontare la verità e realizzare qualcosa di davvero bello ti conviene andare da un’altra parte».
Essere famosi significa anche vendere se stessi?
«Prendiamo per esempio Paul McCartney, quando si è risposato per la terza volta, le sue foto sono state pubblicate da tutti i giornali e molti hanno commentato che si era venduto. Non sono d’accordo: per me è autentico quanto John Lennon». Arriva un caffè espresso. «Cosa dice, se lo sniffo fa più effetto?», scherza Hawke. Riprendiamo.
Lei non ama i blockbuster, vero?
«Non sono bravo nei film commerciali, ogni volta che ci provo, fallisco perché non li capisco. Ho lavorato con Denzel Washington (in Training day, ndr) che capisce al volo come funziona un film di successo, che cosa pensano e cosa vogliono gli spettatori. Lui ci riesce senza essere banale. È un’arte».
Secondo lei George Clooney sostiene il cinema di qualità?
«Lui è incredibile. È il capoclasse e ha tutto il mio rispetto. L’altro giorno ero a un party e c’era anche George, aveva un aspetto divino, camminava tra la gente che sembrava dividersi come il mare al passaggio di Mosè. Ero sbalordito. Ma come fa a fare tutto?».
Clooney non ha figli, mentre lei ne ha quattro (Maya Ray, 15 anni, e Levon Roan, 13, avuti da Uma Thurman, e Clementine Jane, 5 anni, e Indiana, 2 anni, nati dal suo secondo matrimonio con Ryan Shawhughes, ex
babysitter dei suoi figli).
«I miei figli mi portano via molto tempo, è vero, ma quel tempo non lo baratterei con niente».
Com’è cambiata la sua vita dopo la nascita dei suoi bambini?
«Non avevo l’idea di che cosa significasse diventare un padre, quando l’ho capito ho perdonato i miei genitori. Ho quattro figli e a ogni nascita sono rimasto colpito dalla grandezza di quello che stava succedendo. Detto questo, io sono rimasto il ragazzo che ero a 14 anni, non so se sono adatto a fare il padre».
Ha assistito al parto?
«Sì, ero presente a tutti e quattro. È un’esperienza che auguro a ogni uomo». Seconda interruzione: gli portano spazzolino e dentifricio.
Vuole andare a lavarsi i denti?
«No, se lei riesce sopportare il mio alito». Proseguiamo.
Come si sente da over 40? Vorrebbe ritornare ai suoi trent’anni?
«No, non tornerei mai indietro. Ero più infelice a trent’anni, sto molto meglio adesso. E sono concentrato sulla persona che voglio diventare a 75. Nella seconda metà della mia vita voglio fare di più».
Lei è un artista eclettico, ha scritto anche due romanzi (Amore Giovane, Sonzogno, e Mercoledì delle ceneri, Minimum Fax), vuole continuare a fare cinema?
«Non lo so. Arrivare fino a qui e fare i film che sognavo è stato molto più difficile di quanto pensassi. Volevo girare un film in Italia, ho lavorato due anni sulla sceneggiatura ma non sono riuscito a trovare i fondi e questo mi ha fatto piangere il cuore. Mi ricordo quando è morto River Phoenix (hanno recitato insieme in Explorers, avevano entrambi 14 anni, ndr), lui era più avanti di me, si rendeva conto di quanto fosse difficile realizzare un film serio. Richiede pazienza, è il lavoro di una vita, e mi chiedo se sono all’altezza». Terza interruzione: arriva un caffè doppio. «Grazie, ci voleva. Poi basta, promesso».
Crede che per essere un vero artista si debba soffrire?
«Alla gente piace giocare con questo concetto, ma ci sono molti artisti che sono stati incredibilmente felici. Penso a Sidney Lumet (l’ha diretto in Onora il padre e la madre, ndr), era già anziano quando l’ho conosciuto, un formidabile regista con una vita bellissima. Tanti grandi artisti hanno la capacità di vedere il dolore a un livello molto profondo. Io non sono uno di loro. Coltivare il dolore per raggiungere la saggezza è da idioti».
Non ha mai sofferto di depressione?
«Alcune persone della mia famiglia hanno sofferto di patologie psichiche ed è molto diverso rispetto al sentirsi un po’ giù. Io non ho mai conosciuto la depressione, ho provato una cosa diversa».
Che cosa fa quando si sente giù?
«Mia madre diceva sempre che la cura migliore della depressione era fare ginnastica e leggere. Da quando ero un ragazzino ho sempre amato l’arte, è una fonte di felicità e mi ha salvato. Ho quattro bambini, non posso permettermi di essere depresso. Sono così stanco… Mi sembra di aver fatto una seduta psicanalitica. Quasi quasi mi faccio un altro espresso».
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